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E' Luneri rumagnol di Gianni Quondamatteo assegna la data del 18 febbraio a Sen Simiò. Discrepanza piuttosto significativa con il calendario ecclesiastico romano, che invece indica i Cinque Martiri di Ostia, San Teotonio, Sant'Elladio di Toledo, Santa Esuperia di Vercelli e altri ancora. Ma il 18 febbraio è il giorno di San Simeone per chiese orientali, mentre quella occidentale lo commemora il 27 aprile. Rimini e la Romagna, tramite Ravenna, hanno conservato qua e là tracce dei legami con Costantinopoli, a tratti più forti che con la stessa Roma.  [caption id="attachment_453747" align="aligncenter" width="500"] San Simeone di Gerusalemme[/caption] E così nonostante lo scisma del 1054, qui nella giornata di oggi si è continuato a onorare Sen Simiò (alla ravennate) o San Simiòn (alla riminese) che dir si voglia. Questo Simeone, o Simone, veniva individuato in uno dei fratelli di Gesù di cui parlano i vangeli, figlio di Maria di Cleofa (moglie di Cleofa-Cleopa) e fratello di Giacomo il Giusto, al quale succedette alla testa della comunità giudeo-cristiana come secondo vescovo di Gerusalemme. Anche lui sarebbe morto sulla croce. [caption id="attachment_453749" align="aligncenter" width="656"] San Simeone il Profeta[/caption] Un altro Simeone, "il profeta", è colui che accolse Gesù nel tempio quando vi fu presentato. Altri due sono i Simeone Stiliti (il Vecchio

Il 18 febbraio 2003, l'amministrazione comunale di Rimini presenta il progetto definitivo per la Domus del Chirurgo. Dalla scoperta dello straordinario tesoro archeologico che giaceva sotto il giardino di Piazza Ferrari sono passati 14 anni. E altri quattro ne occorreranno fino all'inaugurazione del sito, il 7 dicembre 2007. In mezzo, intoppi e polemiche di ogni genere, dalle sfuriate di Vittorio Sgarbi e conseguente stop al progetto (Sgarbi era sottosegretario del governo Berlusconi) alle accuse di "scempio" piovute dal Wwf e da Animal Liberation, poiché "piazza Ferrari, ex giardini Ferrari, si sta trasformando in parte in una mega struttura, che dovrà contenere, in un ambiente climatizzato, i resti della Domus del Chirurgo" e per farlo sarebbero stati abbattuti alcuni alberi della piazza. L'anno dopo, Maria Teresa Pazzaglia del Wwf e Serena Sartini di Animal Liberation avrebbero attribuito il "Premio Attila" al sindaco in carica, Alberto Ravaioli. E proprio da un albero malato inizia la scoperta, nel 1989. Gli operai del Comune devono sradicarlo, ma l'escavatore per errore va troppo a fondo. A un metro e mezzo di profondità emerge il primo mosaico. Alla fine degli scavi, oltre ai mosaici ancora intatti saranno riportati alla luce anche affreschi policromi, frammenti ceramici e di utensili, sepolture alto-medievali, fosse granarie

Alla data del 17 febbraio E' Luneri Rumagnol di Gianni Quondamatteo riporta come santo del giorno: I Fundadur di Servi. Così nel riminese venivano infatti ricordati i Sette Santi Fondatori dell'Ordine dei Servi di Maria (ricorrenza facoltativa del calendario ecclesiastico). Si legge nella storia dell'Ordine che esso giunse a Rimini già dal 1312 (appena due anni dopo la morte dell'ultimo dei Fondatori), con una cappella e un forse un primo piccolo convento. La chiesa fu consacrata nel 1317, probabilmente nel giorno che già allora la tradizione popolare aveva consacrato ai Santi Fondatori.  Il terreno per edificare chiesa e convento fu donato ai Servi di Maria dai Malatesta, da sempre in ottimi rapporti con Firenze (almeno quella, dominante, di parte Guelfa), dalla quale i Servi di Maria provenivano. All'edificio, di una sola navata, si aggiunsero nel tempo altari e cappelle gentilizie come quella degli Agolanti (fiorentini di origine), il cui stemma si può ancora vedere murato sulla parete esterna lungo Corso d'Augusto. [caption id="attachment_453594" align="alignleft" width="915"] Lo stemma degli Agolanti sul lato della chiesa dei Servi, sul Corso d'Augusto a Rimini[/caption] Fra il 1774 ed il 1777 la chiesa venne completamente trasformata ad opera dell'architetto bolognese Gaetano Stegani. Nel 1806 la chiesa divennne quella della parrocchia di Santa Maria

