HomeAlmanacco quotidiano1 dicembre 606 (?) – Candiano da Rimini Patriarca di Aquileia e nella laguna scoppia lo scisma


1 dicembre 606 (?) – Candiano da Rimini Patriarca di Aquileia e nella laguna scoppia lo scisma


1 Dicembre 2023 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Scrive Luigi Tonini nella sua “Storia civile e sacra riminese” del 1856: “Di Candiano o Candidiano riminese Patriarca d’Aquileja. L’Ughelli nell’Italia Sacra ove tratta de’ Patriarchi d’Aquileja e di quelli di Grado sulla sede della Cronaca Veneta d’Andrea Dandolo, Scrittore del Secolo XIV; e molto meglio il Muratori all’anno 605 sull’autorità di Paolo Diacono, che visse nel Secolo VIII, ci raccontano, che fin d’allora che i Longobardi invasero la Venezia e si avvicinarono ad Aquileja, il Patriarca di quella città unitamente alla popolazione passò a stanza più sicura in Grao o Grado, dove Elia Patriarca ottenne poi nel 580 per autorità Pontificia che quella Sede Patriarcale fosse trasferita in perpetuo. Ad Elia successe Severo, il quale, divenuto scismatico, morì in Grado fra il 605 e il 606. Allora l’esarca volendo che la elezione del successore cadesse in persona cattolica obbligò i Vescovi della Provincia a convenire in Ravenna, ove fu elelto Candiano o Candidiano, cattolico. All’opposto Gisolfo Duca del Friuli venuto nel desiderio che quella Dignità si ristahilisse in Aquileja, che era ne’ suoi Stati, approffittò della divisione di quei Vescovi; e fece che quelli delle Chiese di suo dominio, i quali avevano aderito allo scisma del defunto Severo, eleggessero in Aquileja, siccome fece nuovo Patriarca scismatico nella persona di un tale Abbate Giovanni. Così quel Patriarcato restò allora diviso in due; uno scismatico a divozione de’ Longobardi in Aquileja, l’altro cattolico in Grado sotto la dominazione dei Greci”.

Grado

E prosegue il Tonini: “Or questo Candiano in quella Cronaca del Dandolo, secondo un Codice dell’Ambrosiana citato e lodato dal Muratori, è detto natione Ariminensis de Vico Candiano; lo che fu ripetuto dall’Ughelli e da tutti i nostri; mentre il Muratori stesso in altri due Codici della Estense, che gli servirono di testo nella pubblicazione di quella Cronaca (Rer. Il. Scr. T. XII) trovò scritto in vece natione Annoniensis de Vico Candiano. Siccbè ecco fatto luogo a dubbj e a discussioni. Se non che cessa ogni dubbio ed ogni disputazione vien tolta all’osservare che il Dandolo dee averne tratta la notizia dall’antichissima Cronaca Altipate, nella quale troviamo che Candiano successe non immediate a Severo, ma a Marciano; che fu natione Candiana proximus Rimani civitate; e che visse in quella Sede cinque anni”.

E ancora: “II Campo Candiano e il Porto Candiano son nomi noti di luoghi nelle vicinanze di Ravenna; del Vico Candiano nel riminese non abbiamo altro ricordo. Comunque sia, appare che questo illustre Prelato fosse del riminese: onde per le sue virtù, che gli meritarono di essere elevato a quella dignità, portò onore al Clero di quella Chiesa, alla quale dovette appartenere al meno per nascita; e qui vuol posto distinto fra i nostri”.

La basilica di S. Eufemia antica cattedrale di Grado

Nella cronotassi dei presuli di Grado, Candiano o Candidiano viene dato in carica dal 606 alla sua morte nel 612. Diverse fonti veneziane seicentesche (“Venetia, città nobilissima, et singolare” di Francesco Sansovino e ‎Giustiniano Martinioni, 1663; “Cronica veneta overo succinto racconto di tutte le cose più cospicue, & antiche della città di Venetia” di Pietro Antonio Pacifici, 1697) propongono invece un periodo fra il 610 e il 616. Quanto al giorno, scegliamo i primi dicembre, essendo morto il predecessore Severo nel mese di novembre.

