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A Rimini non si riesce a dire di uno che ha il "naso camuso": si dice e' gnaf. E di Salvatore Ghinelli ben pochi sapevano il vero nome. Per tutti è stato E' Gnaf per eccellenza. Salvatore Ghinelli nacque a Rimini il 7 marzo 1873. Fin da piccolo fra pentole e fornelli, dopo un lungo apprendistato negli alberghi e sulle navi da crociera, entrò al servizio della principessa di Venosa, intima di Gabriele d'Annunzio. Tornato a Rimini, Ghinelli aprì con i risparmi prima una modesta, ma subito frequentata trattoria in vicolo Valloni, poi il ristorante “San Michele” in via S. Michelino in Foro dietro l'allora piazza Giulio Cesare, oggi Tre Martiri. Salvatore Ghinelli morì l'8 marzo 1939, all'età di sessantasei anni. Il ristorante fu ereditato, insieme al soprannome, dal nipote e aiuto Adamo Ghinelli (1905-1974), che ricalcò fedelmente le orme dello zio paterno. Nel 1928, presso l'editore Bietti di Milano, Ghinelli aveva pubblicato L'apprendista cuciniere, un ampio manuale di cucina «per famiglie, ristoranti, alberghi, pensioni» (come recita il sottotitolo). Nella prefazione, con lodevole modestia, Ghinelli dichiara di non avere la pretesa «di insegnare alla perfezione l'Arte della Cucina, che è assai difficile», ma si accontenta di «dare una mano» al lettore, dilettante o professionista che sia. Il ricettario non

Il 7 marzo 1744 l'esercito austriaco finalmente lascia Rimini per andare verso il Regno di Napoli a combattere contro gli Spagnoli. Sono 30 mila uomini al comando del principe Giorgio Cristiano von Lobkowitz. E lasciano un pessimo ricordo, in una città che poteva avere 20-25 mila abitanti. Gli Austriaci hanno occupato Rimini il 25 ottobre dell'anno prima scacciandovi appunto gli Spagnoli, vi hanno impiantato i loro "quartieri invernali" e hanno in ogni modo vessato la popolazione. La soldataglia ha infierito in particolare su San Clemente, con omicidi, ruberie anche nelle chiese e violenze d'ogni genere, con le donne prime vittime. Niente di nuovo, non che gli Spagnoli si siano comportati meglio, come in ogni guerra da sempre. A pare rare eccezioni - come quella degli eserciti ottomani, che avevano ereditato la tradizione che fu romana e poi bizantina di relativa autosufficienza grazie all'organizzazione di linee regolari di rifornimento - ancora nel XVIII secolo gli eserciti europei se volevano mangiare si dovevano comportare come le cavallette: si "nutrivano" dei territori che attraversavano, con effetti facili immaginare. E non solo nei territori nemici: tutte le città e le campagne erano tenute a mantenere le truppe di passaggio, se non volevano guai peggiori. Era così inevitabile, che tutto ciò era

Misteriose le vie dello snobismo. Si può concepire qualcosa di più esclusivo del patriziato veneto? Quanti, per esempio nella "grezza" Rimini della "popolana" Romagna, vorrebbero degli avi a farne parte, quando non arrivano a millantarne? Un'oligarchia ristrettissima che per secoli difese ferocemente il proprio rango, impedendo con ogni mezzo a famiglie di ricchezza e prestigio più recenti di ricoprire le cariche supreme della Serenissima Repubblica. Eppure, essendo Venezia di fondazione relativamente "giovane" rispetto alla maggior parte delle città italiane, in epoche in cui l'antichità delle origini era tutto, fra i titoli di nobiltà da poter vantare non poteva bastare essere nel novero dei fondatori primigeni. Poca gloria ai nobili veneziani poteva apportare l'essere autoctoni delle selvagge isole della laguna, ai tempi aurei dell'impero romano popolate di pescatori e salinari ma prive di civitates. Di qui l'affannarsi a rintracciare antenati quanto più remoti, ma soprattutto distanti da Rialto e Malamocco, da Torcello come da Murano e Burano. Poteva forse bastare l'oscura città romana di Altino, che si voleva distrutta da Attila nel 452? Si narrava che i fuggiaschi dagli Unni (e/o dai successivi Longobardi e Ungari?) si sarebbero poi rifugiati nella laguna. Un po' poco per impreziosire il blasone; molto meglio che

