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Tutta Italia ha riso del povero cinquantenne riminese che ha approfittato di una trasferta in una città del Nord per il suo battesimo del fuoco nel mondo del sadomaso, per finire in ospedale con quaranta giorni di prognosi. Il vero rituale di umiliazione non è stato il pestaggio somministratogli dalla mistress, ma quello inflittogli dai cronisti, che hanno riferito la sua disavventura con toni irridenti e sarcastici, descrivendolo, per rimanere nel boccaccesco, come un porno-Andreuccio da Perugia, anzi, da Rimini, che si fa incautamente irretire da una maliarda mercenaria forestiera e paga la sua imprudenza con botte e fratture varie. «Col senno di poi, avrà rimpianto i rapporti di routine fatti di coccole e baci», ha scritto Il sussidiario.net, e se la routine dell’estensore dell’articolo sono rapporti teneri e coccolosi, e non i frettolosi due minuti di cui parlano le statistiche sulla sessualità in Italia, è un uomo fortunato. «Voleva un’esperienza forte, ma non così forte,» sogghigna La Repubblica. E via su questo tono. Tutti a ridere del povero sfortunato slave debuttante, tutti a moraleggiare sulle velleità “eyes wide shut” del Fantozzi del sesso estremo, giustamente punite. Voleva provare dolore? Bene, è stato accontentato con un crudele contrappasso che gli toglierà per sempre certi

E siamo arrivati al punto in cui un fine intellettuale come Adriano Sofri inizia la sua rubrica sul Foglio con “senti, brutto stronzo”. E’ un gioco retorico a sfondo paradossale, sia ben chiaro: con questa apostrofe volgare a Salvini, l’ex leader di Lotta continua ha risposto agli insulti partiti dal ministro dell’Interno contro Carola Rackete, la capitana della SeaWatch3. «Ti piace insultare una giovane donna in gamba a nome del governo italiano, eh?» continua Sofri, prima di scagliare a Felpa Kid una raffica di epiteti a metà strada tra il film western e il cappa-e-spada: maramaldo, pallone gonfiato, ceffo vigliacco. Il senso delle contumelie viene chiarito dalla frase successiva: «si può fare di meglio, cioè di peggio. Tu [Salvini] puoi». Come dire: se la gara è a chi la spara più grossa e sboccata, eccomi qui, non è uno sport tanto difficile, anche se il miglior marcatore resti sempre tu, caro Salvini. Si stringe un po’ il cuore nel vedere una personalità complessa e discussa come Sofri (che peraltro ha pagato davanti alla legge i propri errori con lunghi anni di detenzione, a differenza di altri) accettare a un’età venerabile un incontro di catch nel fango mediatico con un avversario più

La nostra casa è in fiamme è il titolo del libro di Greta Thunberg, la Giovanna d’Arco della resistenza al cambiamento climatico. Per meglio dire, la nostra casa comune, il mondo, è sulla fiamma, come la famosa pentola d’acqua con dentro la rana, che sguazza ignara nell’acqua sempre più calda, finché si accorge troppo tardi di essere diventata carne da bollito. Ma la metafora della casa in fiamme, se non è calzante, è sicuramente più efficace: attiva tutti i nostri sistemi di allarme. Quando la casa va a fuoco bisogna fare subito qualcosa: chiamare soccorsi, certo, ma prima di tutto scappare, come fanno gli animali selvatici quando scoppiano gli incendi boschivi. E non di rado l’istinto di sopravvivenza ha la meglio su quello di responsabilità verso gli altri, specie i più deboli. C’è un bel film, Forza maggiore, dello svedese Ruben Ostlund, che racconta proprio questo: di fronte a una catastrofe incombente un padre abbandona la famiglia e pensa soprattutto a salvare la propria vita, la tragedia viene scongiurata e non muore nessuno ma resterà una ferita insanabile fra chi è scappato e chi è rimasto a proteggere. Proteggere i più deboli nelle emergenze è virtù antica e così sacra che duemila

Il detto “mors tua vita mea” è molto crudele, soprattutto quando si declina in un contesto che dovrebbe essere spensierato, come quello delle vacanze, dove si traduce in “attentatus tuus, turista meus”. Perdonate il cinismo, ma a quanto pare è questa la causa del calo delle prenotazioni per le mete vacanziere italiane per l’estate 2019, il primo in cinque anni. Non è colpa del governo gialloverde o della piega sovranista e nemmeno dei migranti, che siano i 500mila indicati da Salvini un anno fa o i 90mila di cui ha parlato prima delle Europee. Il problema è che una delle maggiori attrattive del nostro Paese negli ultimi tempi era di non essere la Tunisia, l’Egitto, la Francia o l’Inghilterra, teatro di stragi terroristiche firmate (o come minimo rivendicate) dall’Isis. L’Italia era considerata più sicura di altre mete – sui motivi circolano le tesi più varie, dalla presenza di papa Francesco, con cui alla fin fine i musulmani vanno d’accordo, all’efficienza della nostra intelligence, al puro e semplice culo – e continua a essere sicura. Ma la memoria degli uomini è labile, purtroppo e per fortuna. E come cantavano Dalla e Morandi, «la sofferenza tocca il limite e cancella tutto, e rinasce un fiore