Sia come sia, il riminese fu elevato alla dignità patriarcale in periodo particolarmente travagliato, quello dello scisma dei Tre Capitoli nell’ambito dello scontro tra Bizantini e Longobardi. Ma ancor prima della conquista longobarda, si era creata una lacerazione tra la Chiesa imperiale e quelle della provincia metropolitica di Aquileia. Gran parte dell’episcopato latino, tra cui quello di Aquileia, ruppe la comunione con Roma e la Chiesa imperiale a seguito dell’editto di Giustiniano che nel 542-43 aveva condannato i testi di tre autori (Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Ciro e Iba di Edessa), sintetizzati con il termine di Tre Capitoli, i cui apporti teologici erano stati invece riconosciuti come ortodossi dal precedente concilio di Calcedonia (451).

Giustiniano al concilio di Costantinopoli II (553-554), nel tentativo di porre fine a una disputa tra opposte scuole teologiche, fece condannare i tre teologi, benché già defunti. Pressato dall’imperatore lo stesso papa Vigilio, dopo varie tergiversazioni, aveva alla fine acconsentito a questa condanna, provocando la reazione di alcune tra le più importanti Chiese d’Occidente, fra cui Aquileia, che si staccarono da Roma. Paolo convocò nel 557 un sinodo dei vescovi provinciali, e insieme con loro proclamò la radicale fedeltà al concilio di Calcedonia (sulla riva asiatica del Bosforo, oggi alla periferia di Istanbul), rifiutando le decisioni prese a Costantinopoli e ratificate da papa Vigilio. In seguito, Elia, in contrasto con papa Pelagio II a seguito della condanna dei Tre Capitoli, scelse la strada dell’autocefalia, proclamandosi patriarca, e, per riaffermare la propria fedeltà al concilio di Calcedonia, decise di dedicare la nuova chiesa a sant’Eufemia di Calcedonia, patrona di quel concilio, consacrandola forse il 3 novembre 579.

Sant’Eufemia, scultura friulana del 1350 ca. (Udine, Museo diocesano e Gallerie del Tiepolo); la martire, che in questa raffigurazione regge la chiesa di Calcedonia costruita sulla sua tomba, divenne un simbolo della dottrina proclamata nel concilio del 451 e difesa dalle chiese tricapitoline

Un culto, quello di sant’Eufemia, presente anche a Rimini. Un monastero a lei dedicato è segnalato già nel VII secolo. In seguito la santa sarà particolarmente onorata nella prospiciente Rovigno, dopo un evento miracoloso che si sarebbe verifcato il 13 luglio dell’anno 800 e che così in Istria viene narrato: “All’alba le campane rintoccarono freneticamente e i cittadini corsero verso il mare dove videro un sarcofago di marmo che, come una candida navicella si stava avvicinando alla riva. Quando il sarcofago raggiunse la sponda marina i rovignesi tentarono di trasportarlo in città facendolo trainare da buoi e cavalli. Ma la grossa pietra non si spostava e dopo tanti sforzi desisterono”.

“Per smuoverla non è valsa nè la forza degli animali, nè l’astuzia dell’uomo; l’aiuto venne da Dio. In quel momento sopraggiunse un ragazzetto che portava con se un paio di giovani e deboli giumente. Fu a lui che Santa Eufemia si rivelò ‘Io sono Eufemia di Calcedonia che per mezzo del proprio sangue si è legata a Cristo. Tu e le tue giumente muoverete la pietra e la porterete a terra’. Cosi quel ragazzetto, davanti agli occhi allibiti dei suoi concittadini, trainò il sarcofago dalla riva fino alla chiesa che sorgeva sulla sommità del colle cittadino. In quel luogo il sarcofago venne aperto e i presenti videro il corpo di una bellissima giovane donna. Vicino al corpo trovarono una pergamena che srotolarono e vi lessero: “HOC EST CORPUS EUFEMIAE SANCTAE“, questo è il corpo di Santa Eufemia, vergine e Martire di Calcedonia, assunta al cielo il 16 settembre dell’anno del Signore 304”. Più che evidenti le analogie con il prodigioso arrivo a Rimini delle spoglie di San Giuliano nel 957.

