HomeEconomia e LavoroCattolica: incontro di Cherry Bank con gli imprenditori locali

L’AD Giovanni Bossi: “Vogliamo un dialogo diretto con le aziende”


Cattolica: incontro di Cherry Bank con gli imprenditori locali


14 Settembre 2024 / Redazione

Cherry Bank si mette a disposizione e all’ascolto delle imprese in un dialogo senza filtri e nel quale la volontà è quella di mettere sul tavolo le difficoltà attuali degli imprenditori al fine di trovarvi immediate soluzioni.

Tra gli incontri più significativi quello di martedì scorso 10 settembre, a Cattolica all’Hotel Kursaal. Una occasione per offrire agli imprenditori spunti di riflessione che sono emersi dal Forum di Cernobbio, “Lo Scenario di oggi e di domani per le strategie competitive”, al quale Giovanni Bossi, Amministratore di Cherry Bank, ha partecipato. 

 

L’obiettivo primario di questi incontri è quello di stimolare un confronto tra imprenditori e Banca sulle difficoltà, le opportunità e le soluzioni per fare impresa in maniera profittevole oggi. Nell’analisi, l’AD ha riportato una riflessione forte sulla difficoltà che le imprese avranno, in maniera sempre più crescente, di accedere al credito, situazione conseguente soprattutto ai meccanismi di garanzie pubbliche messe in atto dalla finanza pubblica per far fronte agli eventi non ricorrenti successi (pandemia, emergenza materie prime, scosse geopolitiche e guerre tra gli altri) che ora si stanno riducendo ma che lasciano alle spalle la capacità del sistema bancario di fare credito, capacità che si è diradata in questi ultimi anni.

 

Oltre a questo, il costo per una banca di finanziare l’impresa oggi è molto elevato; in questo contesto Cherry Bank ha confermato il proprio impegno a servizio delle aziende, possibile però solo costruendo un dialogo aperto e trasparente tra banca e impresa che coinvolga anche la strategia della stessa, facendo della banca un vero partner che con intelligenza e stimoli possa indirizzare l’impresa verso la migliore soluzione possibile. Oltre a questo, il banchiere ha discusso assieme alla platea anche temi quali:

● Andamento macro-economico e geopolitico (focus economia);

● BCE – tassi di interesse;

● Effetti su imprese e privati;

● Banche e credito;

● Europa e frammentazione geopolitica;

● Friend-shoring (materie prime, supply chain, etc.);

● Trade-off tra sicurezza e economicità;

  Rapporto tra Italia, Francia e Germania;

● Debito pubblico;

● Investimenti.

Di seguito sono riportati i contenuti esposti dall’AD Giovanni Bossi alla platea nel primo incontro:

Questo Cernobbio è stato un confronto di alto livello, iniziato con un Mattarella particolarmente preciso, forse come mai prima, su temidi finanza pubblica e con il premier Meloni che si è a assicurata la platea. Zelensky leader indiscusso e comunicatore eccezionale. Grande assente in presenza Mario Draghi, presente però con il suo rapporto sulla competitività di cui sentiremo parlare molto. Una delle istanze che Draghi porta avanti è relativa a fortissimi investimenti pubblici in 3 settori: digitalizzazione, decarbonizzazione e difesa (che io valuto in senso lato, non solo difesa militare ma anche organizzarsi per essere certi di avere le materie prime a disposizione, avere le rotte del commercio aperte, fare in casa ciò che è possibile, a volte anche se questo costa di più). Questo “trade off” tra disponibilità dei beni materiali e sicurezza fa parte della capacità dell’Europa di essere competitiva e “difendersi”. La proposta di Draghi è di avere un piano di investimenti che faccia il 5% del PIL in 5 anni: cifre immense, 4mila miliardi di Euro, considerando che il piano Marshall faceva l’1.5% del PIL Europeo. L’unico modo per ottenere queste cifre è facendo in modo che l’Europa si indebiti sui mercati, ma per farlo bisogna vincere le ritrosie di molti paesi che non sono ancora d’accordo sulla emissione di debito comune europeo, in particolare i paesi nordici.

