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Alzi la mano chi perde il sonno perché le calotte polari si stanno sciogliendo a causa del riscaldamento globale. Saranno ancora meno di quelli che si rivoltano la notte nel letto pensando al progressivo ridimensionamento del ghiacciaio del Monte Bianco. Occhio non vede, cuore non duole. Mica siamo pinguini o trichechi, lo spessore del pack non è affar nostro, e quanto al ghiacciaio, ma l’avete visto? Non sembra nemmeno fatto di ghiaccio. Il ghiaccio dovrebbe essere bianco con riflessi grigioazzurri, come quello dei cubetti nei cocktail o come il regno di Elsa in Frozen. I ghiacciai alpini invece sono quasi beige, hanno l’aria un po’ zozzetta, vuoi mettere con il candore del Perito Moreno in Patagonia? E comunque tanto sul Monte Bianco non ci andiamo mai, noi preferiamo le valli del Trentino, dove anche quando non ci sono neve e ghiaccio ci sono i cannoni per l’innevamento artificiale, e tanti saluti a Greta. Poi succede che si scioglie l’umile pista da pattinaggio che ogni anno viene allestita in centro (quest’anno a fianco del teatro Galli), che non sarà la calotta artica e nemmeno il ghiacciaio di Planpincieux, ma che ci permette (o permetteva) di assaporare il lato più ludico del grande freddo.

Dopo le Sardine che riempiono le piazze, ci mancavano i pesci-pene che invadono la spiaggia. No, fermi, guardoni, non precipitatevi sul lungomare, per ora i molluschi si sono spiaggiati solo a San Francisco, astenersi da malignità sulla fama gay-friendly della città californiana. La loro somiglianza con il pene umano medio (niente misure alla Rocco, per intenderci), è veramente impressionante, e pure il colore rosa-livido fa pensare ad appendici tagliate di fresco da un esercito di Lorene Bobbit. Pare che l’Urechis uricinctus (questo il nome scientifico dei vermiciattoloni peniformi) in Asia sia una leccornia multitasking: lo si mangia crudo, cotto e anche polverizzato come condimento. E, ovviamente, gli si attribuiscono poteri afrodisiaci, come a tutti gli alimenti che ricordano gli organi sessuali, dall’ostrica alla banana. Certo che per i creazionisti dev’essere un bel dilemma spiegare perché il Signore abbia riempito il mondo di animali e vegetali così somiglianti a organi che per la stessa religione sono peccaminosi e vanno tenuti ben nascosti. Non gli sarebbe costato nulla dargli una forma diversa, pudibonda e meno imbarazzante. Quando poi Dio ha inventato il pesce pene doveva essere veramente in un momento di buonumore. Un momento, però: se l’uomo è l’ultima creatura realizzata da Dio, dopo

Che somari, i nostri figli. Sì, asini, tutti, e non guardate ai voti sulla pagella. Anche quelli bravi sono somari, anzi, forse lo sono più degli altri. Perché il carico di libri che ogni mattina i ragazzi dalla quarta elementare in su devono issarsi sulla schiena è più degno di un animale da soma che di un essere umano, per di più ancora in crescita. La questione è annosa, come rappresentante di classe me la sono sentita sottoporre dai genitori, e ora torna alla ribalta dopo l’incidente occorso a un ragazzino di prima media (stessa età e stessa scuola di mio figlio, centro storico), sbilanciato sulla bicicletta da uno zaino strapieno e caduto a terra, per fortuna senza gravi conseguenze. Ma al suo angelo custode, che gli ha risparmiato lesioni gravi e ha fatto in modo che non passassero automezzi proprio in quel punto e in quel momento, ora girano parecchio le scatole. E pure ai suoi celesti colleghi, che tutti i giorni devono esercitare un controllo supplementare sui ragazzini perché quella zavorra sconsideratamente accumulata sulle loro spalle dall’insipienza degli adulti non si traduca in malesseri e infortuni. Il padre del piccolo incidentato, Francesco Barone, rappresentante d’istituto, aveva da poco espresso su Facebook

Avete presente quelle creaturine simpatiche e pucciose che sembrano uscite da un cartone animato per bambini o dalle ceste dei peluche degli asili nido, con gli occhietti furbetti, il musino irresistibile e una coda birichina, che all’inizio ti fanno sdilinquire di tenerezza ma quando te li metti in casa te la distruggono in mezza giornata, per non parlare della puzza devastante? Lo pseudo cucciolo esotico adottato in vacanza da turisti incauti, che al ritorno gli ammazza il gatto e distrugge l’arredamento, finché il veterinario rivela che si tratta di un ferocissimo ratto oppure di un diavolo della Tasmania, è un classico delle leggende metropolitane. In realtà è l’adattamento miniaturizzato e domestico di eventi realmente avvenuti. L’introduzione di specie animali esotiche in un ecosistema in cui non erano previste ha causato vere e proprie catastrofi: l’esempio più famoso è la piaga dei conigli in Australia. Nel 1859 un allevatore lascia liberi nel bush dodici coniglietti selvatici perché i gentiluomini britannici possano dedicarsi alla caccia, come nella brughiera dell’Inghilterra nativa. Dove però ci sono volpi, parassiti e inverni freddi che tengono sotto controllo la proliferazione dei roditori; niente di tutto questo esiste agli antipodi. Risultato, dopo dieci anni l’Australia è un’immensa conigliera, e

