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Nostalgia struggente di Gianni De Michelis: un sentimento che non mi assale solo ora, all’indomani della sua morte, ma che mi sono sorpresa a provare sempre più spesso, negli ultimi anni. E non è solo rimpianto per la mia giovinezza, coincisa con il periodo di massima fama e splendore del più mondano dei dirigenti social-craxisti (e uno dei più intelligenti), ma proprio per quel lifestyle così antipauperistico, fatto di party, discoteche, champagne a fiumi e forse non solo quello, che ha avuto in Rimini e Riccione due fra i suoi scenari più caldi. Erano i famosi ruggenti anni Ottanta presi in giro dal Drive in di Antonio Ricci (c’era proprio un De Michelis imitato da Gianfranco D’Angelo con accento veneziano e attorniato da tre procaci girls di nome Murano, Burano e Torcello) e messi alla berlina da Sabina Guzzanti a Tunnel, dove interpretava il personaggio di Grazia De Michelis, la cantante ultra-raccomandata. Anni di corruzione, in cui cresceva a dismisura l’immane debito pubblico che ci opprime oggi, ma anche di vitalità disordinata e, tutto sommato, di ottimismo, malgrado le tragedie che ancora si consumavano nel nostro paese: terrorismo, stragi di mafia, efferata cronaca nera (è l’epoca del mostro di Firenze e dei

Volete svegliarvi ogni mattina felici e soddisfatti e andare a letto ogni sera scoppiando di gratitudine? Non servono corsi di mindfulness né costosi incontri con life coach di grido, basta investire qualche euro in un libro – non di self help, ma di storia. Ho qualche dubbio che conoscere la storia prevenga il ripetersi di tragedie epocali (quante guerre sono state scatenate per vendicare presunti torti secolari?), ma di una cosa sono certa: più ne sappiamo delle condizioni di vita dei nostri omologhi nel passato (non i re, i papi, i condottieri o gli artisti, ma le donne e gli uomini che campavano la famiglia e tiravano la carretta), più ci rendiamo conto della fortuna pazzesca che è vivere nel nostro tempo. Il libro taumaturgico che vi raccomando è Il fango, la fame, la peste: clima, carestie ed epidemie in Romagna nel Medioevo e nell’età moderna di Aurora Bedeschi ed Eraldo Baldini, edito da Il Ponte Vecchio. Già il titolo induce a toccamenti scaramantici, e con ottime ragioni: è un repertorio accurato e documentato delle catastrofi che hanno vissuto i nostri antenati. E non in senso generale: se siamo romagnoli, i trisnonni dei trisnonni dei nostri trisnonni, gente con il nostro stesso

«Cani e padroni di cani, vorrei stringervi le mani molto forte con uno strumento di tortura e di morte», cantava qualche anno fa Elio, dando voce all’insofferenza di chi pesta le deiezioni canine non raccolte dai proprietari del quadrupede, in spregio alla legge, alla buona educazione e all’igiene pubblica. (La legge, fra l’altro, oggi imporrebbe di sciacquare pure le pisciate dei cani, che tanto innocue non sono: odore a parte, alza la gamba oggi, alzala domani, le colonne dei portici di piazza Tre Martiri sono ridotte peggio dei ruderi della Casa del Chirurgo). L’inno di Elio potrebbe essere adottato da un’altra categoria insofferente non tanto ai cani, quanto alla crescente tracotanza di (alcuni) padroni. Mi riferisco ai negozianti, che ormai devono dare libero accesso nelle loro esercizi a quattrozampe di tutte le forme e dimensioni, per lo più senza museruola, e se osano fare rimostranze vengono coperti di improperi. E dico «devono» perché, a quanto pare, negare l’ingresso ai cani significa ridurre di un buon quaranta per cento la clientela. Perfino al Conad è stato eliminato il cartello «qui noi non possiamo entrare», che, sì, dava luogo a scene strazianti anche per i meno cinofili - il cagnolino legato col guinzaglio alla ringhiera

Lo so, è irriverente e presuntuoso fare certi paragoni. Ma nella settimana che ci ha visto tutti gli europei (o almeno, quelli cui sono rimasti un po’ di cuore e un po’ di testa) col cuore in gola davanti al rogo di Notre Dame, un simbolo dell’identità occidentale al di là del credo religioso, noi riminesi abbiamo avuto il consolante privilegio di veder rinascere un piccolo ma importante simbolo della nostra identità cittadina, il nautofono, che ieri ha fatto risentire il suo triplice ululato dal molo del porto. Il dispositivo sta alle moderne apparecchiature nautiche come le campane delle cattedrali stanno alla sveglia digitale: è superato sia dal punto di vista tecnico che da quello funzionale, ma parla alla memoria e alle emozioni con forza possente, e non si può che essere riconoscenti alla Consulta del Porto e alla giunta per aver reso possibile, in concomitanza con la Pasqua, la sua attesa resurrezione. I soliti brontoloni osserveranno che ci sono voluti sei anni per ricollocare al suo posto un semplice apparecchio, più o meno quelli previsti (seppur ottimisticamente) da Macron per le riparazioni di Notre Dame; ma si sa che in Italia per i tempi per il ripristino di qualunque bene pubblico,