La buona notizia che vi porto anche dalle rive del lago di Como è che dopo che da un anno a questa parte ci aspettiamo tutti quanti che l’effetto dei tassi di interesse elevati di tutte le banche centrali sia quello di picchiare verso il basso l’economia; invece, l’economia non ha tutta questa intenzione di farsi metter sotto. Si è infatti parlato di “hard landing” quindi di recessione sicura, poi di “soft landing” quindi recessione in forse per un trimestre, infine di “no landing at all”, e adesso siamo in una situazione incerta. In questa situazione ci sono 3 grandi aree: USA, Cina e Europa; forse chi sta peggio sotto questo punto di vista è la Cina che continua a crescere ma non quanto vorrebbe, e forse qualche paese europeo. Di Stati Uniti e Cina a Cernobbio se ne è parlato molto, anche con toni accesi che accennano alla “terza guerra mondiale”, guerra non dichiarata non combattuta con le armi ma a suon di scontri commerciali. L’America oggi sta crescendo più della Cina e quindi il sorpasso che gli USA temevano qualche tempo fa forse non avverrà mai. Una battuta che è ormai abbastanza diffusa su le rive del lago dice che l’America fa innovazione, la Cina copia e l’Europa regola. Tutti sono d’accordo sul fatto che nessun arbitro ha mai vinto una partita. In questa guerra commerciale l’Europa è uno spettatore. Intanto però in America la produzione continua a salire rapidamente e la crescita americana spazza via qualsiasi tipo di problema. Una crescita fatta di innovazioni tecnologiche, uno degli elementi che fanno crescere il prodotto interno loro americano a ritmi fortissimi. Un elemento molto importante per comprendere questo incremento è l’immigrazione: l’America continua a generare nuovi posti di lavoro che sono conseguenza di immigrazione, legale o no; la capacità di metabolizzare l’immigrazione che gli Stati Uniti hanno rappresenta forse il motore più importante per la crescita del prodotto interno lordo, perché tutti lavorano e il paese viaggia su un tasso di disoccupazione del 2/2.5% (contro il 6/7% in Italia). Chi fa l’imprenditore sa perfettamente quanto è difficile oggi trovare persone da assumere qualificate, le competenze che cerchiamo non ci sono. Questo dovrebbe farci riflettere, velocemente, su alcune politiche: per aumentare il PIL dobbiamo aumentare la forza lavoro, per farlo o ci mettiamo a fare quattro figli per coppia oppure portiamo in Italia delle persone che arrivano da altre realtà e le formiamo. L’immigrazione deve essere percepita come elemento di crescita.

Un altro elemento per crescere è la capacità di inventarsi le materie prime, inventarsi nel senso che quando vent’anni fa gli USA hanno compreso che avevano un problema con il petrolio si sono inventati investimenti mostruosi in shale, nella frammentazione della roccia per tirare fuori combustibili laddove sembrava impossibile. Hanno messo in sicurezza la produzione, una materia prima fondamentale per lavorare. Uno può storcere il naso dicendo che questo comporta problemi ambientali; è vero, lo shale fa disastri ambientali. E gli USA come hanno risolto il problema? Fregandosene. Noi in Europa non possiamo fare la stessa cosa perché siamo troppo popolati, gli americani sono in America un paese che ha grandi spazi disabitati. Ma avessimo avuto spazi noi in Europa non l’avremmo fatto lo stesso.

Sulla Cina: è una economia semi capitalistica, ormai di mercato per certi versi e non di mercato per altri a causa in particolare di un aspetto: il controllo delle imprese. Tante imprese, anche le grandi imprese, infatti, non hanno un Azionista che chiede i dividendi, un Azionista che voglia il risultato del capitale versato, e quindi cosa fanno le imprese? Non dovendo ripagare il capitale investito, reinvestono, e così aumentano la capacità produttiva. Aumentando la capacità produttiva hanno bisogno di vendere e se la capacità produttiva aumenta il mercato interno non assorbe, per quanto la Cina abbia 1.3 miliardi di abitanti (noi in Europa siamo 500 milioni) devono assolutamente vendere l’eccesso di capacità che hanno generato a forza di investimenti. Questo eccesso di capacità deve essere quindi venduto all’estero, e qui parte il problema perché ovviamente si vende a prezzi decrescenti: è lecito pensare che un paese con una economia dove il capitale non viene remunerato (e quindi costa zero) sia un paese che surrettiziamente agevola in maniera scorretta rispetto da regole di mercato l’economia? Gli USA a questo rispondono con i dazi, ne è un esempio il 100% di dazio sulle auto cinesi esportate in Stati Uniti, ma alla lotteria dei Dazi c’è chi vince e chi perde però alla fine chi paga il prezzo è consumatore, che si trova con prezzi al consumo più elevati.