Rovigno

Ma tornando alle vicende lagunari, nel 606 o 607, alla morte del patriarca Severo, salì sul soglio patriarcale Marciano, che resse la cattedra per poco più di tre anni. Ma nel frattempo l’esarca di Ravenna Smaragdo, che era già intervenuto in precedenza, senza fortuna, per tentare di sanare la situazione in favore del papato, riuscì ad imporre a Grado l’elezione di un vescovo favorevole alla riunione con Roma: si trattava proprio di Candiano. Gran parte del clero oltranzista che aveva già in precedenza reagito all’abiura di Severo e alla riconciliazione con Roma e con l’autorità imperiale, si ribellò e cercò rifugio in territorio longobardo, nell’antica sede di Aquileia, eleggendo a sua volta nel 610 un altro vescovo nella persona dell’abate Giovanni. Prese avvio in tal modo lo sdoppiamento della sede aquileiese e la serie dei doppi patriarchi: quelli residenti a Grado che succedettero a Candiano mantennero una posizione filoromana e restarono nell’orbita bizantina, con giurisdizione metropolitica sulla fascia costiera e sull’Istria; gli altri residenti sino all’VIII secolo nel castello fortificato di Cormons, con giurisdizione su tutto il vasto territorio del retroterra longobardo e delle regioni vicine.

Barbana presso Grado con il suo santuario mariano

Nemmeno dopo la ricomposizione dello scisma avvenuta nel 699, all’epoca del re Cuniperto, si giunse ad una definizione della questione della doppia sede che continuò ad esistere con la precisa volontà di entrambi i patriarchi di affermare l’originaria dignità metropolita aquileiese. Ancora nel 731 nell’ambito di un sinodo romano il papa Gregorio III, pur definendo le specifiche prerogative del patriarca residente a Cividale in riferimento al territorio longobardo e di quello gradese in riferimento all’area bizantina, li pose praticamente sullo stesso piano. Solo con il concilio di Mantova dell’827 il patriarca Massenzio, che ricondusse la sua residenza nell’originaria sede aquileiese, riuscì a far ammettere la legittimità del suo titolo metropolita nei confronti del patriarca gradese.

Ma non era finita qui. “La fiera lite frà questi due Prelati sopra il Privato di ese Chiese durò 600 anni” annota nel 1698 Ireneo : della Croce nella sua “Historia antica, e moderna: sacra e profana, della citta di Trieste”.

Come si è visto, Candiano godeva dell’appogio dall’esarca bizantino Smaragdo, del papa e dell’imperatore. Il pontefice che concesse a Candiano il pallio condannando come scismatico il rivale Giovanni, era Bonifacio IV, che sarà poi proclamato santo. Fu lui fra l’altro a ottenenere il Pantheon dall’imperatore Foca per trasformalo in una chiesa cristiana dedicata alla Vergine Maria e a tutti i martiri (13 maggio 609).

Il Pantheon ribattezzato Santa Maria della Rotonda o Santa Maria ad Martyres

Quanto a Foca, il suo governo a Costantinopoli “si dimostrò come il più feroce regno di terrore che tutta la storia bizantina abbia mai conosciuto”. Centurione di origini sconosciute, dopo aver usurpato il trono di Maurizio con un colpo di stato militare appoggiato dalla fazione circense dei Verdi, fu lunghissima la lista degli oppositori da lui uccisi spesso nei modi più crudeli, a iniziare dallo stesso Maurizio e tutta la sua famiglia, dalla moglie ai dieci figli.

