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Grazie al supporto del capitano leghista Marine Le Pen riesce ad affondare quando il trionfo sembrava certo

Mi imbarazza un po' confessare che ieri sera, non appena Mentana ha comunicato la prima proiezione del voto francese, sono scattato in piedi con l'istintivo bisogno di esibirmi nel gesto dell'ombrello. L'ho accompagnato da un “tié” rivolto a squarciagola contro la fascistona d'Oltralpe e il suo incensatore leghista, il Salvini che, da rinomato iettatore qual è aveva passato settimane a recitare quella sua minacciosa irrisione – “ci rivedremo dopo il 7 luglio” – contro il forzitaliota Tajani che, indovinandone finalmente una, ripeteva “in Europa mai con Le Pen”. Sono poi seguite alcune gioiose telefonate fra noi “compagni di una vita” (è ancora consentito l'uso di questa parola?), con in più di una caso l'incipit stonato di «Allons enfant de la patrie, le jour de gloire est arrivé!» Grazie ad un ricordo balzatomi fuori improvviso dalla notte dei tempi, ieri sera ho poi anche colto l'occasione per riabilitarmi di una gaffe commessa in seconda elementare. Fu la volta in cui, stanco di dover sempre concludere, come voleva la maestra, i temi e i dettati col disegnino verde, bianco e rosso, affiancato da “Viva l'Italia”, decisi di sostituire il verde col blu, sembrandomi poi conseguente dover scrivere “Viva la Francia”. L'infamata che subii dall'insegnante

Il contributo di Nando Piccari al libro "Il Pic Nic resta”

Dopo il 22 settembre 2015 ho evitato per molto tempo di percorrere via Tempio Malatestiano, poiché sapevo che passando davanti a quell'edificio avrei dovuto guardare dall'altra parte per non farmi venire il groppo in gola. Poco più che adolescente, avevo mangiato la mia prima “pizza non al taglio” proprio al Pic Nic , dove nel 1967, l'anno della mia “partenza politica”, avrei poi inaugurato, insieme ad altri compagni della Federazione Giovanile Comunista, l'abitudine alla “seconda cena post-riunione”. All'epoca il locale non aveva ancora il ricco menù degli anni successivi, ma a noi andava più che bene alternare alla pizza una porzione di gustosissimi maccheroncini pasticciati o di mitici fagioli con le cotiche, che Maurizio e Berto ci facevano arrivare sempre sovrabbondante.   [caption id="attachment_473767" align="alignnone" width="1024"] Lo staff del ristorante[/caption] Di lì e fino al 2004, ben oltre la metà ai miei pranzi quotidiani li ho consumati al Pic Nic: sia quelli “stanziali” nei decenni in cui ho ricoperto ruoli politici e amministrativi a Rimini; sia quelli nel ritorno in città o a Montefiore (mia nuova residenza) venendo da Forlì e da Bologna,  dove avevo incarichi analoghi. Va a questo aggiunto un buon numero di pasti “tardo serali” dopo le sedute del Consiglio Comunale, il che

Da Sgarbi a Tonini i trombati in Europa e nei Comuni

La matematica, si sa, non è un'opinione. Ma se applicata alla politica, talvolta ci aiuta a farcela, un'opinione. Se non addirittura due, come in altrettanti casi derivanti dallo scrutinio delle elezioni appena concluse. Primo caso: sommando le percentuali ottenute dalla Meloni (Fd'I 28,81) e dai suoi due accoliti, Tajani (F.I. 9,61) e Salvini (Lega 9), si ottiene il 48,4%. Che certo non è poco, ma comunque inferiore di oltre quattro punti rispetto a quel cumulativo 52,5% che sono state in grado di portare a casa le sei liste composte da formazioni politiche che si oppongono al Governo: Partito Democratico, Alleanza Verdi e Sinistra, Pace Terra Dignità, tutti i giorni; Movimento 5 Stelle, a seconda degli umori dell'umbratile Conte; Azione, ma solo quando Calenda si dà il consenso davanti allo specchio; l'ardita miscellanea radical-qualcosa di Stati Uniti d'Europa, a patto che Renzi sia quel giorno a far affari in Arabia Saudita. L'opinione che ne consegue, almeno per me, è la seguente: si macchierebbe di bastardaggine, non solo politica, chi si sottraesse all'obbligo di mettercela tutta affinché, alle prossime elezioni politiche, quell'odierna maggioranza numerica si trasformi in un risultato che manda a casa Meloni e il suo clan. Secondo caso: Fratelli d'Italia passa dal 26%

