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Da che cosa è uscita esattamente l’Inghilterra con la Brexit? Sì, certo, dall’Europa, lo sappiamo tutti, anche se almeno finora il contraccolpo si è sentito più oltre Manica che sul continente e gli straordinari vantaggi di cui il Regno Unito avrebbe dovuto godere dopo il divorzio da Bruxelles ancora non si vedono, oppure non sono così straordinari. Ma viene il sospetto che la Brexit abbia tagliato fuori l’Inghilterra, o meglio, i suoi politici, anche da qualcos’altro che potremmo chiamare «decenza». La politica inglese sembra una scolaresca di figli di papà di un liceo-bene che è entrata in autogestione e combina un sacco di guai, mentre il capoclasse non sa che pesci pigliare, quando addirittura non dà pessimi esempi. Era difficile trovare l’equivalente inglese di «patàca», ma ora si può tradurre efficacemente con «Boris Johnson». Non pago delle brutte figure collezionate e delle gaffe collezionate nel primo anno di Covid (una fra tante: aveva affermato che noi italiani accettavamo le restrizioni anti-contagio perché, a differenza degli inglesi, non ci tenevamo alla democrazia), ne ha aggiunta un’altra di rara indelicatezza: a quanto pare, il suo staff avrebbe organizzato due party in concomitanza con i funerali del principe Filippo, lo scorso aprile. BoJo si è

Parafrasando un celebre slogan pubblicitario, si può dire che «l’attesa della neve è essa stessa la neve»? La domanda sorge spontanea mentre guardiamo il meteo sul cellulare o leggiamo sui media gli allerta che parlano per oggi di una probabilità di neve pari al cento per cento - più che una probabilità, una certezza, quindi. Mentre scrivo queste righe è sabato sera, e per me nevica già - nel senso del celebre slogan, cioè sono in attesa che nevichi. Mentre voi mi leggete, forse cadranno già i fiocchi, ma per voi starà piovendo, perché il meteo del cellulare annuncia pioggia per lunedì, e l’attesa della pioggia è eccetera eccetera. Devo dire che credo più nelle previsioni piovose che in quelle nevose. A differenza della neve, che richiede una particolare combinazione di freddo e di secco, la pioggia ha meno pretese, c’è in tutte le stagioni, con qualunque temperatura. Cambiano la durata della precipitazione e il calibro delle gocce, ma alla fin fine sempre acqua è. La neve, specie sulla costa, è, paradossalmente, il classico cigno nero: raro, imprevedibile e soprattutto inaspettato, specie dai meteorologi. Si sa che in fatto di tempo Rimini va per conto suo e sono più affidabili il ginocchio della

Parafrasando un celebre slogan pubblicitario, si può dire che «l’attesa della neve è essa stessa la neve»? La domanda sorge spontanea mentre guardiamo il meteo sul cellulare o leggiamo sui media gli allerta che parlano per oggi di una probabilità di neve pari al cento per cento - più che una probabilità, una certezza, quindi. Mentre scrivo queste righe è sabato sera, e per me nevica già - nel senso del celebre slogan, cioè sono in attesa che nevichi. Mentre voi mi leggete, forse cadranno già i fiocchi, ma per voi starà piovendo, perché il meteo del cellulare annuncia pioggia per lunedì, e l’attesa della pioggia è eccetera eccetera. Devo dire che credo più nelle previsioni piovose che in quelle nevose. A differenza della neve, che richiede una particolare combinazione di freddo e di secco, la pioggia ha meno pretese, c’è in tutte le stagioni, con qualunque temperatura. Cambiano la durata della precipitazione e il calibro delle gocce, ma alla fin fine sempre acqua è. La neve, specie sulla costa, è, paradossalmente, il classico cigno nero: raro, imprevedibile e soprattutto inaspettato, specie dai meteorologi. Si sa che in fatto di tempo Rimini va per conto suo e sono più affidabili il ginocchio della

Dite la verità: quanto avreste dato, alle 20.30 del 31 dicembre, per sapere cosa passava per la testa di Sergio Mattarella, mentre pronunciava il suo ultimo discorso di fine anno? Vi siete domandati se la sua postura - in piedi, anziché seduto - volesse alludere al fatto che la sua poltrona tecnicamente è già libera per il successore, e che lui non ha nessuna intenzione di occuparla oltre il tempo stabilito, o era un generico invito rivolto agli italiani perché non si siedano sui travagliati ma indubbi successi del 2021 (sportivi, musicali, sanitari nella lotta alla pandemia, economici) ma affrontino in piedi le difficoltà che si profilano nel 2022? In effetti, se Mattarella avesse voluto farci capire che di un prolungamento del suo mandato non vuole nemmeno sentirne parlare, si sarebbe fatto riprendere con un piede fuori dalla porta dello studio e magari con il trolley in mano, tanto per essere chiari. Alcuni quirinalologi infatti invitano a non dare per scontato che questo sia davvero l’ultimo discorso di fine anno di Mattarella. Ma forse, considerati i nomi che girano per la successione al Quirinale, è più un desiderio che una seria valutazione. Draghi sarebbe meglio lasciarlo dov’è, visto che fra le tante sue