«Sarebbe superfluo elencare i nomi e le sofferenze delle sue vittime. La loro condanna era raramente preceduta da un processo, e la loro pena fu inasprita dalle raffinatezze della crudeltà: i loro occhi vennero forati, le loro lingue vennero tagliate, le mani e i piedi vennero amputati; alcuni spirarono sotto la frusta, altri nelle fiamme; altri ancora vennero trafitti dalle frecce; e una semplice morte veloce era una forma di pietà che raramente riuscivano a ottenere. L’ippodromo, l’asilo sacro dei piaceri e della libertà dei Romani, fu profanato con teste e arti, e corpi straziati.»

(Gibbon, “History of the decline and fall of the Roman Empire”, cap. 46)

Moneta d’oro dell’imperatore Foca

I contemporanei di Roma, perlomeno negli ambienti pontifici,  evidetemente non la pensavano allo stesso modo: era dedicato a Foca l’ultimo monumento che si volle nell’Urbe per un imperatore. E’ la Colonna di Foca, che ancora si trova al suo posto nel Foro Romano, eretta  il 1º agosto 608; fu anche l’unica colonna eretta nel Medioevo. Alta 13,6 metri, in origine sosteneva una statua dedicata a Diocleziano: l’iscrizione precedente fu cancellata e sulla sommità Smaragdo collocò una statua dorata raffigurante Foca.

La colonna di Foca nel Foro romano

I due patriarcati di Aquileia e Grado non vennero più riuniti neppure dopo la risoluzione dello scisma, avvenuto con il sinodo di Pavia del 698-699.

Questo status fu confermato da papa Gregorio II, che nel 717 convalidò l’elezione di due patriarchi, Sereno a Cormons e Donato a Grado. Entrambi rivendicavano il titolo di “patriarchi di Aquileia” e la giurisdizione su tutto il territorio dell’antico patriarcato, anche tramite la produzione di documenti falsi. Tra questi falsi è annoverata anche una lettera sinodale emanata da un concilio celebrato a Roma all’epoca di papa Gregorio III (731), con la quale sarebbe stata attribuita ai patriarchi di Grado la giurisdizione sulla Venezia e l’Istria.

Le tensioni fra i due patriarcati proseguirono fino alla fine del XII secolo. Nell’802 l’esercito veneziano assaltò Grado per punire il patriarca dell’appoggio offerto ai Franchi e al loro tentativo di conquistare il Ducato: il presule venne fatto precipitare da una torre. Nell’827 il concilio di Mantova tentò inutilmente di riunificare i patriarcati di Grado e Aquileia.

Nel 1180, dopo una lunga e secolare disputa con il patriarca di Aquileia, il patriarca di Grado rinunciò definitivamente ad ogni diritto giurisdizionale sulle sedi vescovili dell’Istria e del Friuli Orientale. La provincia ecclesiastica di Grado comprendeva 6 diocesi suffraganee: Caorle, Castello, Chioggia, Equilio, Eraclea e Torcello. Inoltre, il 22 febbraio 1055 papa Adriano IV aveva concesso ai patriarchi di Grado la supremazia sulla provincia ecclesiastica di Zara (che comprendeva le suffraganee di Ossero, Arbe e Veglia) e il titolo di primati della Dalmazia.

Dopo la morte del patriarca Domenico Michiel, l’8 ottobre 1451, con la bolla Regis aeterni, papa Niccolò V soppresse il patriarcato di Grado e la diocesi di Castello. Con i territori e le giurisdizioni di entrambe fu eretta la diocesi di Venezia, ai cui vescovi fu assegnato il titolo patriarcale che era stato di Grado. L’ultimo vescovo castellano, Lorenzo Giustiniani, divenne il primo patriarca di Venezia.

Nel 1968 è stata istituita la sede titolare di Grado, con dignità arcivescovile.

(nell’immagine in apertura: la basilica di Aquileia)