Cosa succederà quando l'intelligenza artificiale avrà sconfitto quella umana

In questo inizio d'estate turistica si è molto parlato e scritto delle difficoltà a reperire personale disponibile “a fare la stagione”, come si diceva una volta. Fra quanti dibattono sulla causa di questo fenomeno si contano due scuole di pensiero. C'è chi nutre la stravagante convinzione che sia tutta colpa della perdurante nostalgia verso il soppresso reddito di cittadinanza, che avrebbe fatto ulteriormente diminuire la voglia di lavorare, soprattutto dei giovani. Altri invece se la prendono, a maggior ragione, con il troppo lavoro nero che contrassegna il turismo, con orari spesso sovrabbondanti e salari sottostimati. Ma due giorni fa è successa a Rimini una cosa che può far presagire il venir meno, di qui a qualche tempo, di questo fastidioso assillo che ogni anno, a metà primavera, si trova a dover affrontare l'imprenditoria turistica della nostra Riviera. Come si sarà capito, mi riferisco all'inaugurazione in pompa magna di quell'albergo che avrà zero dipendenti iscritti all'anagrafe con nome e cognome, poiché, come ha dichiarato il titolare «

La guerra del capogruppo di Fratelli d'Italia contro i minimarket di Rimini mare

Ha sicuramente fatto piacere a tanti la notizia che Rimini si appresta ad onorare la memoria di Marco Pantani, dedicandogli una statua all'interno del “Parco del Mare”, sul Lungomare della città in cui la sua vita ha avuto il tragico epilogo. Per il bene che gli Italiani hanno voluto a questo splendido e sfortunato ragazzo, c'è da augurarsi che quel prestigioso e meritato riconoscimento ponga finalmente termine al triste martirio a cui, proprio qui a Rimini, è stata a lungo sottoposta la memoria di Pantani, per effetto di comprensibili motivazioni affettive, supportate da strategie legali tese a negare l'inequivocabile evidenza con cui la Procura della Repubblica ha saputo ricostruire la tragica fine del grande campione. A proposito della Procura della Repubblica riminese, per sua fortuna Nordio, occupato com'è a fare da reggicoda alla Meloni e ai post-berlusconiani nel mettere il guinzaglio alla Magistratura, non ha letto le nostre cronache di questi ultimi giorni, altrimenti il solerte passaparola della Spinelli ci avrebbe già reso edotti di una sua solenne incazzatura. Il motivo è presto detto. Come si sa, commentando in TV le vicende giudiziarie di Toti “beneficiante e beneficiato”, il Ministro della Giustizia non le ha mandate a dire agli inquirenti genovesi,

Resistenza con la minuscola, senza comunisti e solo contro lo straniero, Chiara Bellini vicesindaco al maschile: passato e presente riscritti dal consigliere Fd'I di Rimini

