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Mario Masi era nato a Riccione il 7 dicembre 1939, ultimo di sei figli (quattro maschi e due femmine). Il padre Tomaso (1893-1975) originario di San Clemente era un contadino trasferitosi inizialmente a Coriano e poi a Riccione nel 1923 dove aprì una rivendita di vino. La madre, Teresa Berardi (1901-1981), originaria di Misano, trasformò la casa di abitazione all’Abissinia in una piccola pensione. Il fratello più grande, Gualtiero Masi (1922-2017), fu un protagonista politico degli anni del dopoguerra riccionese, Segretario del PCI cittadino dal 1956 al 1960. Anche Mario fece la sua parte, dagli anni ’60 sino alla morte, in vari settori: quello professionale come tecnico e amministratore dei pubblici servizi comunali; come dirigente sportivo; come leader politico. Verso la metà degli anni ’50 venne mandato a frequentare, in collegio, l’Istituto Tecnico Industriale Montani di Fermo, in provincia allora di Ascoli Piceno (prima di diventare autonoma nel 2004), assai noto per la ottima preparazione tecnica che forniva ai propri allievi in Meccanica, Elettrotecnica, Chimica, Radiotecnica. Uscì dall’Istituto nel 1959 con la qualifica di perito tecnico. [caption id="attachment_205306" align="aligncenter" width="2560"] 1966. Riccione. 2° Congresso del Comitato Comunale. Alla tribuna Tiziano Solfrini,

Pietroneno Capitani: "Le ultime ore di Civitella. Con il brigante Piccioni alla ricerca dell’amore" - Primiceri Editore. “Nessuno decide di nascere dove in effetti nasce, l’importante è ricordarselo sempre, si è figli della propria terra, a questa si appartiene e ognuno di noi porta con sé un po’ della sua storia” (dalla introduzione di Piétrë dë Vëjëlì “Bussavamo con i piedi” edito da Capitani nel 2006). Senza questa premessa non è possibile capire Pietroneno Capitani, nato a Montedinove in provincia di Ascoli Piceno il 4 maggio 1956 (oggi dunque è il suo compleanno: auguri!), e trasferitosi con tutta la sua famiglia contadina nel Riminese nel 1958 (lui aveva si e no due anni). Pietroneno era l’ultimo di otto fratelli, tutti maschi. Questo legame con la sua terra di origine è rimasto fortissimo nel corso dei decenni, tanto è vero che l’ambientazione di questo romanzo, così come di quello precedente (“Il Melograno” edito da Primiceri nel 2017), sono le ultime colline dell’ascolano al confine con l’Abruzzo. Racconta, in maniera romanzata, le vicende della caduta dell’ultimo bastione borbonico, la fortezza di Civitella del Tronto, assediata dai piemontesi dalla fine di ottobre del 1860 (cadrà il 20 marzo 1861, cioè un anno esatto dopo la

Maurizio Casadei – Giorgio Pedrocco: "Una repubblica di sfollati, di profughi e di rifugiati … San Marino 1939-1945" - SUMS. Il titolo di questa nuova pubblicazione edita a cura del SUMS (Società Unione Mutuo Soccorso Repubblica di San Marino) sintetizza solo in parte quello che fu San Marino negli anni di guerra in Europa. Certamente la Repubblica fu per decine di migliaia di italiani un’isola in cui trovare rifugio mentre bombardamenti, scontri fra gli eserciti Alleati e quello tedesco sulla Linea Gotica, avvenivano sul territorio italiano. Ma contemporaneamente essa combatté, con le armi della diplomazia, per salvaguardare la sua autonomia statuale, per cambiare la sua classe dirigente accantonando quella collusa con il regime fascista italiano, per disegnare il proprio futuro a guerra finita. “L’Amministrazione si mantenne in continuo contatto, soprattutto grazie all’attività diplomatica di Ezio Balducci, sia con le autorità fasciste della R.S.I. a Salò sia con l’ambasciatore tedesco in Italia Rudolph Von Rahan sia con Prefetti e Commissari prefettizi romagnoli, da un lato per cercare di contenere le mire della Wehrmacht di usare il Titano come un baluardo militarizzato da contrapporre alla crescente pressione degli eserciti alleati, e da un altro lato per ottenere adeguate risorse alimentari ed energetiche per far fronte