Il 6 marzo 1492 Raimondo Malatesta è assassinato dai suoi nipoti, Pandolfo e Gaspare. Il delitto avviene in casa di Elisabetta Aldobrandini, madre del signore di Rimini, Pandolfo IV Malatesta detto Pandolfaccio. Secondo Cesare Clementini (che scrisse fra il 1616 e il 1627) l'omicidio di Raimondo sta all'origine del «precipizio de' cittadini e l'esterminio de signori», cioè i Malatesti. Il clima fratricida che aveva imperversato in questa famiglia nella prima metà del '300 si era poi placato, per riaccendersi però anche prima di questi fatti. Già dopo la morte di Sigismondo nel 1468, i suoi figli prediletti, Valerio e Sallustio, erano morti in circostanze a dir poco oscure, dietro le quali in molti vedevano la mano del loro fratellastro Roberto. E fu effettivamente lui a succedere al padre, che invece lo aveva praticamente diseredato. Detto per qualche motivo "il magnifico", Roberto tenne caparbiamente la signoria per tredici anni, riuscendo anche a recuperare qualcosa dei domini perduti. Capitano valoroso, gli accadde di morire subito dopo la sua più grande vittoria, conseguita al servizio di Papa Sisto IV. La battaglia si svolse il 21 agosto 1482 a Campomorto - oggi fra Latina e Aprilia, allora nel pieno delle terribili paludi pontine - contro il Duca di Calabria che aveva invaso

La Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI) fu ricostituita nel 1949 su decisione del Comitato Centrale del PCI dopo la fine dell’esperienza unitaria del Fronte della Gioventù. Il Fronte della Gioventù, la più nota ed estesa organizzazione dei giovani impegnati nella lotta di liberazione in Italia, era stato costituito a Milano nel gennaio 1944, in forma unitaria, dai rappresentanti dei giovani comunisti, socialisti, democratici cristiani, ai quali si unirono anche i giovani liberali, azionisti, repubblicani, cattolici comunisti, le ragazze dei Gruppi di Difesa della Donna (dai quali in seguito sorgerà l'UDI) e dei giovani del Comitato contadini. La base ideale e programmatica fu elaborata da Eugenio Curiel (1912-1945), giovane scienziato triestino, già confinato dal fascismo a Ventotene, ucciso dai militi delle Brigate Nere a Milano il 24 febbraio 1945. Il Fronte non resse alle divisioni del dopoguerra, così come la grande CGIL, l’associazione delle cooperative ed altre esperienze unitarie sorte nel clima della Resistenza e della Liberazione. Il Congresso ricostituivo ufficiale della FGCI avvenne a Livorno alla fine di marzo del 1950. Segretario fu confermato Enrico Berlinguer, che diresse l’organizzazione giovanile comunista sino al 1956. La FGCI concluse la propria vita organizzativa al 25° Congresso svoltosi a Pesaro il 19 dicembre 1990. Lì venne fondata