La storia di questa settimana non è proprio della nostra zona, ma viene dal lembo di Toscana più vicino a noi, la zona di Sansepolcro, ma è così suggestiva che vale la pena di debordare un filino fuori provincia e fuori regione. E’ la storia di suor Maria Teresa, la superiora di un antico monastero, in origine di cappuccini, poi passato alle monache olivetane. Una di quelle religiose giovani e dinamiche che trasformano i conventi in agriturismi dove i laici possono ritemprare corpo e spirito all’insegna dell’«ora et labora» benedettino. Ma succede che suor Maria Teresa si innamora di un uomo, e anche se ormai la relazione è finita, le autorità ecclesiastiche – pare addirittura che dietro ci sia la Santa Sede - non solo la obbligano a lasciare il velo, ma chiudono il monastero, perché ci sono rimaste solo tre suore molto anziane. Dice l’ex superiora che dietro il provvedimento non c’è solo il suo amore terreno, ma altro non rivela. In mancanza di altri dettagli che possano inquadrare la vicenda nello schema “monaca di Monza” (chi era il misterioso lui? Un bravaccio tipo Egidio? O un insospettabile?) non si può non notare che in questi giorni la vita intima delle monache

Bè, questa volta «avanti Savoia» ci sta. Anzi, forse l’uscita sui social di Emanuele Filiberto, “la famiglia reale sta tornando”, è l’unica impresa riuscita a un Savoia negli ultimi cento anni, senza spargimento di sangue. L’impresa non era la restaurazione della monarchia, anche se visti i tempi ci manca solo che tornino in forze i monarchici – abbiamo un altro duce, ci manca solo un altro re – bensì il lancio di una linea di abbigliamento chiamata House of Savoy, che ricicla stemmi e insegne della dinastia e dell’esercito sabaudo su cappellini e giubbotti. Il principe ballerino ci ha fregato tutti, con quella breve clip in cui, seduto a una scrivania di regale imponenza, con foto di famiglia sullo sfondo e una luce dorata che gli danzava fra i biondi capelli, annunciava “il ritorno della famiglia reale”, la sola in grado di riportare la serietà e l’eleganza di cui c’è tanto bisogno. Un discorso così composto, serio e pertinente che non solo ti veniva da credergli, ma, sotto sotto, perfino da apprezzarlo. Chi può negare che oggi come oggi in Italia ci sia un disperato bisogno di serietà ed eleganza, nel senso più ampio della parola? D’accordo, Emanuele Filiberto non è il principe

Non dev’essere facile fare il sindaco di Predappio, a qualunque partito si appartenga. Voglio dire, tutti i paesi della Romagna hanno qualche specialità, in genere simpatica: Brisighella ha l’olio e i frustatori, Bertinoro ha la colonna dell’ospitalità e il vino, Sarsina ha san Vicinio, Plauto e la pagnotta, Forlimpopoli ha Artusi, Marradi ha le castagne, Gambettola ha la Tecnogym, Savignano ha il Rubicone, anche se oggi si mette in dubbio che quello sia stato davvero il fatale fiume di Cesare. Predappio è famosa per una cosa sola. E molto imbarazzante, per la maggior parte della gente civile. Eppure quella cosa lì è un volano per l’economia locale, e non si può sputare nel piatto in cui si mangia. E’ un problema analogo a quello di Las Vegas: se metti al bando gioco d’azzardo e prostituzione la città va in malora. E pure Predappio, se gli togli il business intorno alla Buonanima, che gli resta? Il vero problema è che lui, il mortaccione che riposa nella cripta del cimitero di San Cassiano, il vero primo cittadino di Predappio. L'inquilino di palazzo Varano, che sia di destra o di sinistra, è solo un facente funzione, un plenipotenziario, un vice. Più si è sdoganato il

«Di te perdant, ut etiam in sepulchro excruciatus sis»: che gli dei ti maledicano, perché tu soffra anche nella tomba. E’ una celebre maledizione sepolcrale latina contro i violatori di tombe, e forse andrebbe riproposta nei cimiteri moderni bersagliati da furti e vandalismi quanto le necropoli antiche. Non si salva nulla, dai fiori freschi o artificiali che vengono prelevati dalle lapidi, ai vasi di rame che le contengono. Si rubano perfino i pupazzetti lasciati sulla tomba di un bambino, com’è successo qualche giorno fa proprio al cimitero di Rimini, con ulteriore strazio della povera mamma. Sarebbe stato bello che i calcinacci che si sono staccati dalla tettoia fossero caduti in testa al profanatore senza cuore. Ma dov’è Stephen King, quando serve? Nei romanzi e nei film horror i morti sono permalosissimi, guai a torcergli un capello. Se costruisci la casa dove secoli prima hanno seppellito un indiano, te lo ritrovi in giro per casa con un tomahawk insanguinato, mummie egizie disturbate nel sonno si svegliano e fanno sfracelli, fai lo spiritoso sulla tomba di uno sconosciuto e il giorno dopo il suo scheletro si autoinvita al tuo matrimonio. Nella realtà invece i trapassati sono più tolleranti e nonviolenti del Mahatma Gandhi, sopportano di tutto

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