HomeCulturaCagnacci e le donne: le amò davvero o le sfruttò?


Cagnacci e le donne: le amò davvero o le sfruttò?


30 Agosto 2020 / Paolo Zaghini

Pier Giorgio Pasini: “Le donne del Cagnacci” – Maggioli.

Nel maggio 2019 l’imprenditore Manlio Maggioli acquistava quattro quadri del pittore seicentesco Guido Cagnacci, nato a Santarcangelo il 19 gennaio 1601 e morto a Vienna nel 1663. Al prezzo di 700.000 euro. I dipinti del Cagnacci sono dall’estate 2019 visibili all’Osteria La Sangiovesa di Santarcangelo ubicato nell’antico Palazzo Nadiani, di proprietà della famiglia Maggioli.

Secondo il critico Massimo Pulini “questa collezione di Maggioli è certamente un avvenimento (…) a quanto di Cagnacci era disponibile sul mercato. Raccolta e messa in protezione di testimonianze importanti che altrimenti si sarebbero disperse, mentre ora sono trattenute per il territorio. L’acquisto di una serie di dipinti di questo tipo è davvero un evento. Maggioli ha compiuto un gesto davvero importante” (dall’intervista di Pulini a Marcello Tosi su Il Corriere di Rimini del 15 maggio 2019).

Le opere acquistate sono la “Maddalena penitente” del 1640 ca., un’altra “Maddalena penitente” del 1642 ca., la “Testa di ragazzo cieco” e il “San Bernardino da Siena” databili fra il 1640 e il 1645 ca. Tranne il primo, gli altri tre quadri furono esposti alla grande mostra su Cagnacci che si tenne nel 2008 ai Musei San Domenico di Forlì (splendido il catalogo “Guido Cagnacci. Protagonista del Seicento tra Caravaggio e Reni” a cura di Daniele Benati e Antonio Paolucci, edito da Silvana, 2008). “La “Maddalena penitente” andò all’asta da Sotheby’s nel 1987, acquistato da un privato collezionista da cui Maggioli lo ha comprato (nel catalogo della mostra forlivese a p. 230). Gli altri due quadri facevano parte della collezione privata della famiglia Albicini di Forlì, venduti a Maggioli (nel catalogo la “Testa di ragazzo cieco” a p. 236, “San Bernardino” a p. 84). Manlio Maggioli per questi acquisti si è avvalso della collaborazione di un noto antiquario riminese.

A completamento dell’operazione Cagnacci, la casa editrice Maggioli ha ripubblicato un volume dello storico d’arte riminese Pier Giorgio Pasini, saggio già edito una prima volta su la rivista “Romagna arte e storia” n. 21 del 1987, riedito poi in volume sempre da “Romagna arte e storia” nel 1993.

La nuova edizione si differenzia dalle precedenti stampe per le numerose tavole a colori, per l’aggiornamento biografico e soprattutto per la sorprendente aggiunta di un documento che fa sospettare il Cagnacci di omicidio nei confronti del capo famiglia dei Ricciardelli, avvelenato proprio alla partenza del pittore per la corte imperiale di Vienna (1659), dove morì nel 1663.

Scrive Pasini: “Dell’arte del Cagnacci, uno dei pittori italiani più importanti del Seicento, sappiamo ormai quasi tutto. Anche della sua vita cominciamo a sapere molte cose. Nel saggio emerge la sfortunata vicenda amorosa del pittore con la contessa Silvia Stivivi vedova Battaglini. La nuova edizione è arricchita da un nuovo documento che fa seriamente sospettare una vendetta del pittore nei confronti della nobile famiglia Ricciardelli, che aveva ‘incamerato’ i beni della contessa e l’aveva obbligata a sposare un giovane della famiglia, segregandola in casa, e contemporaneamente minacciato di morte il pittore. Nel 1659, l’anno della partenza del Cagnacci per la corte viennese dell’imperatore Leopoldo, a Rimini un Ricciardelli moriva avvelenato. Il nostro artista, definito ‘erratico guascone errante’, e ‘sfrontato pittore di donne ignude’, è stato anche un assassino?”.

Chi erano queste donne del Cagnacci di cui Pasini ci racconta?
Innanzitutto la contessa Teodora Stivivi vedova Battaglini: la notte del 22 ottobre 1628 venne arrestata “mentre sta per scappare con il pittore Guido Cagnacci su richiesta dei suoi parenti”. E’ accusata di “mancamento del suo honore” e viene rinchiusa nel convento delle Convertite, un reclusorio per femmine di mala vita.

E’ un problema di soldi, quelli ereditati da suo marito. Ogni sua protesta risulta vana. “Teodora potrà uscire dal convento-prigione solo dopo un paio d’anni, e solo a patto di sposare il giovanissimo nipote Vincenzo Ricciardelli. Si trattava chiaramente di un espediente della famiglia per non disperdere ‘la roba’ (e tanta se ne era accumulata nelle mani di Teodora, ereditata dagli Stivivi e dai Battaglini)”.Sappiamo con certezza del ‘gran scandalo e mormoratione della città’ che essi avevano suscitato, del resto si trattava di una trasgressione gravissima all’ordine costituito, che si configurava come un vero e proprio crimine sociale”. Cagnacci dovette abbandonare Rimini e “d’ora in poi lo troveremo sempre lontano dalla propria città e sempre in movimento, come in fuga”.

L’altra donna di Cagnacci fu Giovanna: compare nel 1636 e “si lega alla sua vita donandogli tutto ciò che ha; e lo segue docilmente: serva, modella, amante. Rinuncia a tutto, anche alla sua identità [per molto tempo la costringe a vestirsi da uomo] di donna, per seguirlo senza suscitare scandalo, uno scandalo che danneggerebbe la reputazione dell’uomo e la carriera dell’artista, e forse con la speranza che un giorno egli la possa e voglia sposare”. Sparisce dalla vita del pittore attorno al 1648.

Nella corso della fuga a Venezia compare Maddalena, “anch’essa probabilmente gli fa da serva, compagna, amica, amante, modella”. Rimarrà con lui almeno per dieci anni. Potrebbe essere lei la modella che posò per i quadri “più o meno ‘profani’ del Cagnacci del periodo veneziano e del periodo viennese, tutti di grande successo: caratterizzati da una pittura luminosa e limpida, raffinatissima, da un realismo filtrato, da una concretezza e da una sensualità naturali prive di malizia e di volgarità”.

Le due sorelle, Virginia e Lucia, erediteranno i beni e i quadri del fratello “essendo morto a Vienna senza testamento”. Bigotte, assistite dai padri Teatini, nei documenti posteriori al 1663, cioè alla morte di Guido, “non si rintraccia nei suoi riguardi una riga, un’espressione, una parola di compianto, né un moto di interessamento o almeno di curiosità, ma solo preoccupazione e avidità. Erediteranno tutto il frutto del lavoro viennese del fratello, crediti e dipinti; di questi ultimi si sbarazzarono per corrispondenza, senza nemmeno vederli e senza trattenerne neanche uno per ricordo”.
Potremmo concludere che Guido Cagnacci con le sue donne non fu molto fortunato. O che lui fu un vero disgraziato.

Paolo Zaghini