Per la prima volta dal 1946 Rimini, e l’Italia, non vedrà una festosa folla festeggiare l’anniversario della Liberazione il 25 aprile. Il maledetto coronavirus è riuscito ad aggiungere ai tanti suoi tristi primati anche questo. La guerra in Italia finì in realtà il 29 aprile, quando venne firmata la resa di Caserta, ovvero l’atto che attestò la fine della Campagna d’Italia dei tedeschi e la resa incondizionata dei soldati della Repubblica Sociale Italiana. Perché allora festeggiamo il 25 aprile? Cosa successe quel giorno del 1945? Il Comitato di Liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI) il 25 aprile 1945 proclamò l’insurrezione generale. I soldati tedeschi e i fascisti in quel giorno abbandonarono Torino e Milano. I partigiani occuparono le città lungo la Via Emilia cacciando gli ultimi invasori. La sera del 25 aprile Mussolini abbandonò Milano, travestito da soldato tedesco, ma fu catturato due giorni dopo a Dongo, sul lago di Como, dove fu fucilato il 28 aprile. [caption id="attachment_202619" align="alignleft" width="2560"] 25 aprile 1947. Ingresso del corteo in piazza Cavour[/caption] L’anno seguente, il 22 aprile 1946, il governo italiano su proposta del Presidente del Consiglio democristiano Alcide De Gasperi preparò un decreto, controfirmato dal Ministro socialista del lavoro Gaetano Barbareschi e dal Guardasigilli comunista Palmiro Togliatti,

Lidiana Fabbri: "Tra lòm e scur" - Panozzo. Sono passati ormai oltre quindici anni dal mio primo incontro con Lidiana. Tredici da quando l’aiutai ad editare la sua prima raccolta, “S’un fil ad vènt” (Comune di Coriano, 2007), e nella mia postfazione terminavo augurandomi che Lidiana continuasse “a ‘cantare’ e a regalarci nuove emozioni”. L’ha fatto l’ultima volta con “Mulìghi” [Briciole] (Il Ponte Vecchio, 2016), la sua quarta pubblicazione. Dove si comprendeva che si stava avviando verso una piena maturità artistica, tanto che in questo suo quinto libro sembra raggiungere un nuovo traguardo importante del suo personale percorso poetico. In questi anni Lidiana ha fatto molta strada per riuscire a raccontarci la sua visione del mondo che, partita dai ricordi degli anziani di Cerasolo, suo borgo natio, l’ha poi portata ad affrontare temi “caldi”, come la consapevolezza femminile, la condanna di ogni violenza, la speranza per il futuro dei giovani. In questa nuova opera Lidiana compie un ulteriore passo: chiede di impegnarci a leggere i suoi testi in dialetto, privi della traduzione in italiano. Le strofe – dice – mi nascono “direttamente in dialetto, non ho mai scritto in italiano e tradotto poi in dialetto”. “Il libro è nudo, oserei dire, ma anche

