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Il 20 luglio 2015 Rimini saluta per l'ultima volta Sergio Ceccarelli, preside del Liceo Classico "Giulio Cesare" dal 1968 al 1989; era deceduto il 17 luglio, alla vigilia del suo novantaquattresimo compleanno, essendo nato a Rimini il 18 luglio 1921. Riportiamo stralci della cronaca di quel giorno e il ricordo del Preside Ceccarelli dall'articolo di Claudio Monti, pubblicato su Riminiduepuntozero. Rimini, 20 luglio 2015. Tanta gente questa mattina a dare l’ultimo saluto a Sergio Ceccarelli nella chiesa di Sant’Agostino. Il vicario generale, don Luigi Ricci, in apertura ha letto il messaggio del vescovo, mons. Lambiasi, che si è scusato per non poter essere presente e che ha ricordato il primo incontro con Ceccarelli: “Sono un vecchio amico di Alberto Marvelli”, gli disse presentandosi. “In quelle parole mi colpì quel verbo al tempo presente: sono, sono un amico”, ha commentato il vescovo, evidenziando la “confidenza con Alberto, che non solo il tempo non aveva potuto scolorire e neppure la morte cancellare, ma che la fede aveva fatto diventare un legame ancora più vivo e tenace”. L’omelia è stata tenuta da don Carlo Rusconi. In chiesa gli otto figli, i ventitrè nipoti e i pronipoti di Ceccarelli, e sono stati loro a delineare, al termine della

L'11 maggio 2019  è morto a 78 anni Gianni De Michelis, uomo politico socialista e più volte ministro. Un personaggio molto noto anche per la sua passione incontenibile per il ballo, che lo aveva portato a considerare i locali di Rimini e della riviera come altrettante sue seconde case. Il 19 luglio 1988, Laura Laurenzi scrive per La Repubblica un lungo servizio in titolato QUANTE BELLE DONNE PER DE MICHELIS 'GRAN RE DELLE NOTTI'.  Ne riportiamo ampi stralci: RIMINI. Onorevole, come si sente? Onorevole, ma non si vergogna almeno un po'? Mi vergogno come un ladro, sorride affannato e umido di sudore De Michelis. Lo assediano ragazze in microgonna e vari onorevoli socialisti. Anche un ministro, anche un sottosegretario. Eppure l'ha voluta lui questa notte esagerata, tutta questa gran sarabanda autocelebrativa, questo can can politico-mondano nella maxi discoteca più famosa d' Italia, il Bandiera Gialla, scelto per la presentazione ufficiale del suo libro. No, non è un trattato di politica, non è un saggio sull'annullamento del fiscal drag o sul debito pubblico l'opera che il vicepresidente del Consiglio ha dato alle stampe, bensì un manuale sulle discoteche italiane, una guida ragionata alle 250 balere più divertenti d' Italia. Titolo del volume: Dove andiamo a

Nei pressi del fiume Allia, il 18 luglio 390 a.C. (o 388, secondo altri) i Romani affrontarono i Galli Senoni e vennero disastrosamente sconfitti. Lo stesso giorno, alla disfatta sul campo succedette il sacco di Roma ormai indifesa. Un drammatico affronto che non si sarebbe più ripetuto se non oltre 800 anni dopo, nel 410 d.C. per mano dei Visigoti di Alarico. [caption id="attachment_49076" align="aligncenter" width="678"] Evariste Vital Luminais (1821-96): "I Galli in vista di Roma"[/caption] È questa una delle poche certezze che riguardano la pagina più nera di Roma, quando per l'unica volta era stata violata dallo straniero. Quella data, infatti, verrà ricordata nel calendario dell'Urbe come "giorno nefasto" (contrassegnato con una N) in cui non era lecito sacrificare, iniziare imprese di alcun tipo, trattare affari giudiziari, o alcuna azione che non fosse strettamente necessaria, né in pubblico né in privato. Quando fu istituito il «dies alliensis» - probabilmente già nel 389 a.C. - le stesse proibizioni vennero estese a tutti i giorni dell'anno che seguivano le calende, le idi o le none. Tanto la Clades Gallica, la "sconfitta gallica", si era incisa nella memoria dei Romani. E quasi a conferma di quei timori, il 18 luglio del 64 d.C. sarebbe scoppiato il grande incendio di Roma, quello "di Nerone". [caption id="attachment_49064"

