Bravo Tommaso! E che il nostro burdèl possa parlare riminese anche a Cinecittà
31 Ottobre 2020 / Lia Celi
La pandemia ha messo il silenziatore alle celebrazioni del centenario felliniano. Ma se non siamo riusciti a omaggiare a sufficienza il riminese che da solo vale mezza storia del cinema mondiale, possiamo trovare una piccola grande consolazione guardando a ciò che Rimini sta dando oggi al cinema italiano contemporaneo, a cominciare da due giovani attori.
Una, giovane ma già affermata, Chiara Martegiani, acclamata protagonista di Ride di Valerio Mastandrea, e un debuttante che più giovane non si può, il piccolo Tommaso Rossi, chiamato dal regista Francesco Bruni a interpretare Kim Rossi Stuart da bambino nel film Cosa sarà. Un inizio di carriera col botto, per quando attutito, pure quello, dal problema-Covid di cui sopra.
A vigilare sul benessere di Tommaso, baby-recluta di Cinecittà, ci sono già i suoi genitori, ma noi concittadini, insieme al legittimo orgoglio per il successo del nostro burdèl, proviamo una certa preoccupazione. A mettercela sono le parole di Francesco Bruni, che in un’intervista ha lodato il talento e la disinvoltura di Tommaso, perfettamente a suo agio sul set fin dai primi giorni di riprese – un attore nato, insomma, salvo un difettuccio: l’accento romagnolo.
«Doveva interpretare un bambino romano – spiega il regista – e quando pronunciava la parola “bene” le sue vocali erano troppo strette». Insomma, non diceva “bbàne”, come usa da Arezzo in giù. Ad Ariminum i Romani hanno lasciato il ponte, l’arco, l’anfiteatro e la Casa del chirurgo, ma si sono dimenticati di lasciare il loro accento, e così la nostra parlata è un trionfo postumo dei loro eterni nemici, i Galli.
Sarà per questo che appena un cispadano approda nella Hollywood sul Tevere tentano subito di romanizzargli le vocali, raddoppiargli le consonanti, correggergli le esse e le zeta. Con Chiara Martegiani ci sono riusciti benissimo, tanto che quando l’ho vista sullo schermo pensavo venisse al massimo da Civitavecchia; con Tommaso Rossi il lavoro è appena iniziato. D’accordo, nel suo caso l’accento romano era necessario al personaggio, ma va detto che questa ricerca di credibilità vale solo in un senso.
Cioè, se hai l’accento romanesco puoi interpretare personaggi di tutte le altre regioni. Caso esemplare, il De André televisivo di Luca Marinelli, in teoria genovese purosangue, che però nella fiction parlava come un coatto di Tor Bellamonaca. Perfino nell’ultimo successo estivo, Sotto il sole di Riccione, non c’era nessuno con la cadenza riccionese, nemmeno il bagnino indigeno, affidato all’emiliano Andrea Roncato.
L’appiattimento sulla dizione capitolina dilaga anche nel doppiaggio (sono romane le più importanti famiglie di doppiatori), nella pubblicità e nell’informazione, provocando alla lunga nell’ascoltatore che abita fuori dal Grande raccordo anulare saturazione e insofferenza.
I riminesi, poi, sulla questione sono permalosi fin dai tempi di Amarcord, con quei presunti riminesi che parlavano come bolognesi romanizzati. Al bravissimo Tommaso Rossi auguriamo che Cosa sarà sia solo l’inizio di una parabola sfolgorante, ma speriamo che ogni tanto, fra una ripresa e l’altra, quando non lo sente nessuno, dica “bene” con la e stretta, alla romagnola.
Lia Celi
(Immagine in apertura da Corriere di Romagna)