Quanto all’Europa, è l’arbitro, il regolatore, e si tratta di capire cosa farà la Commissione Europea, il Parlamento Europeo del rapporto sulla competitività di Mario Draghi. Dovessimo riuscire a mettere sul tavolo quelle cifre in maniera razionale, probabilmente ci troveremo di fronte a un’Europa completamente diversa nell’arco dei prossimi anni. Non ho letto il rapporto di Draghi ma non penso sia una provocazione, penso che sia una strada percorribile. Tuttavia, se mi chiedete se penso che sia probabile che si riesca in fretta a mettere sul tavolo cifre di questo tipo con il consenso europeo avrei diverse perplessità…facciamo fatica a fare cose molto più piccole.

Venendo a Mattarella: ha detto che probabilmente il mercato ha bisogno di mettere a posto i tassi sul debito pubblico e questo perché la Germania paga 1.5% in meno sul debito a 10 anni di quanto paga l’Italia, la Francia paga 0.8% in meno. Se l’Italia avesse la possibilità di risparmiare un punto percentuale a regime, un punto percentuale su 3mila miliardi fanno 30 miliardi di euro, che sono poco meno dalla metà degli oneri finanziari che oggi paghiamo, che sono l’equivalente di due manovre finanziarie, ovvero quanto basta per alternativamente rilanciare gli investimenti nel nostro Paese o ridurre in maniera sensibile il rapporto deficit/PIL, e per questa via ridurre di qua a qualche anno il rapporto debito/PIL. Un’altra battuta che ho sentito a Cernobbio da alcuni professori americani è “ricordatevi che i mercati vi danno un sacco di corda quando avete bisogno di prendere finanziamenti, tanta corda, così quando poi arriva il momento vi impiccate facilmente”. Con 3.000 miliardi di debito e 140% di debito sul PIL, in Italia se qualcosa va storto siamo male, dovremmo ridurlo e questa è stata l’esortazione del Presidente della Repubblica. Però è anche vero che l’Italia a fronte di 3.000 miliardi di debito pubblico ha 10mila miliardi di ricchezza privata. Ora, le partite non si possono compensare, fosse così semplice uno taglia i 3000 miliardi contro 3000 miliardi di ricchezza privata, ma si chiama patrimoniale ed è un decisamente impopolare e soprattutto non ha senso ed è profondamente ingiusta. Resta il fatto che da vent’anni ormai l’Italia, salvo situazioni particolari come quella dell’ultimo paio d’anni con il superbonus, ha messo i saldi primari, cioè prima degli oneri finanziari, in ordine, abbiamo la spesa pubblica relativamente sotto controllo, al netto del superbonus. Le entrate corrono e il rapporto tra entrate e uscite non sta andando male. Non si può dire la stessa cosa né della Francia né della Germania. In Francia la spesa pubblica è abbastanza fuori controllo; Barnier probabilmente riuscirà a formare un governo di coalizione, e i governi di coalizione sono la cosa migliore del mondo per spendere di più e incassare di meno, per cui si dice che la Francia rischia di raggiungere il rapporto debito/PIL dell’Italia arco di pochi anni. La Germania ha un debito/PIL nettamente più basso, nel Paese sono 30 anni che non vengono fatti investimenti necessari per innovare le infrastrutture, sono 20, 30, forse 40 punti di PIL che sono in ritardo nella collocazione: dovranno farli prima o dopo. Anche in Germania oggi la situazione del governo è terribilmente delicata, coalizione, equilibrio, equilibrismo, equilibri imperfetti, equilibri instabili, non equilibri. Non voglio dire che la Germania e la Francia stanno male e per noi va bene, dico che probabilmente non trova adeguata giustificazione lo spread che oggi i mercati richiedono per sottoscrivere il debito italiano, e il 75% circa del debito pubblico italiano è sottoscritto da soggetti italiani. Quindi dopo aver detto che sarebbe giusto che l’Italia pagasse meno per il debito pubblico, aggiungo che, se l’Italia pagasse meno per il debito pubblico, ci sarebbero un sacco di italiani che sarebbero un po’ più poveri. Un esempio, fino a qualche tempo fa, era il Giappone, con il 95% sottoscritto dei giapponesi.

