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«Quando vinco sono lo sciatore di Bologna, quando perdo sono il carabiniere di Sestola» amava dire Alberto Tomba, quando ancora non conosceva la parte peggiore: a consegnarlo all’immortalità pop non sarebbero state le sue vittorie sulla neve, ma il ruolo di protagonista nel cult-movie trash Alex l’ariete. Succede un po’ la stessa cosa con gli atleti di San Marino: quando perdono sono sammarinesi, figli della repubblica-canaglia che si vaccina col vaccino di Putin e ci ha tradito all’Eurovision Song Contest e via brontolando, mentre quando vincono sono quasi italiani, anzi, praticamente riminesi. Nel caso di Alessandra Perilli, bronzo a Tokyo2020 nel trap femminile e argento nel trap a squadre (prime due medaglie conquistate da San Marino in un’Olimpiade), non si tratta di un “praticamente”: lei a Rimini c’è proprio nata. (Per inciso: la “trap” di Alessandra non è quella di Sfera Ebbasta e Ghali, ma è il nome inglese e più accattivante della vecchia “fossa olimpica”, specialità di tiro a volo). Ma essendo di madre sammarinese, nel 2009 la neo-campionessa, insieme a sua sorella maggiore Arianna, anche lei tiratrice, ha deciso di gareggiare per il Titano: piccolo è bello, anche perché oltre alle competizioni maggiori, si può partecipare ai Giochi dei Piccoli

Va bene, il sarcastico invito twittato da Roberto Burioni, «facciamo una colletta per pagare Netflix ai novax quando dal 5 agosto saranno chiusi in casa come dei sorci», non è molto professorale. Soprattutto perché sottovaluta l’intensa vita notturna dei sorci, che dopo il tramonto hanno sempre scorrazzato impunemente alla faccia del coprifuoco, e continueranno a farlo anche senza green pass. Comprensibile che Giorgia Meloni, avendo raccolto l’eredità politica di quelli che si diceva condividessero uno degli habitat preferiti dai sorci, le fogne, sia insorta contro il linguacciuto virologo. «Questa non è scienza», lo ha rimbeccato, «frasi del genere servono solo a farsi invitare in televisione e appagare il proprio bisogno di apparire». Possiamo dubitare delle competenze di Meloni in fatto di scienza, ma quanto a frasi coniate apposta per colpire il pubblico e i media la signora ne sa almeno quanto Burioni. Tant’è vero che, da fiera vaccinista («una delle conquiste più importanti, la vaccinazione obbligatoria è lo strumento che la comunità scientifica ci dà per sconfiggere patologie solo apparentemente sconfitte per sempre», 2018) è diventata paladina della libertà di non vaccinarsi («green pass ultimo passo verso una società orwelliana», luglio 2021) per poi arretrare, nelle ultime ore, verso una più limitata

Rimini, Notte Rosa, mattine grigie. Come quelle in cui devi andare negli uffici dell’Anagrafe di via Caduti di Marzabotto per farti rilasciare la carta d’identità elettronica o un certificato che puoi ottenere solo recandoti al caro vecchio sportello, e ti ritrovi scagliato in piena era pre-tecnologica, tra malintesi e code sotto il sole. Il Covid, che ha reso «smart» tante cose, ha complicato alcuni aspetti della burocrazia pubblica, riproponendo lungaggini e inconvenienti che sembravano archiviati per sempre. È una specie di ritorno del rimosso, un passato di inefficienza e macchinosità che credevamo di avere superato, e che riemerge per metterci il dubbio che la modernità sia solo una patina e che in realtà non ci siamo molto allontanati dalla famosa lettera di Totò e Peppino, «punto, due punti e punto e virgola, abbundantis abbundandum». Un passato che riemerge sotto forma di un burbero usciere in maniche di camicia da film neorealista, e il cui concetto delle relazioni con il pubblico ricorda certe scene di Siamo uomini o caporali? Ora, è bello che grazie al Covid, che pure ha flagellato tanti settori del mondo del lavoro, un onesto padre di famiglia abbia trovato un’occupazione in un ufficio pubblico. E va anche detto che

Nella domenica più carica di aspettative per lo sport azzurro, la tristezza collettiva - genuina, sincera, non di facciata - per la scomparsa di Raffaella Carrà è addolcita dal pensiero che in Paradiso noi italiani abbiamo una «santa» in più. Senza aureole e senza fumi di incenso, almeno per ora, ma quelli che vorremmo chiederle oggi, in fondo, sono miracoli squisitamente laici, caldi, allegri e spumeggianti come i suoi show. Carrambate, più che miracoli. Anzi, una ce l’ha già regalata: carràmba, che sorpresa vedere un italiano in finale a Wimbledon per la prima volta nella storia, nello stesso giorno in cui anche la Nazionale di calcio si gioca la finale degli Europei a Wembley, a pochi chilometri di distanza, con gli inglesi per la prima volta nella loro storia. Matteo Berrettini è un atleta senza grilli per la testa o atteggiamenti da divo, attaccato alla famiglia e dotato di una simpatia naturale, proprio come Raffa; e anche i ragazzi di Mancini, in fondo, piacciono a tutti, e non solo in patria, per la semplicità e l’allegria che diffondono, mentre macinano un successo dietro l’altro, come ha fatto la regina della tivù in oltre mezzo secolo di carriera. Sono le migliori qualità degli italiani,