Il 16 febbraio tutte le Chiese cristiane commemorano Santa Giuliana di Nicomedia (285 ca.-305 ca,) martire sotto l'Augusto d'Oriente Massimiano. E' molto venerata in Campania e nei Paesi Bassi, invocata da partorienti e ammalati in genere. Nicomedia di Bitinia oggi è Izmit, grosso centro della Turchia nord occidentale (Pirelli vi produce le sue gomme di Formula Uno). Diocleziano ne aveva fatto la capitale dell'Oriente romano (Costantinopoli, ovviamente, era ancora di là da venire) nel suo sistema tetrarchico e proprio da qui aveva scatenato la sua persecuzione dei cristiani. Fra le vittime, il vescovo della città, S. Antimo, e un'altra martire celebre, Santa Barbara. Giuliana sarebbe stata una diciottenne figlia di un funzionario imperiale, che per amore della fede cristiana aveva rinunciato al matrimonio con il prefetto Eleusio (o Evilasio). Dopo il martirio, decretato dallo stesso Eleusio, le sue spoglie furono custodite da una matrona, finché furono richieste nella Roma ormai cristiana. Ma la nave che le trasportava naufragò presso Cuma, sul litorale flegreo. Qui vennero venerate nella cattedrale sia in epoca bizantina che in quelle longobarda e normanna, finché l'antichissima città, prima colonia greca in Italia e sede della celebre Sibilla, fu abbandonata all'inizio del XIII secolo. Il culto però proseguì nell'abbazia benedettina

Il 16 febbraio 1985 Vincenzo Muccioli (Rimini, 6 gennaio 1934 – Coriano, 19 settembre 1995) fu condannato dal tribunale di Rimini per sequestro di persona e maltrattamenti. L'accusa era di avere incatenato alcuni giovani ospiti in terapia nella sua comunità di San Patrignano, e quindi passò alla storia come "processo delle catene". Il rinvio a giudizio era giunto il 10 dicembre 1983. Muccioli fu assolto in Corte d'Appello nel novembre 1987 e la sentenza fu confermata in via definitiva dalla Cassazione il 29 marzo 1990. Fu il primo caso giudiziario che investì la Comunità e il suo fondatore. Il secondo riguardò l'omicidio e l'occultamento del cadavere di Roberto Maranzano, ospite di San Patrignano di cui si erano perse le tracce. Per questi fatti Muccioli fu condannato in primo grado per favoreggiamento, ma la morte lo colse prima dei successivi gradi di giudizio. I metodi di Vincenzo Muccioli e le sue vicende giudiziarie spaccarono letteralmente in due l'Italia. Dal 1978, quando fu fondata, la Comunità di San Patrignano ha accolto decine di migliaia di persone in difficoltà, per lo più giovani: tossicodipendenti, alcolisti, emarginati, malati di aids. Dal 2014 "Sanpa" collabora con il sistema Sanitario della Regione Emilia Romagna. L'accesso alla comunità è gratuito sia per gli

