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Più divampa la guerra fra ecoscettici ed ecoterroristi, meno probabiità ci restano di cavarcela

Lo dicevano che il Covid avrebbe lasciato conseguenze a lungo termine sul nostro cervello. Si temeva un’anticipazione dell’insorgenza del morbo di Alzheimer o di un incremento del Parkinson, e invece, sorpresa, si tratta di una degenerazione cerebrale di altro genere, che possiamo chiamare STSR4, Sindrome da Talk-Show di Retequattro. È un mix di complottismo, negazionismo (della scienza ma anche dell’evidenza) e monomania passivo-aggressiva, sviluppato nei laboratori Mediaset, ma non estraneo a quelli della 7 e di Raitre, e diffuso attraverso i programmi televisivi al tempo dei battibecchi sui vaccini. Terminata la pandemia è sopravvissuto, anzi prosperato in gran parte dell’opinione pubblica, e oggi influenza, anzi, deforma, la comunicazione rispetto alla nuova emergenza, il cambiamento climatico. Gli stessi che sostenevano che il Covid fosse una semplice influenza gonfiata dolosamente dai poteri forti e i vaccini una cospirazione di Big Pharma e di Soros con il doppio scopo di riempirsi le tasche e sterminare la razza bianca, oggi applicano lo stesso schema di (ehm) pensiero all’aumento di fenomeni atmosferici estremi e all'altalena di calura e grandinate che caratterizza le ultime estati. Secondo i malati di STSR4, gli stessi supercattivi che volevano spazzare via i bianchi con Moderna e AstraZeneca e non ci sono riusciti (anzi),

Chissà se qualcheregista farà mai un film sul clone italiano della bambola più famosa del mondo

Era una Notte Rosa più rosa di quella celebrata a inizio mese quella che si è vista venerdì sera al multiplex delle Befane, dove si celebrava la prima di Barbie, attesissimo film di Greta Gerwig dedicato alla mini-pin up che ha allietato l’infanzia di milioni e milioni di bambine, me compresa. Non si contavano gli outfit a tema, in tutte le sfumature del rosa, naturalmente, sfoggiati non solo da ragazzine, ma anche da qualche signora più agée (per me è stata l’occasione di tirar fuori borsa e sandali “hot pink”, un abbinamento osabile solo per la première di un film su Barbie). Non so quante teenager abbiano potuto davvero sognare con Barbie: quando le mie figlie erano piccole la bambola Mattel era già un giocattolo di retroguardia, quasi della categoria che oggi si chiama “educational”: la smagliante indossatrice diciottenne delle origini (così l’aveva pensata nel 1959 la sua inventrice, Ruth Handler) in sessant’anni si è cimentata in qualunque professione, dalla veterinaria alla presidente Usa, dall’olimpionica all’astronauta; dal 2000 in poi è diventata anche inclusiva, declinata in tutte le etnie e le corporature, e ha perfino abbracciato la disabilità e la malattia. Oggi è una specie di ambasciatrice dell’empowerment femminile, dell’autostima e

L'infinta querelle sulle statue bronzee da mettere nella piazza che però si chiama Tre Martiri

C’è qualcosa che non capisco nella lunga querelle sulla statua bronzea di Giulio Cesare, quella regalata da Mussolini alla città nel 1933 e ora custodita al Museo, anziché nella sua posizione originaria, in piazza Tre Martiri. Se c’è un luogo dove non sta bene esporre un souvenir del duce è una piazza consacrata a tre vittime del nazifascismo, e siamo d’accordo. Ma allora perché esporvi una copia esatta di quello stesso souvenir? Evidentemente il Comune ritiene che le colpe degli originali non ricadano sulle copie. Anzi, sulle copie delle copie delle copie, poiché già il Cesare mussoliniano è una copia realizzata dalla fonderia napoletana Laganà, che a sua volta aveva copiato la copia di una statua di epoca traianea che era stata collocata nel 1932 a Roma nella nuovissima via dell’Impero, oggi via dei Fori Imperiali. Descritta così sembra un’installazione alla Andy Warhol, tipo il quadruplo ritratto di Marilyn o della zuppa Campbell. La cosa più buffa è che, fosse stato per Mussolini, il nostro Cesarone sarebbe finito a Ravenna, perché lì, secondo lui, era avvenuta la famosa allocuzione alle legioni prima del passaggio del Rubicone. Che Cesare avesse pronunciato il discorso a Rimini gli giungeva nuova. Anzi, il duce nemmeno sapeva

