Carceri Emilia-Romagna: record suicidi e autolesionismo, pochi detenuti lavorano
29 Giugno 2023 / Redazione
Antigone Emilia-Romagna ha presentato il XIX Rapporto nazionale di Antigone sulle condizioni di detenzione e, in anteprima, il II Rapporto regionale, “Finestre sul carcere”, frutto dell’attività dell’Osservatorio dell’articolazione emiliano-romagnola dell’Associazione. Sono passati cinque anni dalla precedente edizione del rapporto regionale sulle condizioni di detenzione in Emilia-Romagna e, sebbene il comparto carcerario operi in condizioni di perenne emergenza, il quinquennio trascorso spicca per la sua problematicità. La crisi pandemica ha sottoposto il sistema penitenziario nazionale a sfide gestionali rilevantissime. Gli istituti emiliano-romagnoli, poste le misure emergenziali introdotte nella primavera 2020 per limitare gli effetti di contagio al loro interno, hanno prodotto scenari adattivi e reattivi differenziati. Inoltre, la Regione è stata investita in maniera drammatica dall’esplosione delle rivolte, a Bologna, Ferrara, Reggio Emilia e, soprattutto, Modena.
In questo rapporto, Antigone Emilia-Romagna “vuole dar conto dello stato attuale dei dieci istituti della Regione, a fronte delle crisi che hanno colpito le carceri a livello nazionale e regionale e a fronte dei riassetti organizzativi in risposta a tali sfide (non da ultimo la circolare sulla Media Sicurezza, che entrerà a regime in regione a partire da settembre)”.
Da diversi anni, l’osservatorio regionale completa il ciclo annuale delle visite a tutti gli istituti di pena della regione di riferimento, mantenendo così aggiornate le relative schede on-line. Il rapporto, frutto delle visite effettuate nel corso del 2022, “propone una lettura trasversale, organizzata per aree tematiche, del comparto carcerario emiliano-romagnolo”. Dopo una analisi sistematica dei dati relativi alle condizioni di detenzione in regione, seguiranno cinque focus specifici dedicati a: i lasciti della pandemia e lo stato del comparto sanitario; il carcere minorile del Pratello; la detenzione femminile; il diritto all’istruzione in carcere; le difficoltà del rientro in società successivo a un periodo di detenzione.
LA POPOLAZIONE DETENUTA
Sono dieci gli istituti di pena per adulti presenti in Emilia Romagna dove, al 31.12.2022, erano detenute 3.407 persone di cui 153 donne (circa il 4%) e 1660 stranieri (pari al 47,30%). La regione è tra i territori, quantomeno del nord Italia, che registra il più alto numero di presenze: la percentuale media di affollamento in relazione al 2022 è stata pari al 105,17%.
NODI PROBLEMATICI
L’elevato numero di ristretti non è l’unico elemento di criticità. Pur con le dovute differenze, all’interno delle carceri emiliano-romagnole si riscontrano diversi profili di complessità.
• Permane elevato il numero di condannati in via definitiva (71,88% pari a 2.561 persone nel 2022) in rapporto al numero di funzionari giuridico – pedagogici effettivamente presenti, in forte sotto organico in quasi tutti gli istituti: erano solo 3 a Modena a fronte di 229 definitivi su 387 ristretti, 1 solo in alcuni periodi a Reggio Emilia con 269 definitivi su 346 persone detenute o, 1 sola a Rimini e Ravenna con, rispettivamente, 75 e 50 detenuti condannati in via definitiva.
• Importante anche la carenza dal punto di vista dell’offerta trattamentale. In questo senso, si segnala la mancanza di opportunità lavorative: la media dei detenuti che lavorano in regione è del 29,50% (in tutti gli istituti al di sotto del 50%) di cui solo il 5,81% alle dipendenze di datori esterni.
• Significativa la carenza di medici e infermieri all’interno degli istituti e diffuse le criticità strutturali legate a strutture particolarmente datate e sprovviste di spazi adeguati.
