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Oggi intorno ai denti si è sviluppata una attività industriale di dimensioni enormi e si sta trasformando la stessa figura del dentista, insidiata ormai da strutture che hanno superato i confini nazionali. Perciò mi ha fatto leggermente sorridere il seguente volantino pubblicitario apparso a Rimini nel 1761: “NOBILISSIMI SIGNORI “Ad istanza di buoni amici, ANTONIO FABBRI Diletante Dentista abitante in codesta sua città di Rimino fa noto alle Nobiltà Loro, non meno a chiunque altro per benefizio e vantaggio comune che, oltre il saper mettere denti bosticci al naturale, impiomba quelli che ne hanno di bisogno, gli pocho stabili o sieno crollanti stabilisce e ferma ed i calcinati o pozzulenti mirabilmente governa e ripulisce, anzi che recar dolore egreggiamente ricrea e consola. Per quelli poi non si trovassero in bocca denti di sorte alcuna, lavora mandipole intere con tal’ arte e politezza che, non solo non si distinguono da’ naturali, ma si puole volendo, oltre il benefizio di ben pronunziare le parole, anche masticare qualunque cibo al proprio individuo necessario e grato. Possiede parimenti una polvere, quale non è né minerale né nauseante, ma tratta da soli semplici, colla quale con tutta facilità si rendono bianchi e lucidi i denti, quantunque neri, e si

All’indomani del terremoto che colpì Rimini il 16 agosto 1916, dopo l’iniziale sbandamento si avviò con organicità lo sgombero delle strade ed il transennamento delle aree ove si temevano ulteriori crolli; al tempo stesso si riattivarono con tempestività i servizi essenziali; energia elettrica, telefono, poste e telegrafo, uffici pubblici, sportelli bancari, forno comunale e numerosi negozi, pur in condizioni precarie. Naturalmente sul piano economico, oltre ai danni elencati finora, va messa in conto la fine anticipata della stagione balneare, in quanto il terremoto terrorizzò i villeggianti che affollarono ben presto i treni in partenza. [caption id="attachment_11036" align="alignnone" width="1080"] Agosto 1916: tende in piazza Ferrari (Archivio Fotografico, Bibl. Gambalunga)[/caption] Ai primissimi ripari ottenuti grazie alle tende militari, fecero seguito gli aiuti materiali del Genio Civile, con cui si allestirono 882 baraccamenti di fortuna e 150 casette antisismiche. Vennero inoltre presi in affitto 730 vani per dare alloggio temporaneo ai 4.174 senza tetto. Nel mentre ferveva la ricostruzione, la stampa locale – oltre a darne conto – si interrogava anche sulle cause dei terremoti e sulle possibilità di averne qualche preavviso, oltre che sul perché dei gravi danni subiti dai fabbricati. E tentava di fare raffronti coi fenomeni sismici dei secoli precedenti, per scoprirne le analogie e

“La nostra città, che ha saputo fronteggiare la grave crisi prodotta dalla guerra, che con rassegnata coscienza ha sopportato il terremoto del 17 maggio e si preparava con lena gagliarda a rifarsi dalla jattura che dal 1914 la perseguita; e già la sua spiaggia si era ripopolata di bagnanti e un soffio di vita novella aleggiava ovunque, d’un tratto è stata pressoché sepolta dalle insidie di un nemico occulto, tremendo, implacabile”. Così il “Corriere Riminese” iniziava il suo triste resoconto del terremoto che ha colpito la città il 16 agosto 1916. Nel giorno precedente, ferragosto, effettivamente si era sentita una quindicina di scosse, non forti, interpretate come l’eco lontana di un sisma avente l’epicentro altrove. Invece: “La mattina di mercoledì 16, quando ferveva la vita più che mai del mercato settimanale, dopo le ore 9, un nuovo rombo più prolungato e cupo dei precedenti annunciò l’imminente pericolo. La popolazione fece per riversarsi dalle case e la scossa si manifestò violenta, implacabile, tenace. Si ebbe l’impressione che l’intera città fosse rovinata poiché il crollo di molte abitazioni e di cornicioni l’aveva avvolta in una nube di polvere; subito la gente si precipitò nelle strade, sulle piazze. Scene dolorosissime e pietose avvenivano specie dove poveri

Dopo i gravi terremoti del 1672, 1786 e 1875, a Rimini si era rafforzata la convinzione che la città fosse destinata a subire uno scisma all’incirca ogni cento anni. Ma nel 1916 arrivò purtroppo una triste smentita, doppiamente funesta perché si veniva sommando ai disastri della guerra mondiale in corso. È il pomeriggio del 17 maggio, come relaziona il Comando dei Pompieri cittadini: “Alle ore 13,50 minuti e 31 secondi una violenta scossa di terremoto in senso vibratorio e sussultorio destò l’allarme nella nostra città. La scossa, della durata di 15 secondi, fu avvertita in tutta la regione compresa fra le Marche e la Romagna, ma più fortemente fu sentita a Rimini, dove fu giudicata dell’8° grado della scala Mercalli, direzione da scirocco a maestro, con epicentro a circa 20 chilometri dalla costa adriatica”. Il “Corriere Riminese” riprese immediatamente la notizia: “La giornata era chiarissima e la temperatura normale; i cittadini per la maggior parte ancora trattenuti nelle case e negli uffici quando, alle 13,50 precise, accompagnata da un forte rombo quasi sibilante, si è intesa la violentissima scossa. Dapprima molti ebbero l’impressione della caduta di un proiettile, ma fu momentanea impressione poiché ben presto tutti compresero di che si trattava. Appena

