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Oggi 14 febbraio tutto il mondo festeggia San Valentino. Vescovo di Terni e martire nel 273 d.C. Valentino è divenuto patrono degli innamorati (ma invocato anche dagli epilettici e contro i dolori di ventre) perché sarebbe stato decapitato sulla Via Flaminia per aver celebrato il matrimonio tra la cristiana Serapia e il legionario romano Sabino, pagano; entrambi morti pochi istanti dopo la benedizione matrimoniale. E' noto che l'uso di scambiarsi biglietti amorosi per San Valentino risale al medio evo ed ha origine in Inghilterra. Ma è rimasto confinato nei paesi anglosassoni fino allo sfruttamento commerciale, iniziato nel XIX secolo, che lo ha trasformato in un fenomeno globale. [caption id="attachment_134570" align="aligncenter" width="783"] San Valentino da Terni[/caption] Anche a Rimini si venera da lunghissimo tempo un San Valentino, ma era uno dei tanti omonimi (dieci in tutto) del Santo ternano. E' il San Valentino (†305) martire a Ravenna con Solutore e Vittore, celebrato il 13 novembre. Se reliquie, insieme a quelle di San Vittore, si trovavano nell'abbazia di San Gaudenzo, che sorgeva dove oggi si trova il Palaflaminio. Scrive Luigi Tonini: "I nostri li ascrissero ai tempi di Diocleziano, aggiungendo che i corpi loro fossero trovati unitamente a quello di S. Gaudenzo, col quale nella chiesa stessa

Il 13 febbraio la Chiesa cattolica commemora le sante martiri Maura e Fosca. Difficile aggiungere qualcosa di certo, dal momento che su questi due nomi esistono tradizioni completamente differenti. Secondo una prima versione, la quindicenne Fosca e la sua nutrice Maura sarebbero vissute e morte da martiri nel III secolo a Sabrata, città della Libia oggi poco distante dal confine con la Tunisia. Le reliquie sarebbero giunte a Torcello, nella laguna veneziana, all'epoca della conquista araba del nord Africa, nel VII secolo. [caption id="attachment_452842" align="alignleft" width="1427"] Le imponenti rovine romane di Sabrata, in Libia[/caption] Il Martirologio Romano, però, pur raccontando la stessa storia, la colloca da tutt'altra parte: "Santa Fosca vergine e Santa Maura la sua nutrice martiri a Ravenna durante la persecuzione di Decio", tra il 249 e il 251. E solo passando da Ravenna le reliquie delle due martiri sarebbero infine giunte a Torcello, secondo "Santi e Beati": "In questa chiesa si conservano le reliquie di Santa Fosca e di Santa Maura, martiri del III secolo, non di Torcello, che ancora non esisteva, ma di Ravenna, allora municipio romano".  [caption id="attachment_452843" align="alignleft" width="800"] La chiesa di Santa Fosca a Torcello[/caption] Le due martiri finirono comunque per essere adottate da Venezia. E la Serenissima

Il 13 febbraio quest'anno è e' martidè lov, il martedì grasso. Ma oggi l'ultme dè ad Carnivèl non rende neppure pallidamente l'idea di cosa rappresentasse la ricorrenza fino a non molti anni fa. Prima del Ferragosto, delle Notti Rosa e dei Capodanni più lunghi del mondo, per secoli è stato questo il momento della festa più sfrenata. Tradizione licenziosa e paganeggiante cancellata nei Paesi divenuti rigidamente protestanti; quindi per loro motivo di attrazione turistica irresistibile verso le nazioni rimaste cattoliche. Il Carnevale raggiunse il suo apice nel Settecento e già allora quello di Venezia era fra i più celebri d'Europa, ma quello di Roma gli era pari se non superiore. Un terrazzo lungo Via del Corso, dove avvenivano le sfilate, veniva affittato a peso d'oro; le spese per carri, carrozze, feste e costumi regolarmente rovinavano intere famiglie. Ma tutto si sarebbe fatto pur di apparire e le stesse città gareggiavano fra loro in eccessi e bizzarrie. Quando queste venivano limitate o addirittura soppresse per motivi di ordine pubblico (a Rimini accadde per esempio nel 1793, temendo contagi giacobini), il malcontento verso i governanti superava ogni livello di guardia. Né duravano a lungo le astensioni dai festeggiamenti per penitenza (come a Rimini dopo