I LASCITI DELL’EMERGENZA SANITARIA
Negli ultimi anni, le modalità di gestione dell’emergenza sanitaria, pur diversificate sul territorio, hanno comunque avuto un impatto significativo sulla quotidianità detentiva, in termini di possibilità di contatti con l’esterno, fruizione di spazi comuni e possibilità trattamentali.
La pandemia ha esasperato molti dei nodi critici già propri del rapporto tra sistema carcerario e diritto alla salute e ha lasciato dietro di sé una crisi profonda della sanità penitenziaria. In particolare, l’attività di monitoraggio svolta nel 2022 ha evidenziato:
• la carenza di personale medico, infermieristico, psicologico e psichiatrico;
• la precarietà delle forme contrattuali e la discontinuità delle équipe, che mette a rischio gli sforzi di elaborare prassi virtuose e condivise;
• la difficoltà nel fronteggiare un tasso di sofferenza mentale in crescita;
SOFFERENZA MENTALE
testimoniata dall’alto numero delle diagnosi psichiatriche (11%) e di dipendenza (38%) e dal largo ricorso agli psicofarmaci (il 26% dei detenuti utilizzano stabilizzanti dell’umore, antidepressivi, antipsicotici e il 34% sedativi o ipnotici, nonostante la policy regionale di riduzione del consumo di psicofarmaci).
AUTOLESIONISMO
Molto alto il tasso di autolesionismo a livello regionale (40%), con picchi del 79% nel carcere di Ferrara, del 59% nel carcere di Reggio Emilia, del 51% nel carcere di Bologna e di Forlì.
SUICIDI E TENTATI SUICIDI
Nel 2022 si sono tolte la vita 7 persone negli istituti della Regione, con 114 tentativi di suicidio solo nei primi sei mesi dell’anno, una percentuale decisamente superiore a quella che si riscontra nella popolazione libera, a conferma della maggiore fragilità psichica della popolazione detenuta.
L’Emilia-Romagna è tra le regioni dove si registra uno dei tassi più alti di suicidi: nel 2022 si sono tolte la vita 7 persone negli istituti di Ravenna (1), Forlì (1), Rimini (1), Bologna (1), Reggio Emilia (1) e Piacenza (2).
È vero che esistono da anni, in tutti gli istituti della Regione, dei protocolli per la prevenzione del rischio suicidario, che prevedono procedure di valutazione dei vari fattori clinici e situazionali e la messa in atto di provvedimenti da parte dell’amministrazione dell’istituto di concerto con l’area sanitaria (come l’allocazione in celle ad hoc, singole o condivise a seconda della situazione). Tuttavia, al di là degli specifici protocolli adottati, non può non leggersi in un fenomeno di tale portata l’impatto delle ristrettezze del contesto carcerario sulle persone detenute, già in gran parte vulnerabili sotto il profilo psicologico e sociale; per cui a un approccio teso ad assegnare a ciascuno il proprio grading di rischio suicidiario devono accompagnarsi interventi sul piano delle condizioni materiali, della cura per le relazioni affettive e con l’esterno, dell’offerta trattamentale e delle prospettive oltre la carcerazione.
CARCERE MINORILE
Tra 2020 e 2022 diversi fattori hanno contribuito ad alterare gli equilibri storici delle dinamiche di funzionamento dell’Istituto penale minorile di Bologna. L’emergenza sanitaria ha gravato marcatamente sull’istituto tra febbraio e settembre 2020, cagionando l’interdizione dei rapporti con l’esterno e la compressione dell’offerta educativa-trattamentale.
Tra fine 2021 e inizio 2022, la capienza dell’istituto è stata estesa, passando da 22 a 40 detenuti. Questo ha comportato una netta trasformazione. Tra i nodi critici:
• mancata integrazione dell’area educativa;
• sindacati di polizia penitenziaria segnalano gravi carenze nel proprio reparto e rispetto alla sicurezza dell’edificio.
• La vita detentiva si incardina in un regime più regolamentato in cui è più complesso che in passato garantire al detenuto un’adeguata assistenza.
• Risultano in aumento dinamiche di conflitto e bisogni clinici, spesso correlati a
dipendenza e abuso di sostanze che interessano soprattutto i più giovani.
DETENZIONE FEMMINILE
Non ci sono istituti femminili in regione, dunque le detenute sono distribuite in sezioni femminili all’interno di carceri maschili.
La sezione femminile più grande, che è anche una delle più grandi in Italia, si trova a Bologna, con 84 donne detenute su un totale di 772 presenze (10,9%). Seguono Modena (31 su 469, 6,6% del totale), Piacenza (18 su 353, 5,1%), Forlì (17 su 149, 11,4%) e infine Reggio Emilia (11 su 370, 3%). Tranne Piacenza (AS3), sono tutti circuiti per detenute comuni.
A Reggio Emilia, pur nel limitato numero di detenute (11), le sezioni femminili sono due (Comuni e Protette, con divieto di incontro), alle quali va aggiunta una sezione per detenute transgender. Questo rende difficile la gestione dell’offerta trattamentale.
Le criticità nella ripartizione delle risorse a disposizione tra la popolazione detenuta maschile e quella femminile si riflettono sulle opportunità riservate alle donne rispetto alle attività lavorative, culturali, ludiche e sportive.
Dal punto di vista dell’offerta formativa, buona la situazione a Bologna, con corsi di alfabetizzazione, di scuola media, e di scuola superiore in ragioneria e il polo universitario. Invece: a Reggio Emilia, abbiamo riscontrato una totale assenza di corsi scolastici e professionalizzanti sia per le detenute della sezione femminile che per quelle della sezione transgender, a Modena i corsi scolastici si erano interrotti per mancanza di partecipazione al momento della visita e a Forlì nel 2022 era stato attivato solo il corso di alfabetizzazione, mentre le scuole medie e il biennio delle superiori non erano partiti a causa della mancanza di insegnanti del CPIA.
DIRITTO ALL’ISTRUZIONE
Il diritto ad accedere ai più alti gradi dell’istruzione è tendenzialmente garantito in Emilia Romagna, con un’offerta formativa in crescita. Gli atenei della Regione aderenti alla CNUPP sono le Università di Bologna, Parma e Ferrara; risulta inoltre in fase “di attivazione” anche il Polo dell’Università di Modena e Reggio Emilia.
Nell’A.A. 2021-22 gli studenti detenuti iscritti all’Università di Bologna erano 67 e a quella di Parma erano 36, all’Università di Ferrara risultavano 6 iscritti.
IL CASO: TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI BOLOGNA E LA PERICOLOSITA’ SOCIALE DI UNO STUDENTE-DETENUTO
L’istruzione, oltre che un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali, costituisce elemento centrale del trattamento penitenziario eppure il Tribunale di Sorveglianza di Bologna sembrerebbe averlo messo in discussione, trasformando i titoli di studio conseguiti da uno studente-detenuto di Bologna in indice di pericolosità sociale rispetto alla prognosi di recidiva. La vicenda è diventata un caso nazionale, che è anche approdato a Strasburgo, dove è pendente il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che vede il diretto coinvolgimento di Antigone.
IL MOMENTO DELL’USCITA DAL CARCERE
Tra il 2019 e il 2020 l’Associazione Antigone Emilia-Romagna, sulla base di un finanziamento concesso dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, ha condotto un progetto volto alla realizzazione di una guida dedicata alle persone in uscita dalla sezione maschile del carcere di Bologna intitolata “Una volta fuori: percorsi e opportunità a Bologna dopo la pena”.
Due i principali obiettivi di questo lavoro: da un lato, fornire uno strumento di orientamento in previsione delle dimissioni dal carcere, costruito sulla base dei bisogni maggiormente avvertiti dalle persone sottoposte a pena; dall’altro, conoscere e descrivere la rete di servizi presenti sul territorio cittadino.
Dalla ricerca condotta è emerso un quadro complesso, che rimanda a un territorio metropolitano piuttosto articolato dal punto di vista dell’offerta ma all’interno del quale si registrano alcune criticità relative alla possibilità di garantire continuità ai percorsi di accompagnamento all’esterno.