Biagio Pedrizzi segretario della Camera del Lavoro e vicesindaco socialista tra 1920-1922
28 Settembre 2023 / Redazione
Si è concluso il ciclo di incontri promosso dalla CGIL di Rimini in occasione del 120° anniversario della costituzione della Camera del Lavoro. Dopo gli approfondimenti su Anna Pizzagalli fatta da Gianluca Calbucci, su capitan Giulietti e il suo rapporto con Di Vittorio fatta da Calbucci e da Andrea Montemaggi, l’ultimo appuntamento è stato dedicato a Biagio Pedrizzi, un esponente socialista di primo piano nella Rimini del primo dopoguerra, il quale rivestì la carica di segretario della Camera del Lavoro e di assessore anziano – in sostanza vicesindaco – nella prima amministrazione socialista riminese tra il 1920 e il 1922. Su di lui ha relazionato ancora una volta Montemaggi. Nel corso delle indagini si è avuta la piacevole scoperta dell’incontro con la nipote Tiziana Pedrizzi, la quale conserva fotografie e alcuni ricordi del nonno, nonché lettere con D’Annunzio.
Pubblichiamo una sintesi dell’intervento di Andrea Montemaggi su Biagio Pedrizzi (1881-1960), “Antifascismo, Resistenza e Lavoro dal Biennio rosso al 1945”, fatto il 21 settembre 2023 presso il cortile della Biblioteca Gambalunga.
Biagio Pedrizzi, nato nel 1881, nel 1904 fu assunto come manovratore del freno nelle Ferrovie ma subito si distinse per la sua irrequietezza e la sua propaganda “sovversiva” tanto da subire ripetute punizioni fino al licenziamento nel 1911. Assunto come magazziniere e direttore della cooperativa ferrovieri riminese, è in questo anno che si può far fondatamente risalire il suo ingresso nella Camera del Lavoro di Rimini, divenendo in breve membro della Commissione direttiva dell’ente.
Non è stato possibile stabilire il momento preciso ma pare che in questo periodo Pedrizzi entrò in contatto con Giuseppe Giulietti, divenendone il fiduciario in loco e promuovendo, per contro della FILM, Federazione Italiana dei Lavoratori del Mare, lotte dei marittimi contro gli armatori, talmente dure che vi fu addirittura un morto, come appare in un processo del 1915 a cui Pedrizzi prese parte come testimone.
Nel 1914 fu tra i maggiori sostenitori delle agitazioni denominate “Settimana Rossa” e risulta dai giornali dell’epoca e fu anche colui che si prese l’onere di dover annunciare la fine delle proteste, assumendo quindi un ruolo sempre più rilevante nel mondo del lavoro.
Convinto pacifista, protestò nell’aprile maggio 1915 contro l’ingresso dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale ma fu poi arruolato nell’esercito e trattato con estrema diffidenza. Come raccontò egli stesso in seguito sul periodico socialista “Germinal”, il trattamento fu brutale: dapprima imprigionato a Ravenna, poi inviato a Piacenza al lavoro come operaio in fabbriche militari, a causa della sua tendenza a svolgere propaganda per un miglioramento delle condizioni di lavoro; fu inviato in un reparto di lanciafiamme “in primissima linea” come egli definì il suo ruolo.
Fu dal 1919 che le sue capacità di organizzatore si manifestarono in modo eclatante ed ebbero anche ripercussioni politiche importanti. Divenuto segretario della Camera del Lavoro, la sua azione fu infatti intensa, instancabile e continua, assidua in tanti campi, percorrendo il territorio incessantemente per guadagnare lavoratori alla causa del socialismo. I periodici riportano infatti i suoi frequenti incontri o comizi, in particolare nelle campagne dove riuscì a creare una massa di organizzati, sia braccianti sia mezzadri, in opposizione alla leghe bianche di ispirazione cattolica. In questo momento infatti iniziarono nei suoi confronti gli attacchi, a volte anche con ironia e sarcasmo, del periodico cattolico “L’Ausa”.
Nondimeno Pedrizzi continuò l’attività per sostenere i marittimi nelle rivendicazioni verso gli armatori e nello stesso tempo criticò duramente l’amministrazione comunale in carica, dapprima guidata da liberali moderati e poi da un commissario prefettizio, per l’inefficace azione nel contrastare il carovita, vera piaga per le classi più povere.
