Home___primopianoGiovani in fuga all’estero: la provincia di Rimini ha perso una città come Riccione

Primo Silvestri e Alberto Rossini spiegano nel loro libro le paghe basse, il turismo che non si rinnova, i ritardi nello sviluppo


Giovani in fuga all’estero: la provincia di Rimini ha perso una città come Riccione


31 Ottobre 2024 / Redazione

“Rimini: uno sviluppo diverso è possibile. Ritardi, criticità, come uscirne” è il volume di Primo Silvestri e Alberto Rossini che sistematizza e sintetizza, in una visione di medio-lungo periodo, le informazioni disponibili e raccolte nel corso di un ventennio da TuttoRomagnaEconomia (TRE), inserto economico mensile del settimanale Il Ponte di Rimini.

“Quando parliamo di sviluppo – spiegano gli autori – in genere pensiamo alla crescita e a un aumento del nostro benessere, economico, sociale, culturale e ambientale. Tutto questo non può avvenire per caso, ma richiede scelte, opportunità e risorse da spendere, che da qualche parte devono venire. Qui entra in gioco il sistema economico del territorio e la sua capacità, che poi è quella delle persone, delle imprese e delle istituzioni che agiscono, in una cornice regionale e financo nazionale, di offrire infrastrutture adatte, competenze, lavoro e servizi necessari alla produzione della ricchezza. Se alla fine di ogni anno la torta (la ricchezza prodotta) sarà grande, e la ripartizione delle fette non troppo disuguale, se ne avvantaggeranno tutti, imprenditori (profitti), lavoratori (salari) e stato (tasse). Se la torta è piccola va da se che lo spicchio sarà più piccolo per tutti”.

“Ecco, la provincia di Rimini, e non da oggi, è in quest’ultima condizione: producendo meno valore economico rispetto al resto dell’Emilia Romagna, in particolare delle province emiliane, deve accontentarsi di salari più bassi, con alcune eccezioni, occasioni lavorative meno allettanti, minore domanda di laureati, maggiori difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro per giovani e donne, ritardi in taluni servizi. Però fermarci qui sarebbe furviante, perché l’economia, anche quella di Rimini, è fatta di imprese diverse, che operano in settori diversi e danno un contributo alla creazione di valore differente”.

“Manifattura e turismo, per fare solo un confronto, non sono la stessa cosa, né per i posti di lavoro che creano, né per il valore che aggiungono alla produzione di beni e servizi. Perché se la prima non è troppo distante dai valori medi della manifattura emiliana, dove questa attività ha una presenza più consistente e garantisce maggiore ricchezza, ad abbassare la media locale ci pensa il turismo, che in riviera offre lavoro ad una fetta consistente di forza lavoro, ma a condizione di tempo e monetarie sensibilmente inferiori. Intendiamoci, non si tratta di una criticità locale, anche se diversi turismi portano anche ad esiti diversi (per esempio, turismo balneare e colturale non si rivolgono alla stessa clientela), ma è una caratteristica che definisce il turismo di tutto il mondo. Il quale ha bisogno di tanta manodopera, in genere di profili medio-bassi, paga meno ed il lavoro è più precario”.

“Si può mitigare questo risultato spostandosi su segmenti di domanda più stabili e meglio paganti, ma una differenza rimarrà sempre. Almeno fino ad oggi è stato così. Allora, bisogna rinunciare al turismo, una delle risorse locali più rinomate ? No. Il turismo va preservato ma perché questo avvenga deve compiere un salto di qualità. Non che non ci sia stato, ma non basta. Bisogna investire sul rinnovo delle strutture e dei servizi, magari attrarre risorse finanziarie da fuori, non avere paura della concorrenza, che quando è sana porta sempre nuovi stimoli, ma va preso atto dei suoi limiti. Che non sono congiunturali ma strutturali”.

“Limiti che si possono compensare, aiutando le medie a risalire, a cominciare da salari e migliori opportunità d’impiego, con l’ampliamento e l’innesto sul territorio di nuove attività manifatturiere avanzate e servizi ad alto contenuto tecnologico, dove siamo più carenti. Un cambio di passo di questo genere non avverrà certo automaticamente o facendo affidamento sul mercato che, anzi, tende a rafforzare gli ecosistemi forti, ma facendo intervenire la politica, locale, regionale e nazionale. Non sarà un processo breve, richiederà qualche decennio, ma non ponendo mai il problema e non cominciando mai il risultato sarà che i nostri giovani continueranno ad emigrare, perché qui non si intravvedono le opportunità desiderate. E’ una questione di riequilibrio dello sviluppo regionale, di riduzione delle disparità, ma anche di giustizia economico-sociale. Niente di straordinario perché è previsto dal PNRR, dal Piano regionale per il lavoro e per il clima, firmato nel 2020, e da quello provinciale di due anni dopo. Firmati ma troppo spesso dimenticati”.