"Chi scrive e uno che ci siamo trovati a combatere per lunita Ditalia diverse volte. Se per cosa certa che voi fate gli arolamenti per la Gregia io sono disposto di venire ancora una volta con voi mentre col Bon vostro Defunto padre o fatto 7 Campagni cioè 48.49.59.60.61.66.67. Giovanni Genghini". Scrivendo come può, è un veterano riminese dei garibaldini a offrirsi volontario per l'ennesima impresa. A mezzo secolo  dalla prima guerra d'indipendenza e dei giorni gloriosi della Repubblica romana e dopo sette campagne combattute agli ordini dell'Eroe dei Due Mondi, il riminese Giovanni Genghini è ancora pronto a imbracciare le armi per una causa di libertà. Ma quale? Giuseppe Garibaldi muore nel 1882. Ma nel 1897 Ricciotti, uno dei suoi figli, arruola volontari per andare a combattere per l'indipendenza della Grecia dai Turchi, come già hanno fatto in tanti e da tutta Europa per tutto l'800. E di nuovo accorrono, per il nome di Garibaldi, per la camicia rossa, per i tanti compagni che si ritrovano. I garibaldini romagnoli vengono inquadrati nella Legione "Amilcare Cipriani", intitolata cioè al patriota e anarchico, nato a Porto d'Anzio ma riminese a tutti gli effetti, mito vivente per tutti i rivoluzionari del continente. Intitolazione non solo simbolica: alla bella età di 54

«Per la qual cosa il Pontefice delegò a giudicarne il Vescovo di Modena; e questi dopo avere inutilmente minacciato d'interdetto il Comune a mezzo del Vescovo di Cesena, finì col proferire sentenza, che pubblicata fu per Almerico Canonico di Sarsina, il quale a' 4 marzo 1258 nella residenza dell'Eletto Sarsinate riferì di avere scomunicato il Popolo riminese e interdetta la città a nome del Modenese e d'ordine apostolico». Così Luigi Tonini nella sua "Storia di Rimini (vol.3)" del 1862. Ma cos'era successo? E cosa comportavano davvero per una città la scomunica e l'interdetto? I due provvedimenti in realtà si distinguono solo per essere l'uno diretto ad un'intera comunità, l'altro a un singolo individuo; metterli entrambi per iscritto è una precauzione giuridica per non lasciare spiragli interpretativi di alcun tipo, ma il risultato è il medesimo. In una città scomunicata sono sospese tutte le manifestazioni pubbliche di culto e la comunità colpita non può disporre dei sacramenti, che la Chiesa ritira. Quindi, non solo niente celebrazione di messe, ma è impossibile tenere tutti i riti religiosi. Non ci si può sposare, né battezzare i nuovi nati, né seppellire i morti dopo un funerale, che pure non si può officiare. E sono nulli tutti i giuramenti fatti in nome

Il 4 marzo 1671 il castellano di San Leo, Lelio Rinalducci, scrive una lettera molto importante: per lui, che ha bisogno di altri soldi per continuare i lavori al Forte, piuttosto malridotto. Ma ancora più importante questa lettera è per noi; anzi, «fondamentale», come scrivono Daniele Sacco e Alessandro Tosarelli in "La Fortezza di Montefeltro. San Leo: processi di trasformazione, archeologia dell’architettura e restauri storici" (All’Insegna del Giglio, Urbino, 2016). È su questo documento, infatti, che «si baseranno numerose considerazioni sulla ricostruzione diacronica della fortezza. Nel documento non sono soltanto elencati tutti i luoghi restaurati dell'anno 1671, ma vengono descritte torri e muraglie oggi non esistenti, viene assegnato un dato onomastico ad ogni luogo. È specificato, infine, che restavano ancora numerosi interventi da compiere tra cui risarcire la "strada del soccorso" (la via che dalla terza piazza d'armi della fortezza scendeva al piano vallivo) impraticabile, ma ancora difesa da fatiscenti parapetti». [caption id="attachment_456186" align="aligncenter" width="693"] Moschettiere del XVII secolo[/caption] Gli studiosi proseguono: «La carta infine attesta come in quell'anno vennero eseguiti importanti risarcimenti alle strutture diffuse sul masso che andavano a difendere la città. Si mise mano alla "Porta di Sopra", che era in parte franata, col suo torrione di guardia. Probabilmente fu riattata

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