Non capita tutti i giorni che l’umana idiozia partorisca, una a ridosso dell’altra, ben tre stronzate in qualche modo riconducibili al mix di cui si nutre il “salvin-pensiero”: bullismo, razzismo, sessismo.
La prima ha avuto come autore il Comune di Ferrara, non a caso retto da un sindaco leghista. Il quale offre una graziosa attenuante agli stupratori, rivolgendo alle sue concittadine questo testuale ammonimento: «Se sei ubriaca, sei in parte responsabile dello stupro». Un po’ come dire “ma allora te la vai a cercare, carina!”.
Nel manifesto compaiono anche i loghi di Lagacoop, Unione Europea e Regione, che avevano assegnato il patrocinato preventivo alla “campagna anti-stupro”, ritenendola un’iniziativa seria, e non certo a quel testo abominevole.
Pare che a Ferrara ne stiano preparando un altro: “Se giri con la minigonna e una vistosa scollatura, poi non lamentarti se uno si arrapa e ti salta addosso”.
Del resto, perchè stupirsene? Non è forse dal Sindaco salviniano Alan Fabbri che sta per arrivare quell’altra nefandezza dell’imminente mostra dedicata all’esaltazione di Italo Balbo? Sì, proprio l’immondo caporione dello squadrismo mussoliniano che incarnò l’anima violenta del fascismo, mandando i suoi scherani a picchiare selvaggiamente fino ad uccidere, ad assaltare e distruggere Camere del lavoro, sedi del Partito socialista e delle Leghe contadine. Ma tutto ciò non impedisce che oggi questo crimnale venga invece definito «un Italiano dalla dimensione totalmente positiva» dal curatore della mostra, il sempre più patetico trombone Sgarbi, reduce dall’aver appena fornito una miserevole esibizione a Rimini, all’inauguraione di Part, dove ha ostentato il rifiuto della mascherina (l’imbecillità “no-mask”) senza che nessuno l’abbia messo alla porta.
La seconda l’ha fornita l’editore che ha mandato in giro un libro per le scuole elementari in cui, insieme a tanti bambini bianchi che dicono «quest’anno io vorrei ecc. ecc», ce n’è uno di pelle nera che invece farfuglia «Quest’anno io vuole imparare italiano bene».
É proprio uno sfrontato presuntuoso quel “negretto”, irrispettoso del “prima gli Italiani” e senza un briciolo di riconoscenza verso chi ha consentito ai suoi genitori di venire “a fare la pacchia” in Italia e non ha impedito che lui vi nascesse. Anziché stare al suo posto e limitarsi a “sì badrone, grazie badrone”, adesso s’è magari messo in testa di voler diventare Italiano, o quanto meno sembrarlo.
La terza è farina del nostro sacco riminese. Non si sa bene ad opera di chi, è infatti comparso a Rimini questo sconcertante poster.
Se quel sedere stilizzato, messo in bella evidenza, non fosse volutamente e smaccatamente femminile, ma “neutro” nel senso di non potergli attribuire alcuna “appartenenza di genere”, rimarrebbe solo il discutibile doppio senso di «Parati il colon». Così, invece, la sostanziale serietà del messaggio passa in secondo piano e su tutto prevale l’abusata e fastidiosa abitudine di ricorrere al “primato del culo femminile” nella pubblicità.
Lo “spirito salviniano” di questa operazione non consiste solo nel suo evidente “machismo”, ma anche nel fatto che una così malriposta giocosità del poster, rispetto a qualcosa di molto serio, fa venire il mente certe notti al Papeete, con le cubiste seminude che si dimenano al ritmo di Fratelli d’Italia.
Va comunque riconosciuto che le frequentazioni femminili di Salvini non sono solo al Papeete, con la corona del rosario nella tasca interna dei bermuda. Sarà perché fra la popolazione, maschile e femminile, non manca chi coltivi il gusto dell’orrido, ma sta di fatto che lui, nonostante la boriosa tronfiaggine che “se lo divora”, nella sua vita privata più di un successo con le donne l’ha ottenuto. Almeno a giudicare dal gossip e dalla valanga di selfie che quotidianamente ci propina “la Bestia”, la sua macchina da “guerra online” pagata dagli Italiani, con l’aggiunta – stando ad alcune Procure – di qualche “donazione biricchina”.
Dove invece non gliene va dritta una e non riesce proprio a battere un chiodo, è “nell’intorto elettorale” di una sua candidata a Presidente di Regione.
Ci aveva provato con Lucia Borgonzoni, la caciarona bolognese in compagnia della quale aveva scorazzato per dei mesi come un ossesso, trascinandosela dietro da Rottofreno a Malalbergo, da Montechiarugolo a Verucchio.
Ma niente da fare, nononostante gli sforzi bestiali, non gliel’ ha data, la soddisfazione di vincere le elezioni regionali, diventare governatrice legaiola dell’Emilia Romagna e fargli crescere le quotazioni di aspirante capo di un governo salvinian-berlusconian-meloniano.
Lui non riusciva a darsi pace per essergli andata in buca l’impresa, dopo che aveva tromboneggiato ai quattro venti che in questa regione avrebbe “spezzato le reni” al PD, per dirla con lo slogan usato a suo tempo da uno con cui Salvini ha una certa somiglianza. Così non vedeva l’ora di prendersi la rivincita all’elezione regionale toscana.
Ammaestrato dai suoi autogol in Emilia Romagna, questa volta aveva fatto le cose per benino. Aveva innanzitutto scelto una candidata che, al contario della Borgonzoni, sapesse distinguere un documento politico dal menù di un ristorante e fosse in grado di non sbagliarsi nell’elencare i confini della Regione che si candidava a governare.
Ha poi cercato di abbassare, per quanto gli sia stato possibile, il tasso di invettiva e di strisciante cafonaggine nei suoi comizi; ma siccome uno non riesce a fingere di essere cambiato del tutto, la spacconeria non ha potuto reprimerla: «Quello che mi pongo come obiettivo è il 7 a 0».
Per cui Salvini, ancora una volta, ha dovuto fare lo sforzo sovrumano di fingere pacatezza e moderazione nel commentare pubblicamente l’ennesima sua batosta.
Ma c’è da scommettere che rimasto solo con se stesso, la sera prima di addormentarsi, qualche lacrima se la sia lasciata sfuggire.
Perché parafrasando il titolo di una celebre telenovela degli anni ’80, si sa che «anche i bricchi piangono».
Nando Piccari