Il 13 febbraio 1498, tredici corpi pendono impiccati dai merli di Castel Sismondo. Fra loro ci sono due membri del consiglio della signoria. E uno è quello di Adimario Adimari, accusato di essere a capo della congiura che aveva cercato di uccidere il signore di Rimini, Pandolfo IV Malatesta detto Pandolfaccio. Era successo il 20 gennaio, durante la funzione del vespro nella chiesa di S. Giovanni Evangelista, cioè S. Agostino. Un agguato che sembra ricalcato su quello della "congiura dei Pazzi" a Firenze contro i Medici (1478), finito ugualmente male. All'improvviso durante la Messa, un gruppo di uomini sguaina le armi e assale Pandolfaccio. Appartengono ad alcune delle famiglie più in vista di Rimini: i Marcheselli, che guidano l'assalto, i Belmonti, i Cattani, i Clementini, i Magnani, i della Rosolaria, i Diotallevi, gli Schiavina, gli Agolanti, gli Arnolfi e altri ancora fra cui, appunto, gli Adimari. Pandolfaccio però, con il vigore dei suoi 24 anni, balza prima sull’organo e poi sull’altare maggiore, che si rompe sotto il suo peso. Quattro organisti ferraresi, che sono al suo fianco, lo difendono con le spade; grazie al loro intervento il signore viene ferito solo in modo lieve e riesce a riparare in Castel Sismondo. In città è guerra civile,

Nel febbraio del 1359, il terrore corre per le terre dei Malatesta: sta tornando il Conte Lando. La sua fama sinistra percorre l'Italia ormai da oltre vent'anni. Con i suoi mercenari ha devastato, ucciso, stuprato, rubato, estorto. Qualcuno lo ha anche sconfitto, con il solo risultato di aggiungere sete di vendetta alla sua ferocia. E ora, il 12 febbraio o qualche giorno più tardi, i Riminesi lo scrutano atterriti dalle mura della città. Ma chi è il Conte Lando? Non si  si conosce la sua data di nascita. Di Konrad Wirtinger von Landau si sa che è nato a Burg Landau, nei pressi della cittadina sveva di Ertingen, figlio primogenito del conte Eberardo III e di Guta von Gundelfingen. Gli spetta il titolo di conte di Landau con il nome di Corrado III, in quanto appartenente alla casata dei Grüningen-Landau, ramo dei conti di Württemberg.  [caption id="attachment_452632" align="aligncenter" width="800"] Stemma dei signori di Landau (Ingeram-Codex, 1459)[/caption] Molti titoli, ma evidentemente poche risorse se, come tanti altri piccoli nobili, si dà alla guerra mercenaria. Arriva in Italia nel 1338, combatte in Veneto, Lombardia, Piemonte. Ma la svolta arriva nel 1348, quando si unisce alla Grande Compagnia di Guarnieri d'Urslingen (Werner von Urslingen). Costui, ultimo rampollo dei Duchi di Spoleto

