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Prima di tutto, le cose importanti: se volete inviare aiuti alle popolazioni dell’Ucraina, la Caritas diocesana ha attivato un conto corrente dedicato e l’associazione Team Bota raccoglie materiale utile nella sede di via XX Settembre e nel punto Post Service di via Tripoli 165A. Per materiale utile si intende scatolame, alimenti per l’infanzia, medicinali, prodotti essenziali per l’igiene personale fra cui pannolini e assorbenti, visto che i profughi sono in maggioranza donne e bambini. «No vestiti,» si raccomanda la volontaria di Team Bota, «ne abbiamo già a sufficienza». E qui comincia la parte meno importante, e cioè la strana concezione che certe persone hanno degli aiuti ai profughi e ai sopravvissuti alle catastrofi. Quando la tivù mostra folle sbigottite e disperate, che fuggono da una guerra o da un cataclisma con gli abiti che hanno addosso e poco altro, la loro mente vola subito a quell’armadio da sgombrare o a quello sgabuzzino da liberare. Sentirsi caritatevoli e al tempo stesso recuperare spazio in guardaroba sbarazzandosi di quel che non serve più: la famosa Marie Kondo lo chiamerebbe “il magico potere della raccolta benefica”. Le cose belle e di qualità si passano a parenti e amici o si mettono su Vinted, il resto

«Taci, il nemico ti ascolta», ammonivano negli anni Quaranta i manifesti della propaganda fascista – anche se il peggior nemico dei nostri soldati non erano gli Alleati ma l’impreparazione e la presunzione dei vertici militari. Badare a come si parla perché preziose indicazioni non vengano carpite dalle orecchie sbagliate era ed è raccomandazione comune in zona di guerra. Ma nelle guerre contemporanee, che si combattono sempre di più sul campo della propaganda e delle fake news, il vecchio motto andrebbe ritoccato: “non ascoltare, il nemico ti disinforma”. Che la prima vittima di ogni guerra sia la verità era noto molto prima dell’era digitale, ma oggi l’aforisma ha acquistato ben altro spessore e urgenza, anche e soprattutto nelle zone non interessate direttamente dai conflitti. Perché ognuno di noi, diffondendo e condividendo materiale sull’onda di una genuina e benintenzionata emozione, può diventare non solo pubblico e spettatore della propaganda dell’una o dell’altra parte, ma anche agente. Per questo, fin dalle prime ore dell’invasione russa dell’Ucraina, sono circolati sui social vademecum per orientarsi nella marea di notizie, foto e video che già stavano inondando la rete. Non basta “tacere” per non aiutare il nemico, bisogna diventare critici attenti e circospetti di tutto ciò che ci

Bastardi senza gloria? Sicuramente non a Rimini. Questo ci dicono i numeri dell’anagrafe canina comunale, che illustrano chiaramente la preferenza dei cinofili riminesi per i «meticci», cioè i cani senza pedigree, nati non da unioni eugenetiche freddamente combinate da allevatori, ma da liberi e travolgenti amori occasionali sbocciati in parchi o cortili. Nel nostro comune, in un esercito di oltre 18mila cani, il reggimento dei bastardi conta ben 6.175 esemplari, fra i quali ci saranno sicuramente il simil-bassotto ipernutrito della nostra anziana dirimpettaia, il pastore non-proprio-tedesco del vicino di casa e altre 6.173 combinazioni di incroci di razze – perché ogni bastardo è un unicum. Intendiamoci: io non sono della scuola “i meticci sono più intelligenti”. Quello che avevo io da piccola, per dire, non era esattamente una cima, ma ho il sospetto che lui pensasse la stessa cosa di me. Perché diavolo continuavo a lanciare quel bastone in giardino e a fargli degli strani gesti, quando era molto più divertente scavare buche nelle aiuole di rose? Però sono in debito con lui di parecchi bei voti nei temi d’italiano: allora come oggi, le storie di cani piacevano a tutti, comprese le maestre delle elementari. Quando invece scrivevo del mio gatto non avevo

Ci voleva già prima un po’ di sforzo per prendere sul serio San Valentino, ma nel 2022 è veramente un’impresa. Negli ultimi due anni, a causa delle restrizioni, Cupido ha dovuto mettere in soffitta arco e frecce, anche per non correre il rischio di essere preso a sassate dai no-vax che potrebbero scambiarlo per un drone cecchino che spara dosi di Moderna. Fra distanziamento, quarantene e mascherine è stato praticamente impossibile frequentare in presenza qualcuno abbastanza da innamorarsene, in compenso è stato facilissimo averne pieni gli zebedei del/della partner, diventato non solo convivente, ma anche collega di scrivania in smart working. Ci sono sempre le relazioni virtuali, certo, ma il partner virtuale è come il tamagotchi, quel mini-simulatore di animaletto che andava di moda alla fine dei Novanta: se ti fa sentire affettivamente appagato, è perché sei diventato matto. Quindi le coppie che domani sera festeggeranno con cuore sincero la festa degli innamorati si conteranno sulle punte delle dita; varrebbe la pena di andare nei ristorantini romantici solo per avvicinarsi al loro tavolo, stringergli la mano e chiedergli qual è il loro segreto. E allora che si fa? Bè, a prescindere dalla nostra attuale situazione sentimentale, forse il San Valentino 2022 è