Ritenendo che l’attività compiuta dal partito socialista dovesse essere ben nota senza dove dipendere dalle critiche della stampa avversa, Pedrizzi promosse la pubblicazione, dapprima come numero unico e poi come settimanale, di “Germinal” di cui fu subito direttore. Occorre riconoscere che questa intuizione della Federazione Collegiale Socialista di Rimini è per gli storici molto importante perché consente di ricostruire minutamente la vita politica del tempo senza dover ricorrere a giornali di una sola parte.
L’azione di Pedrizzi ebbe ancora più forza e successo nel 1920 quando da una parte fu il centro di numerose iniziative, spesso con Mario Macina e Adolfo Porcellini, a favore dei lavoratori e dall’altra fu propulsore per la lotta nelle imminenti elezioni amministrative. I periodici, e in primis “Germinal” – di cui abbandonò la direzione per un maggior impegno politico – riportano infatti che Pedrizzi si occupò della questione degli alloggi insufficienti e della lotta contro la disoccupazione.
Fu però nel campo delle lotte per i nuovi patti colonici, stabilendo un utile sodalizio con Primo Paci, che si ottennero i maggiori successi sindacali quando, dopo una dura agitazione, strappò un accordo molto vantaggioso che fu ritenuto il migliore in Italia per i contadini. Tuttavia fu proprio questa vittoria la causa di una sorda e continua ostilità degli agrari che, quando confluirono nel partito fascista, ritennero Pedrizzi e Paci i loro peggiori nemici.
La clamorosa e travolgente vittoria socialista nelle elezioni amministrative dell’ottobre 1920, che portarono il partito ad avere 32 consiglieri su 40, fu certamente in parte dovuta all’azione di Pedrizzi: sebbene riportasse un numero di preferenze non elevato, tuttavia al momento dell’elezione della Giunta i consiglieri gli dettero il maggior numero di voti dopo il sindaco Arturo Clari, risultando quindi Pedrizzi l’ “assessore anziano”: con ciò di fatto il gruppo consiliare riconobbe il suo merito per il successo.
Questa notorietà, unita a un carattere non facile, spesso polemico verso gli avversari politici, gli procurò molti nemici nelle opposizioni, soprattutto repubblicana che non aveva conseguito alcun rappresentante in Consiglio. Anche i cattolici non risparmiarono accuse, spesso accodandosi a quelle repubblicane. Il silenzio da parte fascista attesta l’irrilevanza del movimento mussoliniano nella nostra città alla fine del 1920.
Tuttavia nel 1921 “La riscossa”, giornale repubblicano, pur opponendosi alla giunta, riconobbe una maggiore attenzione verso alcuni problemi della città e in particolare una certa bontà per l’opera dell’assessorato del Lavoro, retto appunto da Pedrizzi.
In sostanza, come già riportato più ampiamente in un recente articolo su “Ariminum” di Andrea Montemaggi (6 luglio 1922: “la presa di Rimini”, agosto settembre ottobre 1922) “l’amministrazione Clari si era distinta per un diffuso attivismo per risolvere alcuni problemi endemici della città”: e ciò ovviamente non poteva che dispiacere agli oppositori i quali non mancavano di sottolineare che i lavori erano finanziati con maggiori debiti, mal tollerati dalle maggiori banche in mano agli oppositori stessi.
Alla fine della primavera e all’inizio dell’estate 1922 Mussolini intraprese una dura campagna, con caratteristiche militari, contro i comuni socialisti. A Rimini però la debolezza politica del fascismo dovette essere surrogata dall’azione degli emiliani come Balbo e, in particolare, Arpinati, esponenti legati agli agrari e a cui i proprietari terrieri locali si rivolsero. La brutalità delle aggressioni, gli omicidi ingiustificati, le continue violenze invelenirono la vita politica cittadina. Come testimoniato da Tiziana Pedrizzi, la casa del nonno nella cosiddetta “piazzetta delle poveracce” era meta continua di facinorosi fascisti i quali a tutte le ore del giorno, con schiamazzi, insulti e minacce, nell’assoluta impunità e spesso con la connivenza delle forze dell’ordine, resero talmente difficile la vita della famiglia che la figlia Vania, terrorizzata da questi squadristi, ebbe compromessa la propria salute mentale.