Certi uomini capiranno mai che una donna può metterci settimane o mesi per decidere se è il caso di denunciare o se è meglio cercare di dimenticare e di rimettere insieme alla meglio i cocci di se stessa?

C’è ancora molta gente (soprattutto uomini, bisogna dire) convinta che subire uno stupro sia più o meno come essere vittima di uno scippo o di un borseggio. Qualcuno ti ha strappato la borsa, o non ti ritrovi più in tasca il portafoglio o il cellulare, o la catenina al collo, e subito fai la cosa più naturale: corri dalla polizia a raccontare quel che ti è successo, anche perché senza denuncia non puoi rifare i documenti. Sei arrabbiato e sconvolto, ma non tanto da trascurare la prima precauzione, cioè bloccare carte di credito e bancomat. Quando si subisce un torto, niente e nessuno può trattenerci dal chiedere subito giustizia, no? E se lo facciamo per un portafoglio rubato, a maggior ragione dovremmo pretendere l’immediato intervento della legge per una forma di sopraffazione violenta. L’esitazione, l’indugio di una vittima di stupro nel denunciare vengono guardati con sospetto, come indizi sicuri di calcolo, di opportunismo, di malafede o addirittura di complotto. Sicuramente abbiamo a che fare con una scaltra profittatrice di piccola virtù, che prima se la spassa, poi, dopo attenta e ponderata riflessione, tenta di rovinare un pover’uomo, o peggio ancora, un povero ragazzo (specie se costui ha una posizione importante o

Il 30 per cento dei libri pubblicati in Italia non vende una copia

Noi scrittori già lo sospettavamo, ma vederlo scritto nero su bianco, con l’ufficiale inesorabilità dei numeri, in un autorevole studio di Nomisma, ci ha gettato nello sconforto: il 30 per cento dei libri pubblicati in Italia non vende una copia. Il 30 per cento. Nemmeno una copia. Foreste abbattute inutilmente per produrre, con dispendio di energia ed emissione di anidride carbonica, centinaia di migliaia di pagine che nessuno sfoglierà e che dopo poco finiranno al macero per venire riciclate, si spera, in articoli cartacei più utili: involucri da pizza, piatti e bicchieri da party, rotoli di carta da cucina, eccetera. Quel libro su tre può essere una chiavica o un capolavoro misconosciuto, poco importa: la pila di volumi resterà intonsa sul bancone della libreria. Ci sarà un altro quaranta per cento di titoli che riescono a vendere due o tre copie nei primi mesi dalla pubblicazione, spinti da qualche volenterosa segnalazione o dall’autopromozione dell’autore fra parenti, amici e conoscenti, tenue risultato rilevato dal primo rendiconto dell’editore; dal secondo rendiconto in poi la colonna delle copie vendute riporterà sempre uno sconsolante zero. Dopo un paio d’anni di invenduto o quasi, arriva la lettera fatale dalla casa editrice: caro signore, se vuole che continuiamo

La disputa scatenata da Zerocalcare non può lasciare indifferente la capitale del gelato