Letto così, “il wargame per tutta la famiglia”, fa un po’ effetto. Di solito quanto si pensa a giochi da fare in famiglia vengono in mente il Mercante in fiera, il Monopoli, o se si ha davanti un pomeriggio molto lungo e poco azzurro, il Risiko. Ma forse Marco Santi e Federico Chiappini, i riminesi inventori del «Fort Laser Warrior Camp», un prato attrezzato dove si può giocare alla guerra armati di fucili al laser e caschetto con i sensori, l’hanno pensata molto più giusta di quel che sembra, vista la crescente litigiosità all’interno dei nuclei familiari, o tra vicini di casa, che spesso esplode proprio durante i fine settimana e riempie le pagine di cronaca nera il lunedì. Anziché bisticciare fra le quattro mura, col rischio di trascendere, perché non sfidarsi a familiar tenzone al Laser Camp, dove non si fa male nessuno e chi perde al massimo paga la piadina alla squadra vincitrice? Costa meno di avvocati e giudici di pace e offre l’occasione per un po’ di movimento all’aperto, che giova alla salute a tutte le età. Al Congresso mondiale delle famiglie di Verona erano troppo occupati a distribuire feti di plastica e a colpevolizzare le donne che lavorano,

Se torno a nascere, giuro, faccio l’Alberghiero. Anzi, se potessi ricominciare da capo ora, e se la professione non richiedesse vigore ed energia fisica, oltre che competenze tecniche, mi ci iscriverei per il 2019-2020. Così, entro qualche anno, potrei provare una sensazione mai provata in una vita da giornalista e scrittrice: essere contesa e richiesta da più datori di lavoro, vedere il terrore nei loro occhi all’idea che io possa trovare un’offerta migliore e lasciarli a piedi all’inizio della stagione. Il mio mestiere me ne ha date di soddisfazioni, per carità, ma questa mai. Perché di penne più o meno buone ce n’è tante in giro, e i lettori della carta stampata sono molto meno esigenti e reattivi di fronte a un pezzo scritto male di quanto lo sono i clienti di un ristorante o di un albergo alle prese con un pessimo servizio. Senza contare che ormai, nuova legge sul copyright o no, sulla rete si può leggere praticamente di tutto a scrocco, e, come dice il proverbio, nessuno compra la mucca se può avere il latte gratis. Morale: se fossi una brava cameriera o receptionist o cuoca, non dico chef, basta meno, oggi me ne starei a vagliare proposte

Il famigerato Congresso Mondiale delle Famiglie ha almeno un lato positivo: non si svolge a Rimini. Fortunatamente la Grande Armée del generale Pillon ha scelto di acquartierarsi a Verona. Città con tante belle cose, dall’Arena al pandoro passando, ovviamente, per Catullo e Romeo e Giulietta, ma anche con qualcuna brutta o bruttissima: da Ordine nuovo al gruppo neonazista Ludwig, dall’organizzazione neofascista Rosa dei venti ai tifosi del Verona che impiccarono un manichino nero per protestare contro l’acquisto di un giocatore di colore, dalle Pasque veronesi, riti cattolico-integralisti, ai pestaggi omicidi di ragazzi di sinistra, e non dimentichiamo il lugubre processo di Verona con cui Mussolini nel 1944 si vendicò del «generissimo» Galeazzo Ciano e dei gerarchi che l’avevano sfiduciato il 25 luglio ‘43. Oddio, a conti fatti le specialità veronesi brutte superano le belle, almeno negli ultimi cento anni; il risultato è che, oggi come oggi, organizzare a Verona un congresso omofobo e oscurantista è come organizzarne uno sul Gorgonzola a Gorgonzola e uno sul Parmareggio a Parma e Reggio Emilia: quasi una tautologia. La nostra Rimini è già sede del Meeting di Cl, delle assise massoniche e ultimamente della kermesse attuale del MoVimento 5 Stelle, ma non è per la sua sovraesposizione

L’avete vista, la foto dei camerati che ieri al cimitero Monumentale di Milano hanno celebrato il «centenario» del fascismo al motto di «Cento anni di giovinezza»? E c'erano anche da noi: "con la deposizione di diverse rose rosse, ai caduti riminesi per la Rivoluzione Fascista. Il dott. Carlo Bosi, Mario Zaccheroni, ed in particolare Luigi Platania, quest'ultimo reduce della Grande Guerra con tre Medaglie d'Argento e due Croci di Guerra nonché tra i fondatori del primo nucleo dei fasci di combattimento locali, sono ricordati nel sacrario interno al Tempio Malatestiano di Rimini dove i militanti forzanovisti si sono dati appuntamento per celebrarne il ricordo". Sembrava l’anticamera di un provino per il ruolo di ultras da stadio per un film di serie zeta: decine di pelati con bomber, anfibi, tatuaggi e facce truci d’ordinanza. Più che una militanza, sembra un patetico quanto ripugnante gioco di ruolo impersonato da uomini adulti che negli orpelli, ancora simbolicamente potenti, di una dittatura condannata dalla storia, hanno trovato l’unico modo per riempire una vita altrimenti vuota di senso, valori, cultura. E solo rasandosi i capelli, sporgendo la mascella e gridando slogan si sentono qualcuno, quel qualcuno lì, per il quale provano un genere di sentimenti che

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