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Il 13 giugno 1973 quattro ferrovieri persero la vita nello scontro frontale fra due convogli

Il 13 giugno, in occasione del cinquantenario, FILT CGIL e Camera del Lavoro di Rimini hanno ricordato l'immane tragedia con l’installazione di una targa lungo il Binario 1 della Stazione Ferroviaria di Rimini. Avendo io scritto i due articoli pubblicati da “L'Unità” in quelle tristi giornate, sono stato invitato a parlare insieme all'Assessore Juri Magrini, che ha portato l'adesione del Comune di Rimini, e al Segretario Regionale della FILT, Massimo Colognese. Come credo sia successo anche ad altri che l'hanno vissuta, il ricordo angoscioso di quella tragedia mi si è più volte riaffacciato, in occasione delle tante, troppe morti sul lavoro succedutesi negli anni. È mercoledì 13 giugno 1973 e sono già arrivato nell'ufficio in cui, come in ogni altra sede di Federazione del PCI, arriva nel primissimo pomeriggio “la fissa”. In gergo si chiama così la quotidiana telefonata dalla redazione nazionale de “L'Unità”, per ricevere il testo di un eventuale articolo e l'elenco dei film in programma, mediante dettatura vocale, essendo ancora al di là da venire non solo il computer, ma anche il fax. Il corrispondente de L'Unità, Enrico Gnassi, è in quei giorni fuori Rimini ed io lo sostituisco volentieri come ho già fatto altre volte, anche per accrescere così i

Nella caricatura del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e affossato da Matteo Renzi articoli di Giusva Fioravanti e a difesa dei brigatisti rossi

Nella caricatura del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e affossato da Matteo Renzi articoli di Giusva Fioravanti e a difesa dei brigatisti rossi

Se non lo avete avevate ancora fatto, eccovi l'occasione di ammirare il logo MiM, il nuovo gioiellino grafico partorito dal governo, per mano del suo ministero ridicolmente chiamato “dell'Istruzione e del Merito”. Io che non sono particolarmente sveglio, ci ho messo un po' a capire che quel coso nel mezzo fosse una I sovrapposta al sottomultiplo della fiamma tricolore di Fratelli d'Italia e non un gelato di etnia lollobrigida o, peggio ancora, un azzardato “cefalo fallico” di puro stampo sovranista. Non ho invece avuto dubbi – poiché la cosa è lapalissiana – a riconoscere che i rigonfiamenti da cui è intrappolata quella I, più che due M stilizzate, costituiscono in realtà il rimaneggio grafico del fascio littorio. Non è difficile capire che il nostalgico ricordo di quel simbolo alberghi ancor oggi, inconsciamente o meno, in tanti adepti del clan meloniano, alimentando una cultura “neofascista di fatto” a cui si accodano volentieri anche molti seguaci del caporione leghista, che in questi giorni ci sta dando l'ennesima conferma della sua pachidermica pacchianeria istituzionale e della sua rozzezza culturale. Come poter altrimenti giudicare l'incredibile insensibilità con cui ha equiparato il dramma delle alluvioni di questi giorni in mezza Italia con la sconfitta del suo Milan in quella

Dialogo ascoltato l'altro giorno, fra un turista che cercava di orientarsi ed un passante. “Scusi, lei è di Rimini?” “Sì, come posso aiutarla?” “Saprebbe dirmi come arrivare al Ponte sul Parecchia e in quale punto della città si trovi la Baia Imperiale, per andarci a ballare stasera?” “Ma intende qui a Rimini? Perché veramente il Parecchia non l'ho mai sentito nominare e quella discoteca sta a Gabicce

"A questo punto non so più cosa pensare di me, perché per la terza volta in vita mia mi trovo d'accordo con Sgarbi"

"A questo punto non so più cosa pensare di me, perché per la terza volta in vita mia mi trovo d'accordo con Sgarbi"

"Come se non bastassero le lezioni morali che gli tocca impartirci, a Montevecchi hanno pure chiesto di portare a Rimini “Fermiamo la Guerra”

"Come se non bastassero le lezioni morali che gli tocca impartirci, a Montevecchi hanno pure chiesto di portare a Rimini “Fermiamo la Guerra”

Oggi non lo ricorda quasi più nessuno, ma una volta il dialetto riminese usava sbrigativamente la parola “infezna” quale onnicomprensiva traduzione di quei fenomeni, diciamo contigui, che in psicologia e in psichiatria si chiamano inconscio, subconscio e preconscio. I quali, pur se accantonati nel limbo dell'inconsapevolezza, possono tuttavia all'improvviso balzar fuori, magari per un attimo soltanto, facendoci fare o dire cose che razionalmente non avremmo voluto, ma delle quali portiamo  inconsciamente “l'infezna” dentro di noi. É il caso della Signor Presidente Giorgia Meloni. Sono disposto a credere che non voglia più essere la neofascista delle origini, ma si vede bene come in determinate situazioni non possa evitare che a prendere inconsciamente il sopravvento sia quanto  le è rimasto di “neofascista dentro”. Si spiega così la squallida dichiarazione secondo cui alle Fosse Ardeatine sarebbero oggi sepolti «335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani». Per sottacere della ridicola pezza che ha poi tentato di fronte alle polemiche piovutele addosso: «Li ho definiti italiani, che vuol dire che gli antifascisti non sono italiani? Sono stata onnicomprensiva». Naturalmente non poteva non sapere che nell'elenco dei trucidati compaiano anche cittadini stranieri. Né, a proposito di onnicomprensività, che fossero italiani i tanti fascisti, “torturatori e massacratori di Italiani” al pari

Stimolato da taluni avvenimenti di questi giorni, mi viene oggi spontaneo trattare di “pubblici autogol”, che in alcuni casi nascono da mal riposto senso di generosità, in altri da rozza superficialità, in altri ancora da spocchia fatta passare per altruistico protagonismo. Volendo iniziare dal “veniale” autogol messo in scena dalla ventina di delegati che ha abbandonato il Congresso Cgil protestando contro la Meloni, a scanso di equivoci sento il bisogno di mettere le mani avanti: «Che articolo stupido! Penoso direi / Pessimo articoletto da bar. scritto al quinto bicchiere di Sangiovese! /  Ma vadeviaecül / Sgradevole e fazioso come sempre / Ma che articolo eh

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