Si può dire che quest’anno Sanremo ci voleva proprio? E un Sanremo così, pieno di giovani spudorati e discinti e di vegliardi col turbo, senza scandali né comici salvatori della patria né superospiti stranieri paracadutati e condiscendenti, dove la trovata più coinvolgente, il Fantasanremo, non è stata ideata da un pool di autori strapagati, ma da una compagnia di buontemponi al tavolo di un bar di Fermo. Risultato, il miglior share dall’edizione 1995, un altro secolo, un'altra Italia. E non solo grazie al solito affezionato pubblico di Raiuno - Rsa, ospedali, monasteri femminili – ma soprattutto per merito di un esercito di ragazzini che la televisione non l’accendono mai e la considerano un dispositivo da vecchi, come il catetere e l’adesivo per dentiere. Ci voleva un Sanremo così per farci sentire un po’ più uniti, un po’ più complici, dopo la breve parentesi affratellante dei successi olimpici l’estate scorsa. Dall’autunno in poi, con l’irrigidimento delle restrizioni anti-Covid e la guerra civile del green pass, fiumi di bile ci hanno diviso dai vicini, dai colleghi e dal prossimo in generale. Sono stati depennati parenti di primo e secondo grado, si sono spezzate amicizie secolari, e anche le feste di fine anno, lungi dallo

Tutta colpa di Enrico Mentana. Mi ha mandato a dormire venerdì sera sicura che il giorno dopo avrei visto l’elezione di una donna al Quirinale, nella fattispecie una personalità capace e apprezzata da tutti, la capa dei servizi segreti Elisabetta Belloni. Lasciatemi esprimere un’opinione che oggi suonerà un po’ sessista: sarebbe stato bello poter sfoggiare finalmente anche noi, come i paesi scandinavi e le più avanzate fra le repubbliche baltiche, una giovane e piacente signora, bionda ed elegante, alla più alta carica istituzionale. Anche l’elezione di Marta Cartabia, attuale ministro della Giustizia, sarebbe stato un bel messaggio di novità e di cambiamento. Né lei né Belloni, né tantomeno Casellati, hanno fama di progressiste, ma cosa vorrebbe dire per una bambina o una ragazza vedere nel concreto che nessun traguardo, nemmeno il più prestigioso dello Stato, è precluso a una donna, e che i suoi meriti possono essere riconosciuti tanto da portarla al massimo vertice del Paese? Certo, con il Mattarella-bis restiamo sul sicuro, la conferma del tandem con Mario Draghi darà sicurezza ai vertici Ue e ai mercati e la non necessità di un passaggio di consegne consentirà di risparmiare tempo prezioso in un momento delicatissimo. Per carità, baciamoci i gomiti,

«Fatto di sangue fra due uomini per causa di…» Una vedova, diceva il titolo del vecchio film della compianta Lina Wertmuller, ambientato nella Sicilia del 1922. Nella Rimini del 2022 il fatto di sangue fra i due uomini, nella fattispecie un pensionato e un ingegnere, per fortuna è stato solo sfiorato e ha portato i contendenti davanti al giudice, ed è motivato non da una procace vedova, ma, signore e signori, da un albero. Un albero anarchico che sorge nel giardino dell’ingegnere, e insofferente dei limiti imposti a Madre Natura dalla proprietà privata, ha allungato un ramo fino a invadere il giardino del pensionato, per «adagiarsi», dicono le cronache, «su un manufatto» non meglio precisato: una rimessa? Una fontana con gli amorini? Una Ducati Monster (con i pensionati riminesi non si sa mai)? Non solo anarchico, l’albero, ma pure squatter, peggio degli antagonisti dei centri sociali. Almeno così ha ritenuto il pensionato, che lungi dal vedere nel ramo proteso un’allegoria vegetale dell’amicizia che dovrebbe crearsi fra due buoni vicini di casa, dapprima ha chiesto all’ingegnere di mozzare l’invadente appendice della sua pianta (che non doveva essere un ciliegio o un melo, altrimenti il pensionato avrebbe avuto la sua convenienza a tenerlo

Da che cosa è uscita esattamente l’Inghilterra con la Brexit? Sì, certo, dall’Europa, lo sappiamo tutti, anche se almeno finora il contraccolpo si è sentito più oltre Manica che sul continente e gli straordinari vantaggi di cui il Regno Unito avrebbe dovuto godere dopo il divorzio da Bruxelles ancora non si vedono, oppure non sono così straordinari. Ma viene il sospetto che la Brexit abbia tagliato fuori l’Inghilterra, o meglio, i suoi politici, anche da qualcos’altro che potremmo chiamare «decenza». La politica inglese sembra una scolaresca di figli di papà di un liceo-bene che è entrata in autogestione e combina un sacco di guai, mentre il capoclasse non sa che pesci pigliare, quando addirittura non dà pessimi esempi. Era difficile trovare l’equivalente inglese di «patàca», ma ora si può tradurre efficacemente con «Boris Johnson». Non pago delle brutte figure collezionate e delle gaffe collezionate nel primo anno di Covid (una fra tante: aveva affermato che noi italiani accettavamo le restrizioni anti-contagio perché, a differenza degli inglesi, non ci tenevamo alla democrazia), ne ha aggiunta un’altra di rara indelicatezza: a quanto pare, il suo staff avrebbe organizzato due party in concomitanza con i funerali del principe Filippo, lo scorso aprile. BoJo si è

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