Home___primopianoBenedetto il telefonino di quel frate: la più straordinaria scoperta degli ultii anni nel riminese

Il libro "Luce sul Trecento. Gli affreschi ritrovati di Villa Verucchio. Dalla provvidenziale scoperta alla valorizzazione" a cura di Giovanni Carlo Federico Villa


Benedetto il telefonino di quel frate: la più straordinaria scoperta degli ultii anni nel riminese


17 Giugno 2024 / Paolo Zaghini

“Luce sul Trecento. Gli affreschi ritrovati di Villa Verucchio. Dalla provvidenziale scoperta alla valorizzazione”
A cura di Giovanni Carlo Federico Villa
Vallecchi

“Certamente benedetto il cellulare che padre Federico, nel settembre 2021, calò dietro un dossale dell’elaborato coro ligneo dei frati, per ispezionare i problemi di un cavo elettrico e cercare una presa. Il breve video ottenuto non solo svelò i problemi di corrente, ma mostrò una nicchia da secoli dimenticata. E nella nicchia apparve il volto del “Vir Dolorum”, una “Imago Pietatis” ancora leggibilissima, e potentemente emotiva. Così principiava, nel convento francescano di Santa Croce di Villa Verucchio, un’avventura di ricerca, di emozioni, d’arte, di storia” (dall’intervento “In aura francescana” di Giovanni Carlo Federico Villa).

Il libro dà conto del lavoro svolto in questi quasi tre anni da quella prima scoperta da parte della Soprintendenza alle Belle arti di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini in collaborazione con l’Ordine francescano, il Comune di Verucchio, il Rotary Club di Rimini e la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini.

E ci sono i primi appunti degli studiosi su questa straordinaria scoperta attribuita a Pietro da Rimini e alla sua bottega, il più importante pittore della Scuola riminese del Trecento. Così Alessandro Giovanardi (“Il santuario francescano di Pietro”), Alessandro Volpe (“Il nuovo ciclo di pitture francescane”), Mauro Minardi (“Frammenti per nuove conoscenze su Pietro da Rimini e la sua bottega”), Daniele Benati (“Un emozionante capolavoro di Pietro da Rimini”), Fabio Massacesi (“Nuovi affreschi di Pietro da Rimini: lineamenti per future ricerche sullo spazio liturgico della chiesa di Santa Croce a Villa Verucchio”), Alessandro Marchi (“Trecento ‘riminese’ a Verucchio”), Giovanni Rimondini (“Le vicende e la documentazione di un grande patrimonio pittorico medievale in tre chiese di Verucchio e Villa Verucchio”).

Scrive Mauro Ioli, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini: “Il Convento di Santa Croce è considerato il più antico edificio francescano della Romagna e la sua costruzione viene fatta risalire ai primi decenni del XIII secolo: nel secolo successivo i Maestri e le botteghe di Rimini, anche per impulso delle committenze francescane romagnole, bolognesi e marchigiane, seppero guardare con lungimiranza alle innovazioni moderne ispirate da Giotto, senza però rinunciare al legame che avevano con le antichità ravennati e con l’ultima splendida stagione bizantina. Proprio sotto la protezione degli ordini mendicanti si è sviluppata la pittura riminese del Trecento, in cui emerge la capacità di raccontare con moderno piglio narrativo i misteri dolorosi e gloriosi di Cristo e le storie dei Santi”. E Ioli rivendica il lavoro svolto negli ultimi trent’anni per acquisire e valorizzare opere del Trecento riminese: quelle di proprietà della Fondazione sono in deposito temporaneo ed esposte al Museo della Città.

Invece frate Bruno Miele, padre guardiano del convento di Santa Croce di Villa Verucchio, nel suo intervento sottolinea il legame che unisce la popolazione di Villa Verucchio al convento francescano. Un luogo incantato: “Quando varchi il rude portone e ti immetti nel chiostro e ti trovi faccia a faccia con il cipresso di San Francesco, subito ti avvolge un messaggio di pace, di serenità, di armonia e di bellezza”.

Come avvenne nel 1916 a Rimini quando le violente scosse di terremoto fecero riscoprire nell’abside e nel sottotetto della chiesa di Sant’Agostino il ciclo pittorico trecentesco, così “la riscoperta degli affreschi di Villa Verucchio ha innescato il medesimo fenomeno di virtuosa collaborazione. Soprintendenza, comunità religiosa, soggetti privati e comune hanno cooperato per individuare il piano di azione programmata capace di riportare in luce gli affreschi consentendo l’accurato smontaggio del prezioso coro ligneo seicentesco che li nascondeva alla vista e le prime operazioni di messa in sicurezza delle porzioni di intonaco dipinto via via riscoperte” (dall’intervento “L’archeologia della scoperta” di Federica Gonzano e Luisa Tori della Soprintendenza di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini).

E la Sindaca Stefania Sabba: “Pietro da Rimini, Giovanni da Rimini, la scuola del Trecento, Giotto, Cimabue … è stato ed è affascinante il solo ascoltare gli esperti al lavoro per regalare questo scrigno delle meraviglie alla visione popolare. Così come è entusiasmante osservare gli occhi delle decine e decine di persone che partecipano alle visite guidate”.

Scrive Alessandro Volpe: “Il patrimonio storico artistico trecentesco giunto fino a noi è estremamente ridotto (…). Un’opera come quella rinvenuta a Villa Verucchio non solo arricchisce un patrimonio ridotto (…) è in assoluto un rinvenimento inestimabile sul piano culturale e artistico. Una più completa ricostruzione mentale della decorazione dell’abside della chiesa francescana romagnola dovrà attendere il restauro e l’auspicato rinvenimento di altri affascinanti frammenti pittorici; ogni lacerto sarà utile e significativo per chiarirne il contenuto iconografico, gli anni del suo compimento, e forse l’attribuzione. Finora si possono avanzare commenti che dovranno essere in seguito precisati e corretti”.

Questo volume, che contiene anche la riproduzione dei magnifici affreschi finora recuperati, vuole dunque solo testimoniare del working in progress in corso nella Chiesa di Villa Verucchio. Gli studiosi si attendono ancora importanti scoperte ed il lavoro di ricerca storica, di interpretazione del ciclo pittorico, di approfondimento della conoscenza degli artisti della scuola pittorica del Trecento riminese e del loro operato a Villa Verucchio è solo all’inizio.

Paolo Zaghini