Home___primopianoAve Cesare, caciaroni ariminensis te salutant

Per qualcuno la storia continua a fermarsi al 1933


Ave Cesare, caciaroni ariminensis te salutant


23 Luglio 2023 / Redazione

Alè, ci risiamo, son tornati i cesarofili cronici, che si sperava avessero riposto il gladio e “fatto basta” con i periodici tormentoni del passato.

Come si ricorderà, la congrega che dette inizio alla manfrina “rivogliamo Cesare” era composta da “intelettualoni riminesoni”, disposti perfino a intrufolarsi nottetempo nell’omonima caserma per rapire l’ambita statua, salvo poi dividersi su dove parcheggiarla.

C’era infatti chi pensava all’Arco, per un simpatico ritorno parentale di Cesare con il figlio adottivo Augusto. Ad altri sarebbe pure andata bene la vicinanza al ponte di Tiberio e c’era perfino qualche minimalista, guardato dagli altri di traverso, disposto ad accontentarsi di “dove viene viene, basta che sia in centro”.

Ma la stragrande maggioranza non ammetteva repliche: il Cesare mussoliniano andava rimesso nella piazza dov’era stato collocato quel giorno del 1933. Salvo poi dividersi pure loro in tre scuole di pensiero impegnate a fronteggiarsi: chi lo voleva “dov’era e com’era”, davanti o vicino al monumento dei Tre Martiri; chi al centro della piazza, perché lo si potesse così ammirare a 360 gradi; chi di fianco alla colonna dove la leggenda vuole che il condottiero abbia pronunciato quel “alea iacta est”.

E qui finisce il primo tempo.
Il secondo inizia con l’evidente ridimensionamento di velleità dei cesarofili di seconda generazione, in prevalenza “commercianti del centro”, disposti a giurare di esser certi che ogni estate una moltitudine di turisti interrompesse repentinamente la vacanza, una volta scoperto che Rimini era priva di quel monumento a Giulio Cesare. E visto che i militari continuavano a tenersi stretta una delle otto o dieci croste della statua originale, tanto valeva fabbricare un’altra con cui impreziosire Piazza Tre Martiri.

Presa dallo sfinimento e sperando di porre così termine alla caciara, alla fine la Giunta acconsentì all’intrusione dell’ulteriore crosta “in un cantone” di Piazza Tre Martiri, dove da allora orde di turisti si prendono quotidianamente a spintonate e a male parole, nella corsa a chi riesca prima di un altro a farsi un selfie con Giulio Cesare.

Ma ora si rende purtroppo inevitabile un terzo tempo, poiché lo sfratto del Cesare inquilino della caserma fa sì che Rimini stia per diventare la città dei Giulii Cesari, con tutto il rinnovato baccano politico-mediatico che ne consegue.
Si leggono in queste ore le patetiche e irritanti panzane di chi vorrebbe contrabbandare per rispetto della storia il ritorno di “Cesare1” in Piazza tre Martiri, sbolognandovi “Cesare 2” .

A me pare perfino banale la motivazione per cui, nel pieno rispetto della storia, si debba negarne il ritorno in Piazza Tre Martiri. Perché se indubbiamente “è storia” l’evento che lì l’ha condotta, non sono forse analogamente storia i successivi accadimenti post-bellici che di lì l’hanno fatta sloggiare?
O la storia di quella piazza si ferma al 1933, al giorno in cui il Giulio Cesare ci fu regalato dal suo buffonesco imitatore a Piazza Venezia?

Allora, cari cesarofili, siate coerenti e abbiate la spudoratezza di dire, alto e forte, quanto non avete il coraggio di esternare, vale a dire che si torni a chiamarla Piazza Giulio Cesare e non più Piazza Tre Martiri.

Uno dei principali sponsor riminesi di tale mistificazione è naturalmente il “missino da sempre” Gioenzo Renzi che, passando davanti alla statua, potrà fare un saluto romano almeno “mentale”, corredato di “Eia, Eia, Alalà” .
Lo segue a ruota quel tal Davide Frisoni, dimenticato consigliere comunale che coglie ogni occasione per accreditarsi come intellettuale.

Ma a primeggiare nel ruolo di mestatore è anche in questo caso Sgarbi.
Titolava alcuni giorni fa il Carlino che Sgarbi non ha dubbi: «Giulio Cesare ritorni nella sua piazza». E nel sottotitolo il sottosegretario alle vacuità culturali sbruffoneggiava minaccioso: «Seguirò personalmente la vicenda e inviterò la soprintendente a ricollocare la statua lì dove si trovava prima della guerra. La politica non c’entra, questa è storia».
É sperabile che all’incontro con la soprintendente Sgarbi non si faccia accompagnare dal suo lucida-scarpe Morgan, altrimenti i due, oltre che la valenza storica di Giulio Cesare, ne magnificheranno pure la condizione prostatica.

Nando Piccari