«MCCCLXXII el die XVII de Luglio, foe di Sabato in ora de vespro, morì el gran Signore el magnifico Malatesta mis. Malatesta Ungaro, et stette infermo XVIII dì, et fu sepulto la domeniga mattina cum grandissimo onore». Così l'anonimo "cronista malatestiano". Galeotto de Malatestis, detto Malatesta Ungaro era nato a Rimini nel giugno 1327 dal matrimonio tra Malatesta detto l'Antico (o Guastafamiglia) e Costanza Ondedei, della nobile famiglia presente anche a Pesaro e Saludecio. Battezzato come Galeotto, nel 1347 divenne per tutti Malatesta Ungaro in onore del re d'Ungheria Luigi d'Angiò, che passando da Rimini lo ordinò cavaliere. [caption id="attachment_48886" align="aligncenter" width="678"] Luigi d'Angiò. re d'Ungheria[/caption] Le cronache dell'epoca - e non solo quelle "di regime" dettate dalla famiglia dei Malatesti, ma anche le narrazioni neutrali e perfino dei rivali - dànno dell'Ungaro una descrizione opposta a quella a tinte fosche spettata al padre, che si era ampiamente meritato il soprannome di Guastafamiglia. Il giovane Galeotto è invece prestante, leale, colto, virtuoso e valoroso. Insomma, un gentiluomo "cortese" che incarnava alla perfezione i migliori ideali del tardo medio evo. L'Ungaro trascorse la giovinezza nel mestiere delle armi sotto la guida del malfamato padre e dell'omonimo zio Galeotto, insieme con il fratello primogenito Pandolfo (II), futuro signore di Pesaro. Partecipò all'ampliamento della potenza malatestiana nella Marca;

Carlo Tonini: "Ma nel luglio del 1619, e precisamente nei giorni 16 e 18, una più giusta, cagione di tristezza e di paura si ebbero i padri nostri, essendosi fatte sentire replicate scosse di terremoto, per le quali la campana dell’orologio, che era sulla torre della piazza della Fontana, martellò, come dice il Pedroni, quattro o cinque volte. Onde il popolo tutto prese ad implorare la divina misericordia, e il 19 fu fatta un’assai divota processione alla chiesa di S. Giuliano, ove riposa il corpo di questo santo martire, uno de’ principali protettori della città". Un anno davvero infausto: "Nell’ agosto cessò di vivere il giureconsulto Alessandro Gambalunga, lasciando di sè memoria imperitura coll’aver decorata la città, fin dal 1613, del superbo palazzo e della celebre Biblioteca, che portano il suo nome. Poi nel settembre si ebbe vento, pioggia, grandine, in mare e in terra, e dopo tutto quel gran diavolio il terremoto di nuovo: ma, la Dio mercè, senza notevoli danni". Così Oreste Delucca ha rievocato questa e altre calamità: Sono stati numerosi, durante i secoli, i terremoti che hanno colpito Rimini e il suo territorio, in maniera più o meno devastante. Il primo evento funesto descritto con qualche particolare risale al 1308 e ne abbiamo già parlato. Ma qualche anno prima, esattamente nel 1302 – come

