Home___primopianoFemminicidi, “Dati allarmanti. Servono progetti di prevenzione rivolti anche agli uomini autori di violenza”

I dati legati agli omicidi all’interno dei nuclei familiari sono preoccupanti


Femminicidi, “Dati allarmanti. Servono progetti di prevenzione rivolti anche agli uomini autori di violenza”


22 Novembre 2024 / Redazione

“I dati legati agli omicidi all’interno dei nuclei familiari sono allarmanti. Il 46% dei casi è attribuito a partner, il 12,4% a ex partner”.  In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, la dottoressa Katuscia Giordano, psicologa esperta in comunicazione e gestione delle crisi, dati alla mano, interviene sul tema, insieme ai colleghi di Altra Psicologia Emilia Romagna, lunedì 25 novembre alle ore 19:30, nell’incontro online ‘Autori di violenza – La realtà dei Cuav’.

Quali sono le dimensioni del fenomeno degli omicidi in ambito familiare in Italia?

“I dati sono allarmanti. In Italia, quasi un omicidio su due avviene in ambito familiare. La maggior parte dei femminicidi viene perpetrata da partner o ex partner. Quasi la metà dei casi, il 46%, è attribuita al partner attuale, mentre il 12,4% riguarda ex partner. Il contesto domestico resta un luogo di rischio significativo per le donne. I dati ci dicono che gli autori di femminicidi appartengono soprattutto alla fascia d’età tra i 46 e i 60 anni, seguiti da quella tra i 36 e i 45 anni. Leggere questi dati ci mette di fronte al fatto che le donne, di tutte le età, sono nella maggior parte dei casi uccise da mariti, ex compagni, familiari, uomini a loro vicini. I femminicidi coinvolgono soprattutto donne in condizioni di fragilità. Il dramma dei femminicidi, inoltre, ha un’incidenza tragica sui minori che rimangono orfani o uccisi dai padri per “punire” le madri. Un aspetto ancora poco indagato, altrettanto doloroso, riguarda i suicidi indotti dalla violenza. Molte donne, schiacciate da anni di abusi fisici e psicologici, vedono nella morte l’unica via d’uscita. Rappresenta un ulteriore volto nascosto di questa emergenza sociale”.

Quali sono le cause del proliferare dei femminicidi?

“Il tragico fenomeno affonda le sue radici in una cultura impregnata di stereotipi e disuguaglianze di genere, che favorisce la nascita e il perpetuarsi della violenza. Dobbiamo concentraci sia sulle azioni di protezione che su quelle di prevenzione. Se da un lato è essenziale proteggere e sostenere le donne nel loro percorso di uscita dalla violenza e di riacquisizione dell’autonomia, dall’altro dobbiamo impegnarci a cambiare la mentalità collettiva, cercando di rafforzare e promuovere una rete attiva sul territorio – dai centri antiviolenza e case rifugio agli enti pubblici, dai servizi sociali a quelli educativi, dalle forze dell’ordine alle associazioni – per creare un’ossatura fondamentale per contrastare il fenomeno. Solo attraverso una stretta collaborazione tra tutte queste realtà sarà possibile sradicare la violenza. Fondamentali sono anche i Cuav, centri per uomini autori di violenza”.

Esistono segnali premonitori che possono indicare un rischio di escalation verso l’omicidio?

“Assolutamente sì. Parliamo dei cosiddetti ‘reati spia’, come gli atti persecutori, i maltrattamenti contro familiari o conviventi e le violenze sessuali. Questi comportamenti sono spesso precursori di episodi più gravi. Proprio per questo nel 2019 è stato introdotto il ‘Codice Rosso’, una legge che prevede una corsia preferenziale per le denunce di violenza domestica e di genere, accelerando le procedure giudiziarie e aumentando le pene per questi reati. È uno strumento importante, ma serve anche una maggiore consapevolezza da parte delle vittime e della comunità che le circonda. Per chiunque abbia bisogno di aiuto, è stato istituito il servizio pubblico 1522, un numero gratuito attivo 24 ore su 24, gestito da operatrici formate per accogliere richieste di aiuto e sostegno”.

Cosa ci può dire degli orfani di femminicidio?

È fondamentale supportare con competenze specifiche il vissuto dei bambini e delle bambine che subiscono violenza, sia essa diretta, indiretta o assistita. Lo stesso vale per gli orfani di femminicidio e per le famiglie affidatarie che si prendono cura di loro, realtà che necessitano di interventi qualificati e di una profonda conoscenza delle problematiche. Affrontare il tema della violenza, in ambito psicologico, significa non solo lavorare per prevenire e intercettare situazioni di rischio, ma anche garantire a tutti gli attori coinvolti adeguate forme di protezione e opportunità di ricostruzione di una vita serena. Serve un coordinamento multiprofessionale. Solo con un sistema strutturato e ben organizzato possiamo offrire a questi bambini il sostegno necessario per costruire un futuro di speranza, lontano dalla violenza che ha segnato la loro vita”.

Dottoressa Katuscia Giordano, psicologa esperta

Qual è il ruolo delle armi detenute legalmente in questi contesti?

“La presenza di un’arma in casa, anche se detenuta legalmente, aumenta notevolmente il rischio che un conflitto domestico sfoci in un omicidio. Studi internazionali dimostrano che la disponibilità di armi da fuoco in ambito domestico è fortemente correlata all’aumento di esiti fatali. È necessario sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema, promuovendo una gestione più responsabile e consapevole delle armi”.

Quali strategie possiamo adottare per prevenire la violenza domestica?

“La prevenzione passa attraverso l’educazione e la sensibilizzazione. Promuovere una cultura del rispetto e dell’uguaglianza di genere sin dalla giovane età è fondamentale per costruire modelli relazionali sani e positivi. Un aspetto cruciale è prestare attenzione al linguaggio, spesso portatore di stereotipi di genere, e investire nell’alfabetizzazione emotiva, affinché le persone possano riconoscere, esprimere e gestire le proprie emozioni in modo responsabile e costruttivo. Parallelamente, è indispensabile rafforzare le reti di supporto per le donne che affrontano situazioni di violenza, offrendo loro strumenti concreti per riconoscere e superare queste esperienze. Serve investire in servizi e interventi capaci di garantire protezione e percorsi di ricostruzione”.

In che modo la società civile può contribuire a contrastare questo fenomeno?

“Ognuno di noi può svolgere un ruolo attivo come sentinella contro la violenza, imparando a riconoscere i segnali di rischio e a orientare chi ne ha bisogno verso le reti antiviolenza. Per chi opera in settori chiave  (come il sistema sanitario, educativo, sociale o nelle forze dell’ordine) un aspetto determinante riguarda la formazione. Sviluppare competenze specifiche per intercettare situazioni di pericolo, evitare di rinforzare stereotipi e accompagnare le donne verso percorsi di aiuto concreti, rispettosi ed efficaci. La violenza domestica non è un problema privato, ma una questione sociale che richiede l’impegno di tutti”.

Un messaggio finale in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne?

“Questa giornata ci ricorda che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani che non possiamo tollerare. Dobbiamo lavorare insieme per costruire una società in cui ogni donna possa sentirsi al sicuro e rispettata. La strada è lunga, ma con l’impegno collettivo possiamo fare la differenza”.

L’incontro potrà essere rivisto sul canale YouTube a questo link: https://youtube.com/@psicologiemilia-romagnaaltraps