HomeCronacaCari taroccatori del Made in Italy, provateci con lo squacquerone


Cari taroccatori del Made in Italy, provateci con lo squacquerone


23 Ottobre 2021 / Lia Celi

Confesso di aver provato un pizzico di delusione leggendo la classifica di Coldiretti delle dieci specialità alimentari italiane più imitate, contraffatte e taroccate all’estero. Al secondo posto, insieme ad altri quattro formaggi tricolore, c’è il parmigiano reggiano, che troviamo in giro per il mondo variamente storpiato nella ricetta e nel nome, da Parmesan all’irricevibile Grana Pompeana), al sesto posto la mortadella, che negli Usa diventa “baloney” (da Bologna) e in Sudamerica “mortadela” (alcuni paesi latini, come il Venezuela, l’hanno adottata con tanto entusiasmo che ormai si sono dimenticati della sua origine italiana), e nei paesi arabi viene declinata in versione halal, cioè con carne di pollo.

Nella top ten delle leccornie che il mondo ci invidia e ci copia a man bassa, l’Emilia-Romagna è dunque rappresentata da ben due specialità su dieci, come sottolinea con orgoglio il Resto del Carlino. O meglio – ed è qui che scatta il pizzico di delusione – è rappresentata l’Emilia. La Romagna è totalmente assente. A quanto pare nessun prodotto romagnolo doc intriga gli stranieri tanto da spingerli a copiarlo, e siccome l’imitazione in fondo è un omaggio, il riconoscimento di un valore, sotto sotto un po’ dispiace.

Certo, l’Italian Sounding, cioè l’imitazione italianeggiante ma scadente dei nostri prodotti, disorienta il consumatore e non fa bene al nostro settore agroalimentare: Coldiretti calcola che per colpa del falso made-in-Italy quello vero perde 300mila potenziali posti di lavoro. Nessuno di quei posti, però, viene perduto in Romagna, perché a nessuno interessa falsificare le nostre specialità. Come se non fossero sufficientemente attraenti o appetitose per gli stranieri – cioè, quando vengono qui in vacanza le apprezzano, ma non abbastanza da indurli a cercare di riprodurle, una volta tornati a casa loro.

Cosa ci vorrebbe, per dire, a imitare la piadina? Non venitemi a dire che nel mondo ci sono tanti prodotti tradizionali equivalenti e che, dalla pita alla tortilla, praticamente tutte le civiltà hanno elaborato una propria ricetta di focaccia rotonda e piatta cotta su una piastra. La piada è la piada… cioè, no, un momento: la piada riminese è la piada riminese, quella romagnola è diversa. La querelle è annosa e ancora non è stata superata, e può darsi che sia questo a disorientare i forestieri, che non sanno quale delle due tipologie copiare, se quella sottile e flessibile di Rimini e Riccione o quella più spessa del Cesenate e dell’entroterra.

E allora parliamo di un’altra eccellenza romagnola: lo squacquerone. Se il mondo va matto per la mozzarella, il formaggio italiano più copiato, come fa a non adorare il cremoso, fresco e irresistibile squacquerone, che fra l’altro si sposerebbe perfettamente anche con le esotiche focacce piatte di cui sopra? Forse in questo caso il problema sta solo nel nome. «Squacquerone» per gli stranieri è una parola troppo difficile non solo da pronunciare, ma anche da storