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Che il riscaldamento globale minacci la biodiversita lo sappiamo. Ma in questa estate torrida, con l’anticiclone africano che, alla faccia di tutte le politiche immigratorie o anti-immigratorie, è andato a stabilirsi in Europa settentrionale, scopriamo che il global warming minaccia anche l’antropodiversità. Esaltati dall’insolito caldo, i popoli dal Belgio alla Norvegia anziché strapparsi i capelli per i mutamenti climatici (che peraltro si sforzano di prevenire limitando le emissioni di anidride carbonica con ben altra serietà che da noi) hanno reagito con infantile entusiasmo, tuffandosi nelle fontane, prolungando le vacanze sulle loro un tempo fredde spiagge, progettando orti domestici di colture mediterranee come il pomodoro, la melanzana. «Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?» cantava Goethe, riferendosi all’Italia. «E come no,» risponderà il tedesco di oggi, «è il Meclemburgo.» Non ci vorrà molto perché i nordici scoprano a chilometro zero la siesta dietro le persiane semichiuse, i pomeriggi oziosi al bar della piazza, le feste della vendemmia, e tutti gli indolenti piaceri mediterranei che hanno sempre rimproverato a noi Piigs, italiani, greci e spagnoli. La rigidezza e l’operosità di tedeschi e scandinavi sarà solo un ricordo, un fossile etnografico, quando le renne si aggireranno sconcertate in mezzo alla macchia mediterranea che ricoprirà le

Qualcuno ha sogghignato alla notizia della Caporetto del Beat Village, con Al Bano e Romina infuriati e il pubblico, venuto anche da lontano, che minacciava di fare un macello. E il qualcuno non va cercato solo fra i nemici della giunta Gnassi e alla «politica dell’evento» che starebbe mostrando la corda – e un po’ ci sta: gli eventi, per loro natura, dovrebbero essere speciali, ma se ce n’è uno al giorno la specialità si perde, e con lei anche il soprassalto di dopamina che ci rende felici. Perché la felicità è «un bicchiere di vino con un panino», ma è anche un ormone, la dopamina appunto, che ci stampa il sorriso sulla faccia ma che è incompatibile con la ripetitività. Da questo punto di vista, però, gli ex coniugi Carrisi (o non più ex, è un po’ che non vado dal parrucchiere e non sono aggiornata sugli ultimi sviluppi) sono il classico calabrone: fanno le stesse canzoni da cinquant’anni ma il pubblico li adora e i loro concerti sono sempre il trionfo della dopamina, in Italia e soprattutto fuori. A sogghignare per la débacle della rassegna in programma, anzi non più, alla darsena sono stati anche i malcapitati (fra cui chi scrive)

«Potrebbe andare peggio. Potrebbe piovere,» recita l’immortale filosofia dei Blues Brothers. Che forse, se fossero riminesi d’estate, aggiungerebbero «o potrebbe esserci la mucillagine». Ebbene, in questi giorni abbiamo sia la pioggia che la mucillagine, mentre troppa gente in giro (o al governo) fa discorsi da nazisti dell’Illinois. Sì, pare che sia tornato, l’incubo molliccio e gelatinoso, per fortuna non imponente e invadente come dell’estate dell’89, almeno per ora. Ma non è solo per questo che non si registrano ancora isterismi e riti di scongiuro. In quasi trent’anni le cose sono cambiate parecchio, sulla riviera. All’epoca il mare era imprescindibile per chi veniva in vacanza qui. Lo diceva la parola stessa, «bagnante»: il suo obiettivo primario era fare il bagno, e del resto gli stabilimenti sulla spiaggia sono «balneari» e si chiamano, appunto, «bagni». Benché la maggior parte del tempo la si passasse anche allora all’asciutto, sulla sabbia, tutto girava intorno ai bagni di mare, ed era così da centocinquant’anni, quando il bagno non si «faceva» ma si «prendeva». Come si prende una medicina – e in effetti così era considerato, più o meno, il bagno di mare: una terapia, sul genere delle cure termali, da prendere, appunto, due volte al giorno, tre ore dopo

Forse la proposta di non iscrivere più l’Italia né agli Europei né ai Mondiali – tanto per rimediare delusioni bastano i tornei di club, Champions e UEFA – è esagerata, ma bisogna dire che Russia 2017 ha davvero ridefinito il calcio: non è più il gioco in cui undici giocatori ne sfidano altri undici e alla fine vince la Germania, e nemmeno più quello in cui gli italiani si divertono solo se in campo c’è l’Italia. Ce li siamo goduti anche senza azzurri, con la testa e il cuore ma senza disturbare fegato e cistifellea, e per quanto possano stare antipatiche le reti Mediaset, stavolta hanno visto giusto loro, che non hanno sottovalutato il genuino e disinteressato amore dei telespettatori per il calcio. E non solo degli sportivi: con tutti i suoi difetti, il «soccer» è rimasta una delle rarissime occasioni in cui il piccolo schermo ci mostra gente che parla poco, guadagna sì uno sproposito ma alla fine sgobba parecchio e (quasi sempre) sa quel che fa. Fra l’altro si tratta (quasi sempre) di giovani gagliardi e bellocci, il che fa piacere pure a noi signore.  Quindi stasera non si prevede il coprifuoco da finale con l’Italia, ma ci saranno parecchie fantozziane

«Era una casa molto carina, senza il soffitto, senza cucina, non si poteva entrarci dentro perché non c’era il pavimento». Stava in via dei Matti numero zero la casa cantata da Rodari-Endrigo, e quando devo riferire il mio indirizzo a volte mi viene da indicare la stessa strada, via dei Matti, magari con un numero civico dispari, visto che la casa senza tutto tranne i muri sta di fronte alla mia. Oddio, «senza tutto» è un’esagerazione, perché questa casa, un edificio a tre piani incassato fra altri due palazzi di via Bertani, in realtà di cose ne ha parecchie: finestre rotte, cornicioni cadenti, una facciata scrostata pietosamente impacchettata con un reticolato per impedire che i calcinacci cadano in testa ai passanti, come è già successo. Magari dentro c’è anche qualcosa di simile a un pavimento e a una cucina, ma gli unici in possesso di informazioni recenti sono i topi che da anni ne sono gli unici inquilini, o meglio, gli unici inquilini appartenenti alla classe dei Mammiferi – sarà sicuramente più cospicua e variegata la rappresentanza degli Artropodi: ragni, insetti e scorpioni, per non parlare degli abitanti dell’attico, un clan di piccioni grassi, chiassosi e prepotenti come i Casamonica. Sfortunatamente, il

Foscolo non ce la contava giusta. Ricordate il sonetto «Alla sera»? «Forse perché della fatal quiete tu sei l’immago, a me sì cara vieni, o sera, ecc ecc», traduzione dal foscolese, «cara sera, mi piaci perché mi ricordi la morte, mi fai pensare al nulla eterno, così mi passano le paturnie e mi do una calmata». Vabbè, un poeta romantico non poteva che spiegarsela così, ricorrendo a teorie necrofile da bel tenebroso che davano un brivido alle signore. Del resto che poteva saperne lui, agli inizi dell’Ottocento, di ritmi circadiani e photo-aging? Ma basta aver passato qualche giorno di giugno vicini al circolo polare per capire cosa significa, per noi mediterranei, fare a meno della sera. Il sole di mezzanotte non è una fake-news come lo sbarco sulla luna secondo il sottosegretario Sibilia. Esiste davvero. Alle 23.30 è ancora chiaro e se il primo giorno ti sembra uno spettacolo meraviglioso, già il secondo ti destabilizza, e il terzo vorresti sloggiare il sole dal cielo a calci. Anche se tiri le tendine, anche se indossi la mascherina di stoffa, sai che lui è lì dietro e si insinua nella trama del tessuto per punzecchiarti come un partner adrenalinico: «allora, marmotta, che si fa? Usciamo?

E’ ancora sconosciuta l’identità dell’attempato cantante riminese che è riuscito a spillare 140mila euro all’ex fidanzata ottantenne ritrovata nel 2015 su Facebook, con il pretesto di farsi finanziare una grande rentrée sul palco di Sanremo, ma lo chiameremo Max. Come Max Bialystock, il produttore protagonista di Per favore non toccate le vecchiette, che raccoglieva i fondi per il suo musical-truffa attingendo alle borsette di anziane bisognose d’affetto. Il nostro Max doveva avere al suo arco qualche freccia, artistica e no, se ha potuto convincere una signora non inesperta della vita a mettergli a disposizione il suo gruzzoletto. Difficile che si tratti di un debuttante assoluto. La sua età – 74 anni, riferiscono le cronache – suggerisce che si tratti di un artista che ha raggiunto una piccola notorietà negli anni Sessanta-Settanta, ma inchiodato al piccolo cabotaggio canterino, uno che non ha fatto il grande salto che gli avrebbe assicurato una seconda giovinezza nelle serate «vintage», e le tournée in Russia e nelle ex repubbliche sovietiche grazie alle quali gente come Toto Cutugno e i Ricchi e Poveri se la passa ancora benissimo. Il nostro Max – ma si tratta solo di congetture, sia ben chiaro – probabilmente da anni si esibisce

Si è espresso, a voce o via social, su tasse, crociere, caporalato e Saviano, ma non ha ancora speso una parola sui piccioni. L’emergenza volatili nelle città dev’essere l’unico dramma del Paese al quale il ministro dell’Interno Salvini non è riuscito a trovare una risposta pronta e riassumibile in un tweet. L’ha battuto in rapidità ed efficacia il riminese residente in via Simbeni, sedicente «ex ufficiale dell’esercito», che da un paio di mesi ha trasformato il suo appartamento in una postazione da cecchino da cui impallina i piccioni che scagazzano impunemente sul suo balcone. Forse voleva solo spaventarli, ma si sa come succede in certe situazioni estreme: la sorpresa, la paura e la volontà di proteggere i familiari da un intruso pericoloso e senza scrupoli provvisto di armi batteriologiche hanno il sopravvento sul self control, e ci scappa il morto, nella fattispecie un piccione che si è beccato due pallottole ed è caduto praticamente in testa a un’ignara passante. E’ evidente che Salvini non è stato ancora informato dell’accaduto, altrimenti si sarebbe già schierato pubblicamente dalla parte dello sniper in nome della legittima difesa, anche armata, dalle raffiche di guano, sicuro di raccogliere anche in questo caso il plauso della maggioranza degli italiani. Quanti

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