Home___primopianoMa le piscine in spiaggia indebolirebbero le politiche che mettono al centro il mare

Dopo il 1989 ci risiamo con le mucillagini e torna anche un dibattito ormai logoro


Ma le piscine in spiaggia indebolirebbero le politiche che mettono al centro il mare


20 Agosto 2024 / Giuseppe Chicchi Piero Leoni

Ci risiamo! Chi avesse pensato che le mucillaggini fossero solo un drammatico ricordo di fine anni 80 è costretto a ricredersi. Parafrasando Gramsci potremmo dire che il pessimismo della volontà ha prodotto un evidente rallentamento delle politiche di risanamento ambientale dell’Adriatico con le conseguenze che sono sotto i nostri occhi. Oggi, ancor di più, il fenomeno appare in tutta la sua gravità perché ci troviamo ad un passaggio congiunturale particolarmente difficile, stretti tra la crisi di un ciclo economico e l’accelerazione degli effetti dei mutamenti climatici. In questo scenario si riapre un dibattito ormai logoro: piscine sulla spiaggia sì, piscine sulla spiaggia no.

Ancora una volta l’Adriatico ci ha lanciato un messaggio di sofferenza. Certo, la mucillagine è un fenomeno naturale, innocuo per gli esseri umani, ma il suo ritorno massiccio dopo il 1989 ci dice almeno due cose: 1) l’innalzamento delle temperature incide sulla vita degli esseri marini. Dovrebbe derivarne un impegno assiduo per ridurre il consumo di fossili (perciò ben vengano le pale eoliche in mare); 2) dopo le piogge intense nel bacino padano, dilavando i campi, l’acqua dolce ha portato in mare fosforo e azoto ed ha abbassato la salinità favorendo la fioritura della microalga “Gonyaulax fragilis” che rilascia il muco.

Si tratta di fenomeni dovuti in gran parte all’azione dell’uomo che sono quindi alla portata delle nostre politiche di settore. La domanda vera non è quante piscine bisogna fare sulle spiagge ma di quanto riusciremo a ridurre l’effetto serra e di quanto riusciremo a ridurre l’uso di fertilizzanti chimici. L’altra domanda è: le politiche di controllo nell’ambito del bacino padano sono aggiornate al più avanzato livello scientifico o siamo rimasti agli anni ’90 e ai Fondi FIO ’84-’85 che finanziarono la depurazione, fin lì inesistente, in Valle Padana?

Per quanto riguarda la città di Rimini va ricordato che i fondi Fio ’84-’85 finanziarono il primo lotto del depuratore di S.Giustina, che negli anni 2000 Romagna Acque finanziò il secondo lotto, introducendo livelli avanzati di controllo tecnologico dei reflui come, ad esempio, la microfiltratura e che, in anni più recenti, il PSBO ha ridotto a rari eventi eccezionali gli sversamenti in mare.

A proposito di “autonomia differenziata”, è legittimo chiedersi se le politiche ambientali delle regioni padane sono in grado di “vedere” in modo unitario il grande sistema ambientale che dal Monviso arriva in Adriatico. Un ecosistema su cui gravano il 70% della produzione industriale e il 50% della produzione agricola nazionale. Specchio impietoso del dualismo dello sviluppo economico dell’Italia: sviluppo al Nord, sottosviluppo al Sud.

Uno sguardo al 1989 può essere utile. Anche allora si diffuse il panico fra gli operatori turistici, anche allora si lanciò l’idea delle piscine in spiaggia implicitamente pensando di abbandonare il mare al suo destino. Sarebbe stata la morte del nostro turismo balneare, così fortemente connesso con i caratteri unici della costa orientale dell’Adriatico. Allora ci salvarono due cose: 1) la fiducia nella possibilità di agire a favore del mare, un lascito della “vittoria” (parziale e non definitiva) contro l’eutrofizzazione dei primi anni ’80; 2) avere detto la verità sulle reali condizioni del mare.

A proposito del come comunicare l’emergenza ambientale, si aprì un confronto, a tratti anche aspro, tra due schieramenti: chi voleva negare la presenza delle mucillaggini e chi al contrario sosteneva che era necessario dire la verità sulle gravi condizioni del mare. Ebbe la meglio la posizione di chi era convinto che dire la verità avrebbe potenziato la credibilità delle istituzioni e reso più credibile il cessato allarme prossimo venturo. Venne immediatamente insediata una cabina di regia che aveva il compito di coordinare l’azione dei diversi soggetti pubblici e privati. Si intensificò il programma di monitoraggio del mare con il battello oceanografico Daphne e si mise a punto un’efficace strategia di comunicazione. L’APT orientò la comunicazione distogliendo temporaneamente l’attenzione dal mare e puntando sugli eventi.

“Eventi 90” divenne così un brand con il quale fu progettata una potente campagna di comunicazione basata per la prima volta su spot televisivi in prime time con l’accattivante musica di Amarcord. Certo puntare sugli eventi non avrebbe risolto i problemi ma dava respiro al sistema turistico nell’attesa che prendessero concretamente forma gli asset dei nuovi turismi riminesi: un’efficace politica di destagionalizzazione e di qualificazione dell’offerta sia in termini di ricettivo che di fattori territoriali.

Grazie al Piano Strategico molta strada si è fatta nella composizione e riposizionamento dei turismi riminesi e nell’immagine della destinazione. Ma per essere all’altezza della serrata competizione internazionale molta ne resta da fare. La sfida riguarda sia il sistema pubblico che privato. Ci pare che oggi, mentre si discute dei nuovi assetti della spiaggia, sia necessario avere un pensiero lungo, rimettendo l’’ecosistema Adriatico” al centro delle piattaforme strategiche e delle politiche di valorizzazione ambientale. Le piscine in spiaggia, in un contesto di politiche strutturali che individuano il mare come asset strategico, rischierebbero di indebolire quelle politiche.

Giuseppe Chicchi Pietro Leoni

(in apertura: mucillagini nel golfo di Trieste, foto di Andrea Lasorte)