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Il 2 febbraio è la festa della Presentazione al Tempio di Gesù (Lc 2,22-39). In questa occasione si benedicono le candele di ogni chiesa, simbolo di Cristo "luce per illuminare le genti", come il bambino Gesù venne chiamato dal vecchio Simeone al momento della presentazione al Tempio di Gerusalemme, che era prescritta dalla Legge giudaica per i primogeniti maschi. Fino alla riforma liturgica successiva al Concilio Vaticano II, e tuttora nella forma straordinaria del rito romano, la festa è chiamata Purificazione della Beata Vergine Maria. La festa viene osservata anche dalla Chiesa ortodossa e da diverse Chiese protestanti. In moltissime zone e in diverse confessioni è tradizione comune che i fedeli portino le proprie candele alla chiesa locale per la benedizione. [caption id="attachment_132760" align="alignnone" width="761"] La presentazione di Gesù al Tempio raffigurato nel monasteri di Dionisio sul Monte Athos in Grecia[/caption] In Italia il 2 febbraio è detto il giorno della Candelora, ma nomi simili si riscontrano presso tutti i popoli che lo festeggiano: Candelaria per gli spagnoli e i portoghesi, Chandeleur per i francesi, Candlemas per gli inglesi, e così via. In Irlanda vi intravedono la cristianizzazione della festa celtica di Imbolc (o anche Imbolic e Oimelc) che là però è diventato il "Giorno

Il 1 febbraio la Chiesa cattolica commemora San Severo (Ravenna, fine III secolo - 1º febbraio 344), il primo vescovo di Ravenna la cui esistenza è certamente documentata, essendo le notizie sul protovescovo e patrono S. Apollinare assai confuse. Severo fu il primo vescovo ravennate a poter essere sepolto all'interno delle mura, in un sacello costruito vicino alla sua abitazione. Fino ad allora era stato in vigore infatti l'uso romano di tenere i defunti fuori dalla cerchia urbana. [caption id="attachment_450919" align="aligncenter" width="864"] I resti della basilica di San Severo a Ravenna[/caption] Nel luogo della sepoltura sorse una grande basilica, di cui oggi restano solo le rovine (e bei mosaici) perché distrutta nel XV secolo. Ma le sue reliquie erano state già da tempo trafugate oltr'Alpe da un monaco "franco", cosicché il suo culto prese radici in Francia e Germania. Con il risultato che il santuario più importante oggi dedicato a San Severo di Ravenna si trova a Erfurt, nella regione della Turingia: si chiama Severikirche. [caption id="attachment_450920" align="alignleft" width="1114"] La Severikirche a Erfurt[/caption] "Sen Svir par prim, Senta Maria Candlora, Sen Bies cavalir, la Madona de fug", San Severo per primo, Santa Maria Candelora, San Biagio cavaliere, la Madonna del Fuoco: quasi una litania, per ricordare

Il 1 febbraio 1365 si "getta" a Venezia la nuova campana per la torre dell'Arengo di Rimini. Pesa 2889 libbre e reca incise le immagini dei due maggiori patroni della città, San Gaudenzo e San Giuliano, oltre all'emblema dei Malatesta. Ci sono buone probabilità che la campana di Rimini sia stata fusa nell'isola che poi diverrà il Ghetto ebraico; nel XIV secolo ancora non esisteva, ma il luogo era già chiamato così per la presenza delle fonderie pubbliche che fabbricavano le bombarde (dal verbo ghettare, cioè "affinare il metallo con la ghetta", ovvero con il diossido di piombo). Questa campana serviva innanzi tutto per convocare le pubbliche assemblee, ma anche per dare allarmi o comunque segnali in circostanze eccezionali, comprese le occasioni di giubilo. Svolse la sua funzione ininterrottamente fino al 1759, quando alla fine decise di spezzarsi. Si deliberò allora di rifonderla in un'altra, da collocarsi però nella nuova torre dell'orologio di Piazza S. Antonio (oggi Tre Martiri) appena ricostruita dal Buonamici. La torre dell'Arengo, come usava in quei tempi, serviva per l'avvistamento, per estrema difesa, ma soprattutto da prigione: non per scontarvi lunghe reclusioni, che nel medio evo non erano usuali, ma per brevi detenzioni in attesa del processo, o dopo di esso

Alla fine del gennaio 1814, come scrive Carlo Tonini, «continuavano i diversi e incerti movimenti delle truppe Napoletane, e i nostri non comprendevano a qual fine». Sono i soldati di Gioacchino Murat, posto sul trono di Napoli da Napoleone, del quale è anche diventato cognato avendone sposato la sorella Carolina. [caption id="attachment_77292" align="aligncenter" width="917"] Gioacchino Murat Re di Napoli[/caption] «Ma re Gioacchino, amico più della propria fortuna e del regno che di Napoleone, nello sfacelo delle forze di quest’ultimo, avea già risoluto di accostarsi alla parte che prevaleva; e quindi, durante quel continuo andirivieni di truppe, che tanti danni e tante molestie cagionava alle popolazioni coi soprusi, colle violenze e colle pretensioni d’ogni genere, (le quali a descrivere minutamente sarebbe necessario un lungo capitolo) ciò che di più interessante si vide fu nel gennaio del 1814 il ripetuto venire di ufficiali austriaci e il loro stringersi a secreti colloqui col generale Carascosa mentre si trovava in Rimini». Il palermitano generale di divisione Michele Carrascosa, già comamdante della piazza di Napoli, era fedelissimo a Murat quanto ostile ai Francesi. [caption id="attachment_304919" align="aligncenter" width="581"] Michele Carrascosa[/caption] A far da intermediario fra Austriaci e Napoletani c'è anche un riminese: il Marchese Alessandro Belmonti Cima, che ricopre l'importante incarico di

