Per il momento abbiamo pensato solo al corpo, anzi per dirla come va detto, alla pancia. Perché il corpo è il corpo, e come dicono a Cesena, il coorpo, con due o, non deve patire mai. Specialmente a Natale.
Ma il dilemma, l’atroce dilemma, meglio ancora l’amletico “to be or not to be” perché l’inglese fa più figo è: il cappelletto a mano o con lo stampino? L’azdora, nella triste e vituperata società patriarcale, dove il cappelletto si mangiava, se andava grassa due volte l’anno, faceva, giustamente, come le pareva. Non era la forma che caratterizzava i tempi andati, ma la sostanza. Oggi il dilemma si impone con la sua feroce brutalità. Se sei hegeliano, ed io lo sono, cerchi la sintesi.
Oggi gli hegeliani non vanno di moda e la sintesi è una chimera. Ma torniamo al desiderato cappelletto. Già sul ripieno le versioni sono diversissime, ed io umile scriba, non posso, non avendo competenze, indicare la via. Ma il brodo è fondamentale. Il problema sono i capponi. In tempi ormai lontani il cappone natalizio veniva da Montecerignone, era il regalo di Giovannone della Fagiola. Ma non c’è più il ruspante galletto castrato, e neppure il mio amico.
Rurali sempre.
Enrico Santini