Quando poi Paci, su probabile istigazione degli agrari, fu aggredito e malmenato mentre andava a discutere dei nuovi patti colonici, il prefetto di Forlì, intervenendo inutilmente per sedare gli animi, riconobbe la responsabilità degli agrari stessi per le dimissioni della giunta Clari, com’è noto indotte dalle continue minacce e violenze. Ciò provocò il fondato timore che il prossimo della lista dei proscritti da malmenare fosse Pedrizzi: avvisato o avendo intuito il pericolo egli andò a Trieste, protetto da Giulietti il quale lo designò segretario della locale sezione della F.I.L.M.
Nella città giuliana Pedrizzi dovette prestare una pregevole attività a favore del sindacato se divenne sempre più in amicizia con Giulietti stesso, il quale lo presentò a D’Annunzio nel 1923, quando sembrava che il Vate potesse proteggere l’organizzazione dagli attacchi di armatori e sindacalisti fascisti. Anzi, come emerge dalla lettura di Pax Mundi, opera a cui nel 1944 Giulietti affidò la propria ricostruzione dei fatti e le sue idee, Pedrizzi fu direttamente coinvolto nella scoperta di complotti e andò a Napoli in missione per conto del suo concittadino segretario generale.
Quando tuttavia uno dei complotti, organizzato da Umberto Poggi, “braccio destro” di Giulietti, ebbe successo nel gennaio 1924, Pedrizzi, assurto agli onori della cronaca nazionale e citato da “Corriere della Sera” e “La Stampa”, fece parte del triumvirato nominato da D’Annunzio allo scopo di gestire il sindacato della gente di mare e si trasferì così a Genova. A Rimini invece, i fascisti locali, memori della contrapposizione di un anno e mezzo prima e riconoscendo che era sfuggito alla loro aggressione per un soffio, fecero sul periodico di Carlo Cherici “la Prora” una serie di articoli feroci e diffamatori contro Pedrizzi: non osando attaccare D’Annunzio, volevano però “metterlo in guardia”.
Fu una breve avventura: nel giugno 1924 lo stesso D’Annunzio, ricoperto di oro e onori da Mussolini, rinunciò a lottare contro il fascismo e perciò fu nominato un commissario al posto del triumvirato, di fatto inoperante.
Nel novembre 1924 Pedrizzi perciò tornò a Trieste, per commerciare in vini, spostandosi poi a Monfalcone dove diresse per anni l’albergo “Adria Soda” finchè nell’aprile 1931 si trasferì a Milano: qui riprese il commercio di vino e questa volta anche di olio di oliva, che nel tempo divenne il ramo di attività preponderante grazie alla conoscenza di produttori pugliesi.
La Polizia fascista lo sorvegliò, non notando nulla di particolare se non nel luglio 1940 quando venne “ammonito” per aver cercato di diffondere un libello antifascista: tenuto conto della sua attività pacifista durante la prima guerra mondiale, probabilmente si trattava di una critica per l’entrata in guerra a fianco della Germania.
In verità però, da un processo tenutosi nel 1946, si evince che Pedrizzi nel corso degli anni trenta non aveva abbandonato l’interesse politico e allacciò contatti con Ludovico D’Aragona, ultimo segretario della C.G.d.L..
Nel 1945 ad avvenuta liberazione, Pedrizzi si iscrisse al Partito Comunista, a differenza di diversi suoi amici del primo dopoguerra, come Macina e lo stesso Clari che invece passarono nelle file socialdemocratiche.
Nel 1952, in occasione della ricostituzione della locale Camera del Lavoro, fu invitato a partecipare e Pedrizzi, che nel frattempo aveva acquistato una dimora nella zona di via Lagomaggio ove trascorreva le vacanze estive e qualche podere, presenziò all’inaugurazione.
La morte colse Pedrizzi nel 1960 e nel 1975 il sindaco di Rimini Nicola Pagliarani, nel corso dei festeggiamenti del 30° anniversario della liberazione, consegnò al figlio Cesare un attestato come “tenace avversario del fascismo per gli ideali di libertà, di democrazia, di giustizia e di pace.