Il 31 gennaio la Chiesa cattolica commemora San Giovanni Bosco, a tutti noto come Don Bosco (Castelnuovo d'Asti, 16 agosto 1815 - Torino, 31 gennaio 1888), fondatore delle congregazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. È stato canonizzato da papa Pio XI nel 1934. [caption id="attachment_132467" align="aligncenter" width="777"] San Giovanni Bosco[/caption] Il personaggio è troppo recente perché la cultura popolare riminese potesse sviluppare proverbi e modi di dire in dialetto su Don Bosco; per di più nell'epoca che di quel dialetto vede la fine. Ma la la presenza dei Salesiani in città ha lasciato un segno profondo. Nel 2019 hanno celebrato un secolo esatto dal loro arrivo a Rimini. "Ciao ma', a vag di Salisièn", ciao mamma vado dai Salesiani, diceva il bambino che scappava da casa appena poteva per andare all'Oratorio di piazza Tripoli, per tanti anni il più grande di Rimini. Quello dove era cresciuto anche Alberto Marvelli, il Beato che ora dà nome alla piazza. All'Oratorio certo si pregava; ma si giocava a calcio (sulla terra battuta, poi sul duro asfalto) e poi anche a basket, pallamano e pallavolo, nelle squadre dell'Osar, dell'Orsa e dell'Omar. C'erano il coro e la musica del grande organo, il teatro e il cinema e

Il 31 gennaio 1991 alla Fiera di Rimini si apre il XX Congresso del Partito Comunista Italiano. Alle 16 e 31 il segretario Achille Occhetto sale sul palco e in una relazione di 41 cartelle annuncia la svolta che porterà alla fine del più grande partito comunista dell'Europa occidentale. Svolta che sarà sancita il 3 febbraio nel discorso di chiusura di Occhetto, che presenta la nascita di un nuovo soggetto politico: il Partito Democratico della Sinistra. [caption id="attachment_24901" align="alignnone" width="1042"] Achille Occhetto annuncia la nascita del PDS[/caption] Achille Occhetto, succeduto ad Alessandro Natta quale segretario del PCI nel 1988, aveva avviato un processo di discontinuità dal vecchio Partito Comunista, rispondendo al mutato clima internazionale. Ma il 12 novembre 1989, nel corso di una commemorazione della lotta partigiana alla nella sezione della Bolognina, arriva un suo breve ma clamoroso annuncio dell’esigenza di cambiare tutto nel partito. Nasce da questa proposta un forte dibattito sia fra i militanti che fra i dirigenti, nel quale si distingue l’ostilità di Pietro Ingrao. [caption id="attachment_24902" align="alignnone" width="1052"] Pietro Ingrao in una sezione del PCI[/caption] Le tappe successive della vicenda sono il Comitato Centrale del Partito del 20 novembre, i congressi delle sezioni, il Congresso di Bologna del marzo 1990, il XX ed

Come annota Carlo Tonini per l'anno 1803, "Abbiamo già veduto, che per diletto e passatempo della Nobiltà solevansi tenere liete conversazioni serali nelle sale del pubblico palazzo (comunale, ndr). Ora troviamo che ad esse fu sostituita, agli ultimi di gennaio, l’istituzione del cosi detto Casino Civico il quale si aperse nella casa de’ Serpieri, Collegio anticamente delle Celibate di S. Cecilia (nell'attuale piazza Ferrari). Ivi presero a sollazzarsi i nobili e i cittadini promiscuamente con suoni, canti e balli alla democratica". La società viene costituita, come si legge nello statuto, con «atto approvato con decreto del vice prefetto in data 31 gennaio 1803 anno secondo della Repubblica italiana». E cioè lo stato che Napoleone ha messo in piedi dopo la Repubblica Cisalpina e prima del Regno d'Italia, con al vertice assoluto sempre lui. Dunque la nascita della Società del Casino Civico rappresenta per Rimini una conquista "democratica". Prima, infatti, solo i nobili potevano "tenere liete conversazioni" fra di loro. Ora invece si "sollazzano" assieme ai cittadini: "promiscuamente".  Tutti i cittadini? Non proprio. Solo i borghesi, la classe che con l'arrivo dei Francesi sta trionfando e reclama di entrare nel salotto buono senza dovesi vergognare della propria ricchezza. Che il più delle volte è

Il 30 gennaio la Chiesa cattolica commemora Santa Martina, diaconessa romana e martire nel III secolo. Nebulosa la leggenda che la circonda, a iniziare dal fatto che la nobildonna capitolina sarebbe stata atrocemente seviziata con degli uncini e poi decapitata. Il tutto sarebbe avvenuto, secondo la sua Passio, sotto l'impero di Alessandro Severo. Solo che questo imperatore non perseguitò mai i cristiani e anzi si distinse per tolleranza religiosa, eccetto l'avversione verso il culto solare siriaco di El-Gabal che era stato instaurato dal cugino e predecessore Eliogabalo, assassinato dai pretoriani dopo inauditi eccessi, fra i quali le cinque mogli e i due mariti. [caption id="attachment_450511" align="aligncenter" width="550"] La chiesa dei Santi Luca e Martina nei Fori Romani[/caption] Alessandro Severo fra l'altro "fece suo il detto «Quod tibi fieri non vis, alteri ne feceris» ("non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te"); lo ripeteva di frequente e lo fece incidere, secondo l'Historia, sul suo palazzo e in altri luoghi pubblici" (Wikipedia). "Senta Marteina la tira zo la fareina", Santa Martina tira giù la farina. Questo proverbio, diffuso anche in altre regioni, allude alla ben nota doppia valenza della neve: sgradita al momento, ma miglior garanzia di un buon raccolto, perché

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