“La Concordia”, unico periodico locale presente a Rimini in quel tempo, dedicò ovviamente il giusto spazio alla cronaca del terremoto avvenuto nella notte fra il 17 e il 18 marzo 1875: “D’un tratto la città fu tutta in piedi; lo spettacolo che offriva in quella notte era veramente qualcosa d’imponente. In mezzo al brulichio di tanta gente (la maggioranza era costituita dalle donne e dai fanciulli) non avresti sentito che ripetere queste frasi: Oh che paura! Si ripeterà la scossa? Per cura dell’autorità politica vennero fatti riaccendere tutti i fanali a gas sì della città che dei borghi, furono dati ordini precisi perché ognuno che abbisognasse di qualche soccorso potesse rivolgersi con sicurezza tanto ai carabinieri che alle guardie di Pubblica Sicurezza, non che ai soldati di linea qui stanziati. Vittime non si hanno per buona fortuna a deplorare; però alcune persone rimasero contuse pel dirroccamento di pareti o soffitti. Nel nostro ospedale in quella notte vi furono medicate sette persone per contusioni riportate in genere al capo, causa la caduta di calcinaccio dai muri rotti o abbattuti". [caption id="attachment_10184" align="alignnone" width="1310"] Testata del periodico “La Concordia” del 28 marzo 1875[/caption] Al salvataggio dei due figli di Francesco Casalini (già accennato in precedenza),

Un ultimo accenno al sisma del 1786, di cui s’è già parlato: fra le iniziative di carattere religioso seguite a quella triste vicenda, va ricordato che per iniziativa del Vescovo riminese, della Pubblica Amministrazione, del Clero e di tutto il Popolo, fu deciso di aggiungere un ennesimo co-protettore della città, a difesa dai pericoli del terremoto, nella figura del vescovo e martire San’Emidio, assai rinomato per i numerosi miracoli compiuti in simili tragiche circostanze. Sant'Emidio è infatti il Patrono di Ascoli Piceno, laddove, purtroppo, sappiamo bene anche dai recenti drammi quanto spesso la terra tremi. [caption id="attachment_9949" align="alignnone" width="570"] S.Emidio in un dipinto di Carlo Crivelli (Cattedrale di Ascoli Piceno, Cappella del Sacramento)[/caption] Nella chiesa del Suffragio, cappella di sinistra, si può ammirare un grande quadro del pittore riminese Giuseppe Soleri Brancaleoni (1750-1806) che raffigura Sant’Emidio nei pressi dell’arco d’Augusto, attorniato da persone terrorizzate e supplicanti, mentre all’intorno precipitano i massi. Il santo fa un gesto implorante verso l’Altissimo, che lo asseconda ordinando al cherubino di rinfoderare la spada e cessare il flagello. [caption id="attachment_9945" align="alignnone" width="556"] S. Emidio nel dipinto di Giuseppe Soleri Brancaleoni nella chiesa riminese del Suffragio[/caption] Nei decenni che seguono il 1786, i diari e le cronache locali segnalano un solo caso di

Un ultimo accenno al sisma del 1786, di cui s’è già parlato: fra le iniziative di carattere religioso seguite a quella triste vicenda, va ricordato che per iniziativa del Vescovo riminese, della Pubblica Amministrazione, del Clero e di tutto il Popolo, fu deciso di aggiungere un ennesimo co-protettore della città, a difesa dai pericoli del terremoto, nella figura del vescovo e martire San’Emidio, assai rinomato per i numerosi miracoli compiuti in simili tragiche circostanze. Sant'Emidio è infatti il Patrono di Ascoli Piceno, laddove, purtroppo, sappiamo bene anche dai recenti drammi quanto spesso la terra tremi. [caption id="attachment_9949" align="alignnone" width="570"] S.Emidio in un dipinto di Carlo Crivelli (Cattedrale di Ascoli Piceno, Cappella del Sacramento)[/caption] Nella chiesa del Suffragio, cappella di sinistra, si può ammirare un grande quadro del pittore riminese Giuseppe Soleri Brancaleoni (1750-1806) che raffigura Sant’Emidio nei pressi dell’arco d’Augusto, attorniato da persone terrorizzate e supplicanti, mentre all’intorno precipitano i massi. Il santo fa un gesto implorante verso l’Altissimo, che lo asseconda ordinando al cherubino di rinfoderare la spada e cessare il flagello. [caption id="attachment_9945" align="alignnone" width="556"] S. Emidio nel dipinto di Giuseppe Soleri Brancaleoni nella chiesa riminese del Suffragio[/caption] Nei decenni che seguono il 1786, i diari e le cronache locali segnalano un solo caso di

È la notte di Natale del 1786 – come si diceva la volta scorsa – quando giunge la scossa terribile. “All’improvviso traballare del suolo, al crollare delle fabbriche, allo strepito e al frastuono che ovunque si leva, si riscuotono le genti sepolte nel sonno e, cacciate dallo spavento, balzano dai letti e si riversano da ogni parte nelle piazze e in tutti i luoghi aperti. Fioccava lievemente la neve e andava coprendo il terreno. Soffiava gelato e impetuoso il vento di tramontana. Onde si può ben pensare quale fosse lo stato delle moltitudini che poco vestite e male in arnese esponeansi così al rigore della stagione. Nonostante lo sbalordimento e il terrore, si accesero in varie parti quantità di fuochi per cacciare le tenebre e insieme difendersi dal freddo". I Magistrati fecero costruire molte capanne di legno per ricoverare le povere famiglie rimaste senza casa abitabile. Ognuno cercò di sistemarsi come meglio poté. Don Matteo Astolfi, (autore della Narrazione illustrata la volta scorsa) confessò di avere passato alcune notti dentro un tino sistemato in mezzo all’orto, poi in un casotto di legno sulla piazza della cattedrale, quindi in un umido scantinato. La mortalità non fu grande: nove persone perite sotto le macerie delle

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