A Rimini tante le imprese straniere, aumenta chi non cerca più lavoro, i dirigenti sono tutti maschi
22 Dicembre 2023 / Redazione
Chiamamicittà.it continua ad analizzare i dati forniti dalla Provincia di Rimini. Questa la parte che riguarda le imprese e il lavoro.
Le imprese attive nel 2022 erano 35.154. In crescita rispetto agli ultimi anni ma in diminuzione rispetto al 2011. Questo dato in sé non fotografa realmente la situazione. Infatti sono in diminuzione rispetto al 2011 imprese artigiane e quelle femminili. Viceversa le imprese straniere aumentano di 1.200 unità; ben vedere il dato è tenuto in piedi proprio da loro. Male anche le imprese giovanili seppur in modesta ripresa negli ultimi anni.
La parte più rilevante delle imprese opera nel settore del commercio con il 24% del totale. Seguono le costruzioni con il 15% e i servizi alberghieri e ristorazione con il 13%. Sostenuta anche l’attvità immobiliare. L’agricoltura si attesta sul 7% sul totale delle attività.
Interessante il capitolo Lavoro
Gli occupati nel 2022 erano 144.752, in calo di 6mila unità rispetto al 2018. Diminuiscono anche i disoccupati, di oltre 3mila unità. Questi dati sul mercato del lavoro danno un quadro contraddittorio, che si può spiegare con la crescita degli inattivi, cioè degli scoraggiati che non hanno un lavoro e hanno smesso di cercarlo, soprattutto tra i giovani. Gli inattivi sono cresciuti in 4 anni di 10mila persone arrivando al 30% della potenziale forza lavoro. Evidente che il covid ha accentuato un processo di uscita dal lavoro rispetto al passato.
I dipendenti nel settore privato (senza agricoltura) ci danno un quadro che rispecchia i problemi del mondo del lavoro nel nostro territorio.
Il 23% della forza lavoro attiva ha un contratto a tempo determinato. Il 56,2% un contratto a tempo indeterminato e il 20,45% un contratto stagionale, con una presenza femminile maggiore di quella maschile. Le diseguaglianze più consistenti riguardano la retribuzione tra maschi e femmine. Nei contratti a tempo determinato la differenza annua è di 1.589 euro in meno per le donne. -8.063 euro nei contratti a tempo determinato e -582 euro nel lavoro stagionale. Evidente da questi dati che i lavori a tempo indeterminato che prevedono anche qualifiche e carriere, penalizzano le donne in maniera consistente. Queste sono occupate in misura maggiore degli uomini nel settore del commercio, dell’alberghiero e della ristorazione.
Il tasso di disoccupazione colpisce in particolare i giovani da 15 ai 24 anni. Alto il tasso di disoccupazione delle donne dai 35 ai 49 anni.
ùLe donne sono penalizzate tra i quadri, 31% di femmine contro il 69% di maschi. Ma soprattutto tra i dirigenti si vede la differenza di genere: il 12% delle donne contro l’88% degli uomini. In compenso le donne sono maggioranza tra gli impiegati.
Il quadro complessivo sul lavoro segnala una differenza consistente tra maschi e femmine. Le donne che lavorano sono meno degli uomini e, soprattutto, difficilmente ricoprono incarichi di responsabilità. Si tratta di fenomeni che sono comuni anche agli altri paesi europei, ma che vedono l’Italia in una condizione di ancora maggiore ritardo. Le donne italiane rimangono ancora, in gran parte, prigioniere degli stereotipi e di iniziative e servizi che non sono sufficienti per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Lavorare e formarsi una famiglia ancora oggi rimangono per molte due percorsi paralleli e incompatibili. Succede così che se per gli uomini il tasso di occupazione è man mano più elevato con la crescita del numero dei figli (a sottintendere che la crescita dell’età e delle necessità economiche sono accompagnate dal raggiungimento progressivo di una stabilità familiare e lavorativa), per le donne si verifica il fenomeno opposto, per cui con l’aumento dei figli diminuiscono le donne che hanno un lavoro. In conclusione, c’è tanto lavoro da fare per diminuire le differenze di genere.