Dov’è la sliding door che può trasformare conflitto generazionale e culturale in un’orribile tragedia o in un’opportunità per comprendersi? Domanda inevitabile quando scopriamo dalle cronache di questi giorni che anche Rimini ha rischiato un caso Saman Abbas. Una ragazza musulmana che voleva vivere all’occidentale e rifiutava un matrimonio combinato aveva subito dalla famiglia violenze fisiche e psicologiche, tanto da spingerla a rifugiarsi in una struttura e a denunciare genitori e fratelli. Fino a qui, il copione è quasi lo stesso di Novellara, salvo che per il paese d’origine dei protagonisti - la famiglia Abbas è pakistana, il caso riminese riguarda immigrati tunisini -, e per l’età delle due ragazze: Saman ha (finché non verrà ritrovato il suo corpo usiamo il tempo presente) diciotto anni, mentre l’altra giovane all’epoca dei fatti ne aveva circa ventidue. Non che per una cultura arretrata e patriarcale l’età di una ragazza faccia molta differenza, visto che è sempre soggetta prima al padre e poi al marito, ma dovrebbe farla per la nostra società. Saman era sparita dal radar dei servizi scolastici dopo l’esame di terza media, brillantemente superato malgrado fosse arrivata in Italia da poco. I genitori avevano rifiutato di mandarla alle superiori in città, ma poi non

A quanti anni un bambino impara ad allacciarsi le scarpe? Questa la domanda che nella scorsa settimana è rimbalzata prepotente sull’instancabile tappeto elastico dell’opinione pubblica, dov’era schizzata immediatamente dopo il felice ritrovamento del piccolo Nicola. Sgusciato via nella notte dal suo lettino, il bimbo, due anni non ancora compiuti, era stato rintracciato quasi due giorni dopo a tre chilometri da casa, un rustico isolato fra le colline del Mugello. La prima cosa che ho notato io nelle prime immagini di Nicola, sano e salvo in braccio al carabiniere, sono stati i suoi occhi neri, acuti, sveglissimi, tanto che ho pensato: fra qualche anno questo qui ci mangia in testa a tutti. Ma alla stragrande maggioranza degli italiani è balzato all’occhio un altro dettaglio, ben più significativo e sconvolgente: i sandaletti, ben allacciati ai piedini di Nicola. Ed è subito stato un fioccare di domande più o meno tendenziose: possibile che un bimbo di così piccolo sia riuscito a indossarli da solo? Al buio? Senza scambiare il destro con il sinistro? La mamma lo ha messo a letto con i sandali? Glieli ha infilati qualcuno prima di portarselo via? Ovviamente, il quesito correva all’interno di uno sciame sismico di dubbi sul senso di responsabilità

Prima di beccarmi degli improperi perché prima mi lamento delle mascherine e poi mi lamento perché si avvicina il momento di archiviarle: io non mi sono mai lamentata delle mascherine. Come tutti, all’inizio le ho adottate per necessità e per obbligo di legge, e poi ne ho scoperto i lati positivi. Chiamatela sindrome di Stoccolma, ma ho finito per affezionarmi alla piccola carceriera di stoffa che mi porto in faccia da un anno e mezzo, e ora che le restrizioni si stanno allentando e si potrebbe girare almeno per strada a viso nudo o con la mascherina a mezz’asta, tirata sul mento, un po’ mi dispiace.  E vi dirò che non sono la sola. Molti di quelli che a parole inneggiano alla ritrovata «libertà di respiro» sotto sotto avranno dei rimpianti per gli imprevisti «pro» di un presidio che all’inizio odiavano. Uno dei primi, per noi signore: ci ha consentito di ridurre al minimo il tempo e l’impegno per il makeup. Un po’ di mascara e via, niente più fondotinta, fard, cipria e e rossetto, con un bel taglio anche alle spese cosmetiche. In pratica basta lavarsi la faccia. Oltretutto, la mascherina ha protetto la zona dagli zigomi in giù dal temuto

Guardiamola dal lato positivo: meno male che la Valmarecchia non è negli Stati Uniti. Altrimenti il bambino di dieci anni che per recuperare il suo pallone è entrato da una finestra aperta in una casa disabitata non se la sarebbe cavata (si fa per dire) con una denuncia, ma si sarebbe beccato come minimo una pistolettata. Giusto così si riesce ad alleviare l’indignazione e lo sbalordimento per un episodio che non fa certo onore alla Romagna «terra dell’ospitalità», specie alle soglie della regione turistica: davvero ospitale e accogliente una terra dove si denuncia per «invasione di edifici» un bambino di quarta elementare che si intrufola in una casa deserta per riprendersi un giocattolo, e lo si convoca in lacrime alla Procura dei minori di Bologna. Passi per il vicino che, sentendo rumori sospetti all’interno dell’immobile, ha avvertito il proprietario - anzi, magari ce ne fossero di più, di vicini che insospettiti dal fracasso nelle abitazioni altrui avessero tanta fretta di dare l’allarme: forse si sventerebbero molti episodi di violenza domestica. E invece no: la maggior parte dei vicini, quando sentono venire dalla casa accanto urla, pianti e frastuono di mobili rotti, alzano le spalle e pensano che l’amore non è bello

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