Agosto moglie mia non ti conosco: ma ormai chi se lo può permettere?
4 Agosto 2024 / Lia Celi
C’è qualcosa di più banale che scegliere come incipit il primo articolo del mese di agosto il vecchio adagio “agosto, moglie mia non ti conosco”? Sì, farlo seguire su una riflessione sulla corna estive, corroborata dalle notizie sul superlavoro delle agenzie investigative nel mese consacrato alle ferie e, secondo la tradizione, all’adulterio. Una tradizione che mostra la corda, come tutte quelle legate ai mesi: quello pazzerello non è più solo marzo, la follia ha contagiato pure febbraio e aprile, che ha passato la vecchia nomea “ogni goccia un barile” a maggio, diventato il mese delle alluvioni.
“Agosto moglie mia non ti conosco” (in senso biblico), evoca le vacanze della seconda metà del Novecento, quattro settimane di separazione fra coniugi, weekend esclusi, lei sotto l’ombrellone a flirtare con il nerboruto bagnino o con il romantico turista capellone nordico, lui in città ad amoreggiare con la vicina, con «la cameriera veneziana che sta sempre in sottoveste sul balcone a canticchiar», come cantava Domenico Modugno, oppure a concedersi proibite notti brave al night.
Ma chi se le può permettere, quattro settimane consecutive di ferie? E in quante famiglie ci sono mogli che possono concedersi un mese di ozio al mare o in montagna sovvenzionato dal consorte? Oltretutto è molto più agevole tradirsi nei mesi feriali, visto che per lo più l’amante è un-una collega di lavoro, e le vacanze finiscono per essere l’unico periodo in cui si attiva il talamo coniugale, per mancanza di alternative praticabili a portata di mano – alternative reali, voglio dire, perché smartphone e pc permettono a mariti e mogli di violare il sesto comandamento virtualmente 365 giorni all’anno.
Tutto diventa più confuso quando si scopre che l’origine del detto è antichissima (il primo riferimento si trova in un poema di Esiodo) e che il suo senso era quasi l’opposto di quello moderno: in agosto, quando in cielo brilla la stella Sirio, il maschio si ammoscia mentre la donna diventa più focosa, e se gli uomini non vogliono esaurire le già scarse energie devono praticare la continenza. “Antò, fa caldo”, ma a parti rovesciate, insomma.
Pare che in realtà sotto ci fosse una motivazione più prosaica: in una società agricola era sconsigliabile concepire a fine estate e ritrovarsi nei cruciali mesi del raccolto con le donne impegnate in parti e allattamenti e quindi inabili ai lavori dei campi. E noi che credevamo che il problema di conciliare lavoro e maternità fosse nato nell’età moderna con l’emancipazione femminile! Le care vecchie società patriarcali che piacciono tanto ai nostri sovran-populisti erano molto pro-life: rispetto alle bocche da sfamare privilegiavano le braccia per lavorare. Ma vàllo a spiegare a Pillon e a Roccella. Speriamo che Sirio tolga un po’ di energie anche a loro, così almeno in agosto sparano meno cazzate.
Lia Celi