Nel mese di settembre del 1357 il cardinale Egidio d'Albornoz si mosse alla volta d'Avignone, "e Malatesta signore di Rimini lo accompagnò con grande e splendido seguito fino alla corte, ove quest' ultimo fu molto onoratamente accolto dal papa e dai cardinali": così Carlo Tonini nel suo "Compedio della storia di Rimini" (1895). Il Malatesta in questione è il terzo con questo nome a signoreggiare su Rimini e molto altro; si è ben meritato è il soprannome di Guastafamiglia, avendo sterminato tutti i parenti d'ostacolo alla sua egemonia. Spietato se occorreva, Malatesta III de' Malatesti era anche un politico che sapeva fiutare l'aria e schivare abilmente le avversità. Assieme al fratello Galeotto continuò ad assoggettarsi formalmente alla Santa Sede quando doveva, per dissatendere puntulamente ogni giuramento appena poteva. Così nel 1343, quando i Malatesta, guelfi da un secolo, accettarono la nomina di vicari imperiali per le città di Pesaro, Fano e Rimini, mandato direttamente conferito dall'imperatore Ludovico IV di Baviera allora in stanza in Italia. E poi avanti nella Marca impadronendosi di Fossombrone, Iesi, Senigallia, Osimo, Cingoli, Fermo e Recanati. [caption id="attachment_453262" align="aligncenter" width="672"] Federico Faruffini,: "Cola di Rienzo contempla le rovine di Roma", olio su tela, 1855[/caption] Era troppo. Nel 1354 

Ancora scosso dall'indignazione a quasi un secolo dai fatti, nel 1895 il bibliotecario Carlo Tonini annota nel suo "Compendio della storia di Rimini" per l'anno 1799: "Seguì poi nella città nostra un eccesso di pubblica disonestà, e di empietà cosi grande, che non mai erasi veduto l’uguale". E cosa era successo? "Il giorno 15 febbraio celebravasi nella chiesa di S. Nicolò di questo porto una religiosa funzione. Ora trovandosi su quella piazzetta la ciurma di numerosi corsari scesi poco prima sulla riva, ed essendosi accoppiati ad essi molti cisalpini e patrioti, presero tutti costoro a gozzovigliare frastornando la devozione de’ fedeli". Va ricordato che quando si parlava di "corsari", non si trattava di pirati. Erano marinai che razziavano sì privatamente i mari e le coste, ma per conto di uno Stato in guerra e da esso muniti di debita "patente". Nel quale documento la loro attività era minuziosamente regolata: contro quali bandiere poteva esercitata e quali no, per quanto tempo e come andava suddiviso il bottino. E se catturati dal nemico - beninteso se in grado di esibire la patente - non venivano impiccati al pennone come volgari pirati, ma trattati da prigionieri di guerra secondo le buone regole. Evidentemente qui si

Nel 1016 l’imperatore Enrico II detto il Santo, "dopo le vittoria contro Greci e Saraceni" chiese al Papa Benedetto VIII le reliquie di San Leo, per trasferirle a Spira (Speyer) in Renania, allora sua residenza imperiale. Dovevano essere un premio per l'aiuto prestato al pontefice in Italia meridionale, appartenente allora in parte all'Impero d'oriente dei "bizantini", in parte ai musulmani dell'Emirato siciliano. Il Papa acconsentì. [caption id="attachment_249264" align="aligncenter" width="796"] Enrico II "il Santo" tra due vescovi[/caption] Le reliquie furono dunque prelevate dal duomo feretrano, caricate su di un carro e scortate da un solenne corteo diretto verso la Germania. Ma una volta giunto a Voghenza, fra le valli ferraresi, successe qualcosa. [caption id="attachment_453026" align="aligncenter" width="430"] Enrico II e la moglie Cunegonda (dipinto su tavola, XV secolo)[/caption] La leggenda narra che la mattina del 14 febbraio i cavalli non ne vollero più sapere di ripartire per la Germania. Enrico II lo prese come segno divino e lasciò le reliquie nella chiesa. Dove sono tutt'ora conservate, nel sarcofago sotto l’altare. Infatti, a San Leo l'unica reliquia rimasta dell'anacoreta dalmata è un frammento, collocato sull'altare del Duomo, donato nel 1953 dalla comunità di Voghenza. Mentre in fondo alla cripta, in una nicchia, del sarcofago romano che custodiva il corpo del santo

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