Appena un attimo dopo la conclusione della manifestazione del 25 Aprile, Rufo Spina si era subito lasciato andare ad una pisciatina stizzosa contro la Vicesindaca di Rimini, rea di non aver riservato neppure una leccatina al Governo in tutta la sua orazione celebrativa, che avrebbe poi addirittura concluso a pugno chiuso. Non pago di quella sua ridondante performance, egli l'ha successivamente replicata in Consiglio Comunale, dove è tornato a chiedere al Sindaco di cacciare dalla Giunta Chiara Bellini, che lui continua a chiamare «il Vicesindaco» perché convinto, sull'esempio della Meloni, che una donna che detenga una qualche funzione di potere debba obbligatoriamente assumere un'impronta virile: se no che potere sarebbe? Udito l'arrogante arzigogolare dell'interpellante, il Sindaco gli ha risposto per le rime, diversamente da quanto avrebbe fatto se Rufo si fosse limitato ad esternare a cuore aperto le sue angustie, esprimendosi più o meno così: “La prego di tener conto del mio travaglio interiore, Signor Sindaco. Come temevo, il farmi vedere alla manifestazione del 25 aprile mi ha reso ancora più inviso a quelli che nel mio partito già mi consideravano un “fratellastro d'Italia”, avendo io politicamente scelto la destra non perché ispirato dal molto che resta della truculenza neofascista, ma in quanto

La “transumanza politica” è una delle tante malsane eredità lasciate da Berlusconi

La “transumanza politica” è una delle tante malsane eredità lasciate da Berlusconi, che dopo esserne stato l'iniziatore ne ha detenuto a lungo il monopolio, riuscendo così ad evitare, in più di un'occasione, che il suo Governo uscisse con le ossa rotte. Il caso più clamoroso e ben riuscito di quelle compravendite parlamentari fu quando si portò a casa Antonio Razzi e Domenico Scilipoti, che lasciarono “Italia dei Valori” di Di Pietro trovando più remunerativi i valori di “Forza Italia”. [caption id="attachment_463125" align="alignleft" width="1228"] Antonio Razzi[/caption] [caption id="attachment_463126" align="alignleft" width="990"] Domenico Scilipoti[/caption] Ma pare che oggi ci risiamo, poiché a seguire certe vicende di questa antivigilia elettorale si ha l'impressione che non pochi politici siano presi dalla voglia di imitare ciò che succede nel mondo del calcio, quando un giocatore, fatti i suoi conti, decide dall'oggi al domani di trasferirsi in un'altra squadra, fregandosene altamente se i tifosi che abbandona lo riempiranno di contumelie, tanto ci penseranno quelli nuovi a continuare ad osannarlo sugli spalti. Così come nel calcio chi intenda cambiare casacca cerca quasi sempre il miglioramento remunerativo che possa pervenirgli da una compagine messa meglio in classifica, allo stesso modo vi sono politici che aspirano a fare “il salto della quaglia” per mettersi sotto

I Fratelli d'Italia prima azzeccano un difficilissimo pronostico poi si stupiscono di chi pensa male

Il Sindaco Jamil e gli altri otto colleghi “perdenti” se ne facciano una ragione: nella gara per la designazione a Capitale italiana della Cultura, L'Aquila partiva col vantaggio dei pronostici. Perché è certamente vero che per aspirare a vincere qualunque tipo di competizione occorre saper dimostrare capacità, talento e intraprendenza, ma si dà il caso che qualche volta, per dirla in gergo popolaresco, non guasti pure un'aggiuntiva “questione di culo”. E allora chi avrebbe potuto farcela meglio de L'Aquila? Che al pari della regione abruzzese, platealmente coccolata dal Signor Presidente del Consiglio, è padroneggiata da un “fratellume d'Italia” che appunto ci tiene a mostrarsi “culo e camicia” col ministro alla simil-cultura Sangiuliano, per usare una celebre espressione sorta al tempo in cui non era ancora diffuso l'uso delle mutande, e la camicia («per lo più lunga insino al ginocchio», come la descriveva il Vocabolario della Crusca) era a diretto contatto con le parti intime. L'onorevole Guido Qurino Liris non aveva avuto alcuno scrupolo a farsi portavoce di quella metafora alla vigilia delle Elezioni Regionali dello scorso 10 marzo, quando se ne uscì con un indovinatissmo pronostico: «Abbiamo carte importanti da giocarci a Roma. Sentiamo la vicinanza di tanti parlamentari amici dell'Aquila e anche

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