"La ricostruzione del Teatro Amintore Galli raccontata dai protagonisti". A cura di Massimo Totti - Panozzo. Il 28 ottobre 2018 il Teatro Galli, dopo 75 anni dalla sua chiusura, riapriva le porte al pubblico con la grande musica di Cecilia Bartoli. Una serata straordinaria, indimenticabile, non solo per chi era dentro ad assistere alla esecuzione, ma per tutta la Città. Questo è il terzo grande libro che viene dedicato alla rinascita del Teatro Galli, dopo quelli di Francesco Amendolagine – Livio Petriccione “Il Teatro Galli. Tecniche e materiali per la ricostruzione degli apparati decorativi del capolavoro di Luigi Poletti” (Maggioli, 2018); “Il Teatro oltre la memoria. Rimini e il Galli ritrovato”, a cura di Annarosa Vannoni e Giulia Vannoni (Edizioni APM, 2019). “Questo libro - scrive il Sindaco Andrea Gnassi – racconta l’odissea pluridecennale della rinascita del Galli dal punto di vista di alcuni protagonisti diretti. Non vuole essere, quindi, un documento prettamente “tecnico”, ma una sorta di diario in cui le considerazioni e le emozioni dei singoli si miscelano all’andamento del cantiere, alle scelte che si pongono innanzi, ai dati e alle problematiche tipicamente settoriali. Una sorta di puzzle, dunque, un collage di esperienze e interventi, una storia (non dunque la Storia)

Per tutti Ennio. Era nato a Riccione Abissinia: “qui mia nonna aveva la trattoria ‘Al pesce d’oro’ e qui i miei genitori gestivano un salone come barbiere e parrucchiera” (le citazioni sono tratte dalla lunga intervista di Fabio Glauco Galli a Tommaso Enio Dellarosa per il libro “La città invisibile” (Fulmino, 2008). Nel 1938 iniziò a frequentare il regio istituto tecnico inferiore “Camillo Manfroni”: “il sabato mattina era obbligatorio presentarsi a scuola in divisa (…) Io non avevo la divisa, perché mio padre era antifascista e non voleva comprarmela, dunque ogni sabato restavo a casa, finché non fu la casa del fascio a regalarmela per i miei meriti sportivi”. [caption id="attachment_200813" align="alignleft" width="850"] 1953. Riccione. Da sinistra, Biagio Cenni, Dante Tosi, Nicola Casali, Tommaso Enio Dellarosa (foto tratta da La Fameja Arciunesa del 2/2014)[/caption] Nel maggio 1940 tutti gli studenti furono obbligati a marciare per Riccione al grido di viva la guerra: “Se qualcuno si fosse azzardato a dire qualcosa in contrario, poi sarebbe stato segnalato, l’avrebbero convocato e preso a legnate. Io, invece, quattro schiaffoni li presi da mio padre al mio ritorno a casa”. “Chi ci aveva provato, poi l’avevano messo in galera. Come Galli Aronne, il figlio di quelli

Gregorio Sorgonà: "Ezio Balducci e il fascismo sammarinese (1922-1944)" - Centro Sammarinese di Studi Storici. Uscito ormai da un po’ di tempo (ma noi nelle segnalazioni librarie che facciamo non ci riteniamo legati alle sole ultime uscite) questo 38° volume della collana sammarinese di studi storici edito dalla Università degli Studi della Repubblica di San Marino è un volume importante. Per più motivi. L’autore, Gregorio Sorgonà, è un giovane ricercatore storico di Reggio Calabria, classe 1980, chiamato a sistemare le carte di Ezio Balducci, uno dei protagonisti del ventennio fascista in Repubblica, donate dal figlio Alessandro all’Archivio di Stato sammarinese. Il libro si avvale di questo materiale inedito. Inoltre l’autore cerca di collocare questa storia sul fascismo sammarinese all’interno degli studi che ormai da qualche anno trattano dei fascismi in periferia e della natura tendenzialmente “poliarchica” del fascismo, ovvero, semplificando, del comando di molti (i ras locali, il GUF, il sindacato, i corpi militari, ecc.). “Solo affermando una autonomia del partito rispetto a una catena di comando in cui gli elementi del binomio di potere sono costituiti dal duce e dai prefetti e, quindi, solo specificando ulteriormente la particolarità del fenomeno fascista, la storia delle sue articolazioni periferiche acquisisce respiro e interesse perché

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