Facciamo un gioco tipo Settimana Enigmistica. Fra questo secondo Natale targato Covid e il primo ci sono alcune differenze: proviamo a scoprirle insieme. Alcune sono fatte di numeri: quello di vittime giornaliere, che nel 2021 sono un terzo di quelle dell’anno scorso; quello dei nuovi casi, che è triplicato, ma a fronte di un numero di tamponi che è dieci volte quello del 2020. Altre sono molto evidenti: si è festeggiato in casa, ma senza limiti ai commensali, oppure in un locale, opzione proibitissima dodici mesi fa; ma sono anche aumentate le famiglie che non si sono potute permettere né regali né cenoni, perché nell’Italia della Grande Ripresa c’è chi ha perso lavoro e certezze. E ci sono differenze invisibili, cambiamenti che si sono prodotti dentro di noi e hanno dato un sapore diverso, non sempre migliore, alle celebrazioni natalizie. A generarli non è stato il Covid, ma, paradossalmente, ciò che un anno fa tutti attendevamo trepidanti, convinti che ci avrebbe redento dalla pandemia e da tutte le sue restrizioni: il vaccino, le cui somministrazioni sarebbero iniziate solo dopo le feste. In meno di dodici mesi gli italiani sono diventati sì uno dei popoli più immunizzati d’Europa, ma anche dei più divisi.

Si profila un Natale come gli altri, almeno sulla carta. Nel senso di carta da regalo. Il nostro assessore all’Ambiente, per ora, non ha imitato la collega romana Sabrina Alfonsi, che nei giorni scorsi ha invitato la cittadinanza ad astenersi dall’impacchettare i doni natalizi per non ingigantire i mucchi di spazzatura accanto ai cassonetti, emergenza che nemmeno la nuova giunta è riuscita ad arginare malgrado le promesse. Quindi a Rimini si incarta, si confeziona e si imballa come se non ci fosse un domani; dove non ci pensa il personale del negozio o un apposito addetto, provvede il donatore, dopo aver fatto scorta in cartoleria di rotoli variopinti, coccarde luccicanti e scatole decorate che a volte costano più del regalo stesso e fanno sì che il più umile paio di calzini destinato al cugino di secondo grado assuma l’aspetto e le dimensioni di una palla da discoteca. In rete abbondano i tutorial sull’incarto creativo, che insegna a produrre le proprie carte da regalo col découpage, a personalizzare ogni pacchetto con la tecnica dell’origami o ad acconciare il nastro da regalo con boccoli e tirabaci tipo parrucca di Maria Antonietta; il fiocco poi va impreziosito a sua volta con bigliettini autoprodotti, biscottini minuscoli

A me è capitata solo una volta nella vita, la classica toccata di sedere non voluta. Avevo diciassette anni, era sera, e stavo guardando una vetrina. Qualcuno è passato dietro di me e mi ha palpato inequivocabilmente una chiappa. Mi sono voltata, più stupefatta che indignata, ma il manolesta si era già confuso nella folla dei passanti. E mi sono messa a ridere da sola. Forse perché ero di buonumore, forse perché ero ancora una bambinona e quella toccata e fuga mi sembrava più uno scherzo da scuola elementare che una molestia. E poi il colpevole era sparito - molto peggio gli importuni che ti si appiccicano, magari non ti toccano ma ti seguono, vogliono attaccare bottone a tutti i costi, ti dicono cosacce e se provi a rimbalzarli diventano pure aggressivo. Peggio il tizio che ti appoggia addosso il pacco in autobus, quello che si smanazza i gioielli di famiglia davanti a te nello scompartimento ferroviario vuoto, quelli che completano la stretta di mano con la grattatina… il mio album giovanile di molestatori, bavosi e scocciatori è quello di tutte le ragazze della mia generazione, mancano solo le avances sul posto di lavoro, che per fortuna mi sono state risparmiate. Quelle

«Più passano i giorni più sale il timore che nella nostra città si aggiri qualcuno che accoltella a morte uno qualunque che aspetta l’autobus». L’allarmata riflessione di un riminese apparsa ieri sul Resto del Carlino è la stessa che mi ronza nella testa, specialmente oggi che devo prendere un treno e mi troverò nel piazzale della stazione più o meno alla stessa ora in cui domenica scorsa è stato assassinato il povero Galileo Landicho. Pare che i controlli in zona siano aumentati, ma non abbastanza da farci passeggiare a cuor leggero al calar della sera in via Dante e in piazzale Battisti. Il killer è ancora uccel di bosco, l’arma del delitto non si trova e non è stato individuato uno straccio di movente. Non potendo rintracciare l’omicida, gli inquirenti non possono far altro che passare e ripassare al setaccio la vita del povero 74enne, alla ricerca di qualche tassello oscuro che possa metterli sulla pista giusta. E che, nel contempo, possa farci sentire in qualche modo al sicuro: nella nostra vita quel tassello oscuro non c’è, quindi a noi non può capitare quel che è successo al giardiniere di Villa Verucchio, no? E quanto dormiremmo più tranquilli se le indagini facessero

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