Come sarà stata «La piadina» canadese? A due spioventi, come la tenda? A forma di foglia d’acero? Rossa come le giubbe rosse del Saskatchewan? A me resta un po’ di curiosità per questa versione transoceanica della nostra specialità, che forse sopravviverà, ma non potrà chiamarsi piadina, visto che il Consorzio di Promozione e Tutela della piadina IGP è riuscito a far bloccare il marchio presso l’Ufficio per la Proprietà industriale canadese. Sarebbe stato l’ennesimo caso di sfruttamento dell’«Italian sounding», dopo il Parmesano, il Prisecco e la Pasta Schuta: denominazioni finto-tricolori per prodotti realizzati con ingredienti magari pure sani e genuini, ma non originali, che se li leggesse Oscar Farinetti gli verrebbe un coccolone. Ma all’estero, specie in Nordamerica, non sono come noi. Non vanno tanto per il sottile quando si tratta di cibo. Sono cresciuti con sapori artificiali, industriali, carichi di zucchero e di aromi, tutto il cibo che hanno mangiato in vita loro è stato acquistato pronto o semipronto in un supermercato, oppure recapitato da un rider, o consegnato attraverso la finestrella di un drive-thru. Nessuno perderebbe una mezz’ora a discutere con il salumiere o il formaggiaio sulla stagionatura del prosciutto o sul tipo di caglio impiegato per il pecorino, come succede

Ebbene sì, io l’ho provata, la cannabis. La prima volta alle elementari: la corda da saltare che usavo da bambina, comprata in ferramenta, grossa e resistente come una gomena da barca (forse era quella la sua vera destinazione) era fatta di canapa doc. E in effetti faceva male, specie quando te la beccavi sulle gambe – erano tempi in cui le bambine non portavano leggings, ed erano rari pure i pantaloni: a scuola si andava sempre in gonna e calzettoni al ginocchio, anche d’inverno. E faceva male ai contadini di Romagna, area di massima produzione e lavorazione della canapa in Italia (la Corderia di Viserba). Un lavoro malsano e disumano in tutte le sue fasi. E chi, nel pieno dell'estate, dopo la maleodorante macerazione  immerso fino alla cintola doveva farne immani fascine, aveva il privilegio di mangiare sei volte al giorno. E appena bastavano a sostentarsi, anche perché erano in prevalenza donne e bambini. Nell’adolescenza ho provato pure l’altra, quella cattiva: corrotta da un paio di amiche scafate e trasgressive, ho tirato qualche boccata da una canna. Ma siccome l’unico effetto è stato una gran voglia di pastasciutta – e all’epoca non avevo certo bisogno di qualcosa che mi aumentasse un già gagliardo appetito – ho lasciato

Il tempo è dalla loro parte. Nel senso di tempo atmosferico: il prossimo weekend non sarà caldissimo, ma almeno soleggiato. E anche se i protagonisti del raduno in programma a Lido di Dante saranno coloro che in vacanza espongono zone dove tradizionalmente il sole non batte, non devono necessariamente lasciarle pure in balia delle intemperie. Sì, arrivano i nudisti, come volgarmente vengono chiamati, o i naturisti, secondo la dizione più corretta, perché non praticano la nudità per provocazione o tantomeno esibizionismo, ma all’interno di una scelta esistenziale di contatto e adesione con la natura, che ci ha creato senza vestiti. La filosofia naturista ha più successo nei paesi nordeuropei dov’è nato, più di cent’anni fa, e negli Stati Uniti, e conserva ancora il retrogusto utopistico e ingenuo della Belle Epoque. In un mondo sempre più tecnologico e artificiale, qualcuno sentì il bisogno di riscoprire i valori dell’autenticità e della semplicità primordiale, in un sogno edenico che era una fuga e insieme una critica alla società. Proprio questa prospettiva di rigenerazione dell’essere umano fece sì che in Germania parte dei valori naturisti venissero piratati e distorti dal nazismo nel senso di esaltazione della superiorità fisica della razza ariana: il film Olympia di Leni Riefensthal

Questi weekend freddi e piovosi stanno sistematicamente rovinando prime comunioni, feste di matrimonio e recite scolastiche. Riusciranno anche a fermare la legione prediletta di Giulio Cesare, una delle più prestigiose dell’antica Roma, la XIII Gemina, che oggi dovrebbe esibirsi in città in tutta la sua possanza, tra sferragliare di gladi e grida di battaglia? Figuriamoci. Il centurione che consulta il meteo sullo smartphone è ancora più anacronistico di quello con l’orologio da polso, reso celebre dal film Ben Hur. Non solo perché le app meteorologiche sono ancora più distanti dall’età romana degli orologi, ma anche perché ci vuol ben altro che due gocce di pioggia e qualche grado in meno per fermare la legione che passò il Rubicone, sconfisse i seguaci di Pompeo a Farsalo, Tapso e Munda e in seguito combatté per l’Impero, dalle steppe della Pannonia ai deserti della Mesopotamia, guadagnandosi gli appellativi di Pia e Fidelis. Oggi le benemerenze della Gemina sono ben altre: il bando di arruolamento sul suo sito internet promette «bottino per assicurarti una pensione per la vecchiaia», il che rende la legione molto interessante per i giovani cui il precariato non dà certezze economiche per il presente e tanto meno sicurezza previdenziale per l’avvenire –

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