Per assurdo, abbassare, come dicevo, i tassi di interesse sul debito pubblico creerebbe qualche mal di pancia ad una serie di risparmiatori privati italiani. Ma nello stesso tempo capite che proprio perché il debito pubblico è sottoscritto per lo più da italiani, allora non si giustifica tanto il fatto che gli investitori internazionali lo considerano così rischioso da richiedere 1,5% in più del debito tedesco o 0,80% in più del debito francese. Questa cosa è un po’ un’anomalia. Io credo che ci sia spazio per ridurre questo spread e siccome ci piace mettere i nostri impieghi dove mettiamo i nostri pensieri, Cherry Bank, ha una quota importante del suo bilancio investito in titoli di stato perché pensiamo che il debito pubblico italiano sia di qualità superiore alla percezione dai mercati. Dovessimo avere ragione – e per ora ce l’abbiamo perché abbiamo comprato a cifre più basse del valore attuale – sarebbe bene per i nostri conti, naturalmente.

In questo quadro cosa accade ai tassi di interesse? I tassi di interesse riguardano un po’ tutte le imprese, gli imprenditori e anche gli investitori perché sono un elemento importantissimo della nostra attività. Sei mesi fa la situazione non era chiara, oggi la situazione si sta chiarendo, giovedì, la BCE dovrebbe calare i tassi di 25 centesimi portando i tassi di riferimento dal 3,75 al 3,50. Ci aspettiamo che nell’arco di 9/12 mesi i tassi di interesse scendano fino al 2,50%, vuol dire un punto e mezzo meno dei massimi di 6/8 mesi fa. Un punto e mezzo è quanto serve ora per raggiungere il tasso neutrale, se esso è il 2,5%. Non torneremo con i tassi a zero che abbiamo visto dai tempi della grande crisi finanziaria in avanti, quindi del 2012, 2011, 2013. I tassi a zero sono stati un’anomalia e io credo che non li vedremo mai più, lo spero perché se dovessimo rivederli di nuovo vorrebbe dire che abbiamo un problema molto serio che richiede i tassi a zero di nuovo e auguro al nostro pianeta che non accada. Se BCE va nella direzione che ci immaginiamo, questo comporta che le banche, il sistema finanziario in generale, si adatta istantaneamente a questi tassi. Vince chi ha la possibilità di indebitarsi a tassi più bassi; perde chi poteva sperare di continuare a mettere i soldi in conti deposito o in titoli di stato a rendimenti più alti. Vincono le imprese che si indebitano sul breve termine, vincono le famiglie che pagarono i mutui a tasso variabile. Chi pensava di ottenere rendimenti elevati sui conti deposito fa la più fatica. Il punto però è un punto delicato, questo è uno delle cose meno belle che devo dirvi, è che sono 14 anni che l’ammontare di credito che le banche erogano alle imprese in senso stretto, è in calo. Siamo arrivati a circa 600 miliardi di euro che le banche prestano alle imprese, partendo da 1.050 miliardi. È un trend che noi vediamo, in banca, lo vediamo nelle banche, lo vediamo nel sistema bancario: si fa sempre fatica a erogare denaro. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’operazione straordinaria che io considero estremamente corretta da parte della finanza pubblica che è stata l’erogazione di garanzie pubbliche, le famose MCC, SACE e quant’altro, che hanno coperto fabbisogni anche con copertura fino al 100%, quindi per una banca erogare credito a fronte di garanzie così elevate, non dico che era un gioco da ragazzi, ma quanto meno era molto semplice, perché non prendevi sostanzialmente rischio di credito. La finanza pubblica, lo stato, il governo ha voluto che le banche fossero sostanzialmente agenti del meccanismo di trasmissione della finanza pubblica. Tuttavia, comincio a pensare che le banche hanno disimparato come si fa credito, ed è una cosa molto pericolosa. Le garanzie pubbliche sono state date anche in risposta alle pandemie, alla crisi delle materie prime, la guerra, eccetera, è stato giusto che vi sia stato un supporto pubblico importante, come quello così come è giusto che oggi questo supporto pubblico venga ridotto. Verrà ridotto un po’ una volta, arriverà a zero, o resterà presente solamente in alcuni settori. A quel punto si tratta di capire chi darà ancora soldi alle imprese, anche perché anche la banca, in linea di massima – per noi lo certamente è così – è un’impresa. E una impresa deve perseguire il profitto. Non mi vergogno minimamente a dirvi che fare credito alle imprese oggi per una banca, spesso, non è neanche un gioco a somma a zero: è in perdita. Noi banche abbiamo bisogno di raccogliere fondi, ci sono quattro elementi che compongono il costo di fare credito per una banca. Dobbiamo tenerne conto e compararlo con il ricavo che otteniamo dai prestiti delle imprese. Il costo del capitale che noi dobbiamo mettere da parte per supportare l’impresa dipende anche dalla garanzia pubblica, il fatto che la garanzia pubblica non ci sia più fa sì che noi circa il 15% dei fondi che diamo l’impresa devono essere pagati con capitale proprio che ci costa il 14%. Quindi vuol dire che per il 15% il nostro costo dei soldi che diamo l’impresa non è il 2,5 ma il 14%. Poi c’è il costo del rischio: se c’è la garanzia pubblica nessun problema ma, se qualcosa va storto dobbiamo mettere noi da parte. Quanto? diciamo lo 0,5% o 0,6% in periodi buoni e quando va male diciamo il 2%, volete farvi un conto semplice? Il 1%. E in più dobbiamo gestire il rapporto. Questi 4 elementi, – costo della liquidità, costo del capitale, costo del rischio, costo della gestione – formano il nostro costo per finanziare l’impresa. Della altra parte c’è ricavo e vi assicuro che l’Euribor +1 non è un tasso mediamente possibile. È un elemento che spesso sfugge, ma non è credibile che una banca impresa presti soldi all’Euribor o all’Euribor +1 e che si fermi lì. O c’è dell’altro oppure c’è cosa che non funziona.