Rassegna delle principali criticità

Produzione di ricchezza

Nel 2022, la provincia di Rimini ha prodotto un valore aggiunto di 9,7 miliardi, cifra che corrisponde al sei per cento dell’economia regionale.

Ammontare che si traduce in un valore aggiunto per abitante di poco superiore a 29 mila euro, posizionando Rimini al penultimo posto, dietro c’è solo Ferrara, tra le province emiliano romagnole. “Purtroppo è la stessa classifica del 2019, quindi la pandemia, se qualcuno fosse tentato da questa spiegazione, non c’entra”.

La differenza di valore aggiunto pro capite con le province più virtuose, tutte emiliane, non è di poco conto: Parma +30 per cento, Reggio Emilia e Modena +25 per cento e Bologna +32 per cento. Differenza che, in luogo di ridursi, si è acuita dal 2010. Purtroppo a restare indietro non è solo Rimini, ma l’intera Romagna.

Solo per mettersi sul livello (come valore pro capite) delle province emiliane più virtuose il valore aggiunto della provincia di Rimini dovrebbe crescere del 40 per cento.

Salari minimi

“Se la torta (la ricchezza prodotta) è piccola, giocoforza lo saranno anche i salari e le opportunità di un buon lavoro”.

E’ quanto emerge osservando l’importo delle retribuzioni medie annue 2022 (ultimo dato disponibile, ma i precedenti non cambiano la situazione) che vengono pagate nel settore privato dell’economia, escluso l’agricoltura: 17 mila euro a Rimini, in assoluto l’importo più basso in Emilia Romagna, che diventano 21 mila a Forlì-Cesena e 22 mila a Ravenna, ma oltrepassano tranquillamente i 26 mila nelle province emiliane, ad eccezione di Ferrara e Piacenza.

Retribuzione che per le donne riminesi è ancora più bassa e non raggiunge 14 mila euro l’anno, a fronte di cifre superiori a 20 mila euro nelle province emiliane, in presenza di una media regionale di 19 mila euro.

Salari che classificano Rimini all’81° posto tra le 107 province italiane, con tutte le emiliane, escluso Piacenza, nei primi cinque posti (CGIA di Mestre).

“Come si spiega una differenza retributiva, di Rimini nei confronti delle province emiliane più dinamiche, così grande (a Parma, Modena, Reggio Emilia e Bologna si arriva a guadagnare quasi il 60 per cento in più) ? Qui entrano in gioco le diverse realtà economiche regionali:più manifatturiera l’Emilia e con aziende mediamente più grandi, un maggiore orientamento verso i servizi turistici le province romagnole, in particolare Rimini, dove, nel settore, operano circa cinque mila imprese, che danno lavoro a 35 mila persone. Lavoro prevalentemente stagionale e femminile, con una forte presenza di immigrati”, spiegano Silvestri e Rossini – La somma di lavoro breve (stagionale) e paghe basse comporta, a fine anno, una retribuzione media, per chi lavora nel turismo, di poco superiore a 8 mila euro, a fronte di 27 mila che paga la manifattura locale. Un divario retributivo, per un numero così grande di persone occupate nel turismo, che contribuisce non poco ad abbassare la media salariale provinciale e spiega la distanza tra le retribuzioni delle province emiliane e romagnole”.

Riminesi migranti

Bassi salari e minori opportunità lavorative, compreso la scarsa domanda di laureati, spingono molti giovani riminesi ad emigrare. Spesso per non tornare, con una perdita consistente di risorse umane, tra l’altro in un quadro demografico calante.

Solo i riminesi (della provincia) iscritti all’AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), da prendersi come cifra minima perché tanti non si iscrivono, sono cresciuti, dal 2015 al 2022, da 22 mila a circa 30 mila. Rappresentano quasi il nove per cento della popolazione provinciale: la percentuale regionale più alta. Praticamente una cittadina come Riccione si è trasferita all’estero.