Medici di famiglia dipendenti delle Case di Comunità? Insorge sindacato autonomo SNAMI ER
12 Gennaio 2025 / Redazione
Il Consiglio Regionale dello SNAMI Emilia-Romagna insorge: “La proposta trapelata nei giorni scorsi di assumere i Medici di Famiglia come lavoratori DIPENDENTI e SUBORDINATI per riempire forzosamente un progetto oramai ritenuto ampiamente critico, come quello delle Case della Comunità rappresenta un grave errore che comprometterà se così attuato sia qualità e l’efficienza del nostro sistema sanitario territoriale a meno che non sia ribaltata su di esso una vagonata di miliardi”.
Spiega il sindacato autonomo dei medici di famiglia: “Questa soluzione nel contesto attuale appare come una toppa peggiore del buco, capace solo di aumentare le criticità esistenti senza affrontare i veri problemi della medicina di base. Si cambia il contenitore senza ragionare dei problemi del contenuto e del sistema, realizzando uno scenario paradossale: nemmeno negli ospedali i medici rimangono più come “Dipendenti-Subordinati” ai vari nominati, spesso con ampia ingerenza politica, l’esplosione del crescente e per nulla revertito fenomeno dei gettonisti ne è testimonianza lapalissiana, e si vorrebbe, invece che correggere i problemi, moltiplicarli su tutto il sistema sanitario!!!”.
“I Medici di Famiglia, con sempre crescenti difficoltà inserite da una decennale governance priva di vision strutturale, svolgono e dovrebbero poter continuare a svolgere, il ruolo fondamentale di GARANTE degli interessi dei cittadini presi in carico, liberi e autonomi da gerarchie come chiunque sia esercente una professione liberale. Essere appunto “libero da interessi”, libero da condizionamenti, libero da tutto quel sistema che oggi pone pressione sui medici dipendenti che scappano sempre più numerosi da una gestione gerarchica spesso degenerata nel tempo al punto da non consentirgli più di lavorare con la necessaria serenità e sostenibilità sia sul piano umano che su quello professionale. Voler oggi trasformare questi professionisti in “dipendenti” delle delle Case della Comunità significa in ultima analisi snaturare la loro funzione primaria ed il loro ruolo di garanzia autonoma, libera da ingerenze, riducendo e contraendo, come già avvenuto in tanta parte dell’assistenza ospedaliera, autonomia decisionale e burocratizzando ulteriormente la gestione dei pazienti”.
“Le Case della Comunità, concepite come presidi sanitari di prossimità, sono in realtà l’esatto contrario rispetto l’odierna capillarità degli studi. Le Case della Comunità, frutto ed evoluzione di un vecchio e utipistico progetto politico del centrosinistra, rischiano di diventare centri poliambulatoriali sovraccarichi e soprattutto impersonali, forse capaci di erogare prestazioni in una logica industriale più che “aziendale”, ma incapaci di rispondere efficacemente alle esigenze di relazione e di vincolo fiduciario che i cittadini meritano e che la letteratura ci dice essere fondamentale parte della cura. La soluzione non è assorbire i medici di famiglia nel sistema pubblico come lavoratori SUBORDINATI, ma aggiornare con logica e visione le regole convenzionali, potenziando le funzioni e competenze attribuite, a partire dal percorso formativo, negoziando regole aggiornate per contestabilità del curante e standard di accreditamento delle prestazioni da erogare, in una logica di programmazione vera, che non sia il circo dell’incompetenza finora subito da tutti, medici e cittadini, per colpa di amministrazioni regionali tutt’altro che competenti sulla materia”.
“Semplificare i processi amministrativi e garantire risorse adeguate per svolgere al meglio il loro ruolo, questo manca in qualunque proposta dal governo centrale in giù. In un momento in cui la sanità territoriale necessita di rafforzarsi per rispondere alle crescenti esigenze di salute della popolazione, è fondamentale riscrivere la figura del medico di famiglia in senso migliorativo, non in senso distruttivo, come pilastro centrale del sistema. Occorre puntare su investimenti mirati, strumenti innovativi e una maggiore integrazione tra i diversi livelli di assistenza, senza compromettere l’efficacia del servizio offerto. Nel modo che si propone invece, alcuni vantaggi ci saranno in effetti: ma non per il sistema e non per i cittadini”.
“Invitiamo pertanto le istituzioni a riconsiderare questa scelta e ad avviare un confronto serio con i professionisti del settore per individuare soluzioni concrete e sostenibili che rispondano davvero ai bisogni del sistema nel suo complesso”, conclude lo SNAMI Emilia-Romagna.