Il 12 febbraio la Chiesa cattolica commemora Sant’Eulalia patrona di Barcellona, una fanciulla che subì il martirio all’età di tredici anni sotto Diocleziano nel 303 d.C. [caption id="attachment_134188" align="aligncenter" width="812"]  Il martirio di S. Eulalia[/caption] Secondo la tradizione, poiché rifiutava di rinnegare la sua fede cristiana, Eulalia fu sottoposta a 13 torture fra cui: essere chiusa in un barile pieno di chiodi e fatta rotolare in una strada identificata dalla tradizione con l’attuale Baixada de Santa Eulalia (“discesa di Sant’Eulalia”); il taglio dei seni; essere crocifissa su una croce a X. Alla fine fu decapitata. Il suo corpo fu sepolto originariamente a Santa Maria de Les Arenes, poi venne nascosto durante la conquista araba della Spagna nel 713 e ritrovato solo nel 878. Nel 1339 fu collocato in un sarcofago d’alabastro nella cripta della nuova Cattedrale di Sant’Eulalia. E’ patrona dei marinai catalani e invocata contro la siccità. [caption id="attachment_452650" align="aligncenter" width="800"] La cattedrale di S. Eulalia a Barcellona[/caption] Nonostante la sua importanza, non si può dire che dalle nostre parti il culto della martire catalana abbia avuto un gran seguito. Eppure quel nome a un certo punto è entrato a far parte della Romagna. Accadde nell’Italia in macerie del 1947. Il paroliere “Nisa” (pseudonimo di Nicola Salerno) e i compositori Gino Reda e Dino Olivieri si

L'11 febbraio la Chiesa cattolica commemora San Pasquale I Papa nel giorno della sua morte. Abate benedettino e poi controversa figura di pontefice, si oppose all'iconoclastia (proibizione del culto delle immagini) dell'imperatore d'Oriente Leone V, ma ebbe rapporti non buoni neppure con quello d'Occidente Lodovico il Pio. Dopo la violenta repressione di una congiura filo-imperiale dei nobili romani Teodoro e Leone, che furono accecati e poi decapitati, l'imperatore aprì un'inchiesta sull'operato del Papa. Pasquale si rifiutò tuttavia di farsi processare, giurando la sua estraneità alla morte dei due nobili e pretendendo che ciò bastasse ad assolverlo. Fatto sta che alla sua morte anche il popolo romano lo detestava al tal punto che non volle fosse sepolto in San Pietro. La sua santità deriva dall'essere stato visitato da una visione di Santa Cecilia, che gli rivelò dove giacevano i suoi resti e quelli di altri martiri, fino ad allora vanamente ricercati. [caption id="attachment_134033" align="aligncenter" width="776"] San Pasquale I Papa[/caption] La figura di San Pasquale e della sua visione non era tale da attecchire più di tanto presso la devozione popolare. Tanto è vero che un culto di una comparizione molto più recente l'ha praticamente oscurata, nonché retrocessa nel calendario liturgico. L'11 febbraio 1858 avviene la prima

"Ma quale Fallaci, fu Gianna Preda la vera giornalista d’assalto della destra": così titolava Il Secolo d'Italia nel 2016, 35 anni dopo la scomparsa di quella che fu una figura di riferimento del neo-fascismo italiano. Gianna Preda era lo pseudonimo di Maria Giovanna Pazzagli, nata a Coriano l'11 febbraio 1921. Diplomata al liceo artistico di Bologna, nell’aprile del 1943 aveva sposato Amedeo Predassi, poi ufficiale della Milizia della Repubblica Sociale Italiana e quindi avvocato, dal quale ebbe due figli, Donatella e Giacomo. Esordì nel giornalismo scrivendo per il Giornale dell'Emilia (come si chiamò Il Resto del Carlino fra il 1945 e il '53)) e per il settimanale bolognese Cronache. Trasferitasi a Roma, collaborò con Epoca (suo lo scoop dell'intervista a padre Alighiero Tondi, un gesuita della Pontificia Università Gregoriana che aveva abbandonato l'abito e aderito al Pci) e divenne redattrice del Giornale d'Italia. Su invito di Aldo Borelli (direttore del Corriere della Sera durante il fascismo) nel 1954 iniziò a scrivere per il periodico Il Borghese inaugurando lo pseudonimo di Gianna Preda; una collaborazione che durerà per il resto della sua vita. [caption id="attachment_26440" align="aligncenter" width="675"] Gianna Preda e Mario Tedeschi[/caption] Nel 1957, alla morte di Leo Longanesi, Gianna Preda divenne redattore capo della rivista e insieme a Mario Tedeschi ne diventò comproprietaria, fondando la casa editrice

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