Noi, Cherry Bank, faremo l’impossibile per continuare a finanziare, pur restando un’impresa. Però a livello di sistema mi aspetto che ci siano delle difficoltà, crescenti, da parte delle banche a supportare le imprese. E ancora una volta l’Europa con la sua voglia di regolamentare tutto il possibile, a stretto il sistema bancario in una morsa dalla quale è oggi difficile uscire, sarà una partita particolarmente complicata. 

Cherry Bank ha sede a Padova dal 2020. Siamo nati veramente come banca (prima eravamo una finanziaria) alla fine del 2021, dalla fusione di Cherry 106 in Banco delle Tre Venezie che è dato origine a Cherry Bank. Non siamo riusciti a passare un anno stando fermi e a fine 2022 e a inizio 2023 siamo cominciati a muoverci per crescere con un’altra banca, Banca Valconca, che è ormai perfettamente integrata nel sistema di Cherry Bank. Stiamo andando bene, difficile spiegare come si fa a partire in 12 del 2020 quando non eravamo banca e trovarsi quattro anni dopo in 540. L’intenzione che abbiamo è quella di continuare a essere un partner intelligente e stimolante per le imprese con cui dialogare. Abbiamo tante risorse sul territorio che possono dare una mano ed essere punto di confronto con le imprese, con le famiglie, e anche più recentemente anche nel comparto del Wealth Management stiamo cominciando a fare delle cose nuove. Ne vedrete molte nei prossimi mesi, nel prossimo anno, ma devo dire che non avrei immaginato quando siamo partiti di arrivare così lontano, così in fretta”.

Cherry Bank S.p.A.

Cherry Bank S.p.A. è la banca guidata da Giovanni Bossi, specializzata nei segmenti retail, corporate e wealth management nonché attiva negli NPL, nelle special situations e nei crediti fiscali. Offre ai privati un ampio ventaglio di servizi bancari, sia fisici che digitali, con un’attenzione anche verso l’ambito del wealth management per individuare soluzioni di risparmio ed investimento su misura. Una Human Bank italiana che nasce da soci imprenditori e che con questo spirito affronta la realtà contemporanea del mondo del credito.

Cherry Bank conta su più di 540 risorse, filiali e hub territoriali in 6 regioni d’Italia, oltre alla sede di Padova.

 

Info:

www.cherrybank.it