Il tempo della neutralità è finito, la questione è cruciale e Rimini deve prendere una posizione netta. Non stiamo parlando né della guerra in Ucraina, né della maternità surrogata, né del toto-commissario alla ricostruzione in Emilia-Romagna, nomina incagliata perché a Lega e a Fratelli d’Italia preme più raggranellare consensi che accelerare il risanamento delle zone alluvionate. No, per carità, parliamo di un tema concreto, comprensibile a tutti, che non ci costringe a improvvisarci esperti di geopolitica o di bioetica o di intrighi di palazzo con la quasi certezza di dire qualche fesseria: trattasi della disfida della panna, o meglio, del supplemento panna, gratuito o no a seconda delle gelaterie. Un conflitto inizialmente romano-milanese innescato dalla serie Netflix firmata Zerocalcare, Questo mondo non mi renderà cattivo, sequel di Strappare lungo i bordi. Nella poetica dell’artista di Rebibbia il gelato è una costante e “annamo a pijà er gelato” una specie di slogan. Ora, in un episodio di Questo mondo sulla lavagna del gelataio si legge chiaramente “La panna è gratis perché non siamo a Milano”: a Roma infatti l’aggiunta panna montata, per chi la vuole, è già compresa nel prezzo del cono o della coppetta. Tanto è bastato per far scattare come un sol

Come assomigliava poco a Berlusconi il suo funerale

Come assomigliava poco a Silvio Berlusconi il suo funerale. Così mesto, tetro, scuro, taciturno… funebre, insomma. La nota più lieta è stata l’omelia di monsignor Delpini, per dire. Si vedeva proprio che non l’aveva predisposto e organizzato in anticipo lui, ma che era stato allestito in fretta da congiunti e conoscenti meno brillanti, geniali e spudorati, e forse anche colti alla sprovvista da un evento inevitabile per ogni essere umano, specie se anziano e malato, ma che nel caso di Berlusconi sembrava potesse essere rimandato all’infinito da un pool di medici in grado di cavillare con il Tristo Mietitore così come i suoi avvocati erano riusciti a farlo con due generazioni di giudici. Sono state esequie di Stato adatte a un uomo politico, a un grande industriale, che hanno oscurato completamente ciò che rendeva veramente unico Sua Emittenza nell’establishment italiano: il temperamento da showman e il gusto per la battuta e per la barzelletta, anche se inopportuna o discutibile, nella ferma convinzione, tipica del venditore, che chi sorride vince sempre. Sorrideva, o almeno si sforzava, perfino nell’ultima, terribile foto, scattata meno di due giorni prima della morte: il risultato era straziante anche per chi lo aveva sempre detestato, eppure aveva una sua

Italo Bocchino ha sposato la chirurga estetica Giuseppina Ricci, che ogni due-tre settimane gli pratica iniezioni Prp

La sua partner glielo fa ogni due-tre settimane, e lui ne è molto soddisfatto. Non pensate male. Anzi, siccome il signore di cui parliamo si chiama Italo Bocchino, direttore del Secolo d’Italia saltiamo a pié pari i cattivi pensieri e sveliamo l’arcano: la prestazione che la signora esegue regolarmente sulla sua dolce metà consiste in punture tonificanti e anti-age per viso e cuoio capelluto. Niente di più normale, essendo il prezzemolino televisivo di Fratelli d’Italia ed ex tombeur de femmes fresco, anzi freschissimo sposo (le nozze sono state celebrate ieri) di Giuseppina Ricci, chirurga estetica che già da fidanzata ha preso in carico la manutenzione dell’aspetto del compagno. Lo ha serenamente rivelato lo stesso Bocchino in un’intervista al Corsera, ribaltando in un colpo solo due stereotipi: primo, sposare un chirurgo estetico finora era il segreto della giovinezza di signore celebri, da Daniela Santanché (il cognome è appunto quello del mago del bisturi che le aveva rifatto il naso, prima di diventare suo marito) a Veronica Maya passando per Nancy Brilli. Ma più donne fanno carriera nel ramo (e in genere sono le migliori testimonial delle loro abilità), più è facile che un uomo di potere alle soglie della mezza età e consapevole delle

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