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Dopo decenni di ricerche pubblicati i due volumi "Mestieri e botteghe Riminesi del Quattrocento"


Così Oreste Delucca fa rivivere la città medievale


30 Settembre 2024 / Paolo Zaghini

Oreste Delucca: “Mestieri e botteghe Riminesi del Quattrocento” (2 volumi)
Panozzo

Aiuto, Oreste!! 1.400 pagine, con grafici, dizionarietti, testamenti in latino, immagini, tavole statistiche, glossario, quattro indici (delle persone, dei luoghi, dei mestieri, degli autori). Due volumi densi (anche pesanti materialmente) compongono l’ultima fatica di Oreste Delucca che ha portato a sintesi in questa opera molti decenni di lavoro e ricerche (avviate dal 1965) in archivi e biblioteche, riminesi e non.

Tutto quello che volete sapere sulla Rimini del Quattrocento qui c’è: le sue contrade e i suoi borghi, le monete e i pesi usati, le sue corporazioni professionali, le sue botteghe, gli oltre duecento mestieri censiti, il lavoro delle donne, il sistema fiscale, l’anagrafe delle oltre cinquemila persone censite (5.064 per l’esattezza: in quei decenni Rimini aveva una popolazione che raggiungeva a mala pena le 10.000 anime). Come può un povero “segnalatore” di libri dar conto della ricchezza dei temi da Te affrontati e delle tante suggestioni storiche che offri al lettore?

L’unica cosa che posso fare, per i miei abituali lettori, è provare a “spigolare” qui e là un po’ di informazioni tratte dai due volumi. Di più non mi sento di fare, anche se mi auguro che altri storici scrivano, commentino, pubblicizzino questa straordinaria opera, frutto della pazienza, della metodicità, della capacità di Delucca.

Nel Quattrocento Rimini appartiene al novero delle città centro-settentrionali italiane di media grandezza. “Non possiede attività industriali, o comunque extra-agricole, di qualche rilievo. I settori artigiano e mercantile sono dediti essenzialmente alla manipolazione ed alla commercializzazione delle materie prime derivanti dall’agricoltura. Mancano i grossi mercanti (…) pur tuttavia la presenza del porto garantisce una certa vivacità dei traffici e del movimento delle persone (…). Ulteriore dinamismo è dato dalla maggiore fiera annuale – quella di S. Giuliano”.

E poi Delucca prosegue: “Nel corso del secolo la presenza della signoria malatestiana riveste un ruolo altalenante: senz’altro positivi i decenni del governo di Carlo, che riesce a tenere la città in pace (…) più contrastato invece il periodo di Sigismondo Pandolfo, che se intraprende realizzazioni notevoli (come il Castello e il Tempio), però trascina Rimini nel vortice dei suoi conflitti e delle sue personali disavventure”.

“In età medievale la bottega cittadina è molto più importante di quanto non lo sia oggi. E’ innanzitutto il luogo privilegiato della produzione (…). La bottega è il regno del “maestro”, la sede del suo sapere, la fucina dove si materializzano l’estro e l’inventiva”.

Scrive Chiara Frugoni nella Presentazione: “Nel Quattrocento ogni singola cosa era fabbricata a mano ed esigeva una specializzazione perfino per un semplice chiodo, per una candela. Il rapporto fra uomini, fra acquirente e artigiano era continuo ed indispensabile.

Un pregio grande di “Mestieri e botteghe nel Quattrocento” è che l’autore non si limita a descrivere le operazioni necessarie per ottenere un determinato oggetto, non si limita a descrivere il mestiere, ma ha sempre presente l’uomo, le sue condizioni di lavoro, le leggi che lo favoriscono oppure lo limitano, insomma non impariamo soltanto a conoscere il manufatto ma la persona a cui lo si deve e le relative condizioni di vita”.

Delucca ha valutato la consistenza degli immobili presenti a Rimini in 2.500 edifici. La sua ricerca catastale gli ha consentito di esaminarne 2.000, e di contare 408 attività presenti in Città: “le botteghe della città sono dislocate prevalentemente sulla strada Maestra, dalla porta esterna di S. Genesio alla porta esterna di S. Giuliano, interessando i due borghi e tutte le contrade che si affacciano sulla strada grande e sulla piazza del Foro”.

Delucca elenca, sulla base delle carte d’archivio, 208 mestieri presenti a Rimini in quel secolo. La rassegna di questi vede la presenza di mestieri strani, anche solo per capire di che cosa si occupavano gli addetti: tipo il barattiere, il bastasio, il bombagiaio, il burattatore, il calcedraio, il caligaro, il calzaretto, il camangiarola, il cerbottanaio, il chiavere, il coltrario, il comestabile, il famulo, il fecciolaro, il feneratore, il gavagnone, il pelacano, il rivendugliola, il subichetto, il triccolo. Non sperate che vi dica io di quale attività si occupassero. Lo fa Delucca e vi dice anche in quanti a Rimini esercitavano quel mestiere strano.

“Tutti i 201 mestieri censiti meritano attenzione, anche quelli minori, perché sono tante piccole tessere di un mosaico il cui insieme aiuta a comprendere la realtà cittadina, in sostanza la vita di Rimini e del riminese”.

Di notevole interesse il capitolo dedicato al lavoro delle donne. “L’altra metà del cielo” rimane in ombra. Le donne titolari di una qualche impresa sono in numero ridotto. Fra i 5.064 individui censiti da Delucca, solo 37 sono donne.

Per chiudere vorrei ricordare gli altri principali lavori di Delucca dedicati al ‘400 riminese: “L’abitazione riminese nel Quattrocento. Parte prima. La casa rurale” (Patacconi, 1991) e “Parte seconda. La casa cittadina” (Patacconi, 2006), “Artisti a Rimini fra Gotico e Rinascimento” (Patacconi, 1997), “Ceramisti e vetrai a Rimini in Età Malatestiana” (Patacconi, 1998). Naturalmente l’enorme bibliografia di Delucca comprende tanti altri titoli in cui la Rimini malatestiana vive.

Paolo Zaghini

 


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