Cecilia Sala, la giornalista incarcerata dagli ayatollah Christian Gualdi e Luca Perazzini, i due alpinisti di Santarcangelo periti sul Gran Sasso, Ottavia Piana, la speleologa recuperata dall’abisso di Bueno a Fonteno, i migranti annegati nel Mediterraneo: diverse le persone, le loro motivazioni, gli esiti delle rispettive vicende.
Unico punto in comune, la stizzita reazione che suscitano in una parte dell’opinione pubblica, quella che oggi ha la possibilità di sversare i propri veleni interiori nell’oceano del web: «Se la sono cercata». Perfino Francesca Ianni, la signora morta a Roma nel giardino pubblico sotto casa, schiacciata da un albero sotto gli occhi dei suoi tre bambini, non è sfuggita al verdetto dei leoni da tastiera: è uscita nel parco dopo una tempesta di vento, ergo, anche lei se l’è cercata.
Secondo questi maestri di vita, per «non cercarsi» una disgrazia, o una disavventura che richieda l’intervento di soccorritori «pagati con i nostri soldi» (il «nostri» va preso con beneficio d’inventario, prima bisognerebbe vedere quanto dichiarano e quante tasse pagano i soloni della rete), ci sarebbe solo un modo: stare in casa, uscire il meno possibile e solo in luoghi vicini e ben conosciuti, non fare mai nulla di nuovo, poco collaudato, diverso da quel che fanno tutti. Al confronto, il vecchio padron ‘Ntoni dei Malavoglia è un pazzoide appassionato di sport estremi.
In un certo senso anche il victim blaming, incolpare le vittime, è uno sport estremo, un’immersione nelle profondità più nere dell’animo umano, dove non esistono empatia o pietà e a causa della mancanza di ossigeno sopravvive solo la dissonanza cognitiva. Perché basta dare un’occhiata alle cronache per constatare che ultimamente si contano più italiani morti fra le mura domestiche che in canaloni ghiacciati o in grotte inaccessibili.
Pensiamo alle vittime di femminicidio, quasi sempre massacrate in camera da letto, in cucina o davanti all’ingresso: una donna non ha bisogno di andare in Iran e di farsi rinchiudere nel famigerato carcere di Evin per essere ammazzata di botte, le basta non cambiare la serratura dopo una separazione. E non c’è bisogno di fare i reporter in una zona di guerra per morire in un’esplosione, si può benissimo saltare in aria insieme alla propria villetta a causa di una fuga di gas, com’è accaduto una settimana fa a due famiglie, non a Gaza o in Ucraina, ma in Garfagnana e in provincia di Parma. Se il destino ha stabilito che morirai per uno scivolone, che tu sia nella tua doccia o su una parete del Gran Sasso per te non fa molta differenza, se non che, nel secondo caso, l’ultima cosa che avrai visto non sarà la tazza del tuo wc.
Che poi, attenzione: quando i leoni da tastiera e i campioni di victim blaming sono obbligati a «stare a casa» per proteggere la loro salute e quella degli altri, come è successo con la pandemia, piangnucolano perché si sentono conculcati, oppressi, incarcerati, rivendicano il loro diritto alla libertà e alle avventure no limits. Anche loro se lo vanno a cercare. Il vaffanculo.