Il vescovo di Rimini, Monsignor Vincenzo Ferretti, presente all'incoronazione a Re d'Italia di Napoleone Bonaparte,  aveva chiesto di persona al sovrano che la chiesa conventuale di San Francesco, il Tempio Malatestiano, diventasse la cattedrale della città. Sua Maestà Re e Imperatore si era detto d'accordo. Perché il provvedimento andasse ad effetto, però, dovettero passare quattro anni. Come scrisse Carlo Tonini: «Onde nell’agosto (1805) si presero a fare tutti gli atti e provvedimenti acconci all’effettuazione del decreto medesimo, sebbene il trasferimento definitivo della Cattedrale dalla chiesa di S. Agostino ad esso Tempio non si facesse prima del 15 luglio 1809». [caption id="attachment_48741" align="alignnone" width="1290"] L'interno della chiesa di S.Agostino a Rimini[/caption] Commenta e aggiunge lo storico riminese: «E certamente non sarebbesi potuto scegliere a tale effetto altro luogo più decoroso e più adatto. La vicina piccola chiesa di S. Giuseppe in vigore dello stesso decreto fu destinata pel Battistero, e furono concessi per il coro gli stalli della chiesa dei Lateranensi (lo spendido coro intarsiato della chiesa conventuale di San Marino detta oggi popolarmente Santa Rita, ndr). Inoltre, secondo un ordine governativo, i Canonici furono ridotti ad otto con un arciprete in luogo del Preposto, e i Mansionari a sei: e pel mantenimento della

Dopo aver tradito la parte imperiale fece una sfolgorante carriera fra i Guelfi fino a guidare i Fiorentini contro i Senesi nella giornata della terribile disfatta

Nel 1258 Podestà di Rimini è Jacopo o Jacopino Rangoni da Modena, nominato il 15 luglio. Su di lui Luigi Tonini in "Storia sacra e civile riminese  sec. XIII" (1862) raccoglie queste notizie: "Un Giacomino da Rangona fu Podestà di Siena nel 1237. Un Iacopino Rangoni da Modena fu Podestà di Fuligno nel 1245. Nel 1247 militando con Guglielmo suo nipote sotto il Re Enzo si ritirò dall'assedio di Parma, e per ciò venne bandito da Modena assieme co' Guelfi. Nel 1248 fu coi Modanesi che a' 2 di ottobre promisero al Comune di Bologna la conservazione del Castello di Nonantola, e tra quelli che a' 16 ne dettero gli ostaggi. Fu Podestà di Firenze net 1259 all'uso Firentino, cioè 1260. Nel 1264 fu tra i testimonj alla elezione del Marchese d'Este in Rettor di Ferrara. Era in Mantova nel 1268; e per ultimo parla di lui il Muratori all'anno 1271". Jacopino sposò nel 1215 in prime nozze Bartolomea Torelli, figlia del noto esponente ghibellino Salinguerra e in seconde nozze nel 1252 Emilia d'Orione. Ebbe tre figli: Tommaso; Gherardo, capitano del popolo di Perugia; e Castellano. Il Rangoni aveva agito nel solco del padre Gherardo: nel 1156 Podestà filo-imperiale di Modena, ma quando

Alle 14 e 20 del 14 luglio 1920 qualcuno scorge del fumo uscire dagli abbaini del Gran Hotel di Rimini. Passano dieci minuti e si odono grida e richieste di aiuto. Dall'hotel inizia il fuggi fuggi, ma intanto dal resto della città e dalla spiaggia si assiepa una folla di curiosi. Il Grand Hotel di Rimini, inaugurato appena dodici anni prima, sta bruciando. Quando arrivano i pompieri, la cupola lato mare è già invasa dalle fiamme. Le cupole sono in legno e puramente ornamentali. I mezzi per raggiungere il fuoco così in alto sono pochi, i rinforzi di vigili del fuoco devono arrivare perfino da Bologna. Per giunta anche l'acqua è scarsa, le operazioni vanno a rilento. Alle 15 anche l'altra cupola è preda dell'incendio. Si decide di utilizzare anche quanti si stanno offrendo volontari. Poi entrano in azione pure i soldati della caserma "Castlefidardo". La confusione è totale e non manca qualcuno che cerca di approfittarne, penetrando nelle stanze dei ricchi ospiti per fare man bassa. La Pubblica Sicurezza ne acciuffa diversi ancora con la refurtiva in tasca. Fra i volontari si distinguono invece Giuffrida e Luigi Platania, quest'ultimo reduce di guerra e fascista della prima ora, che sarà assassinato l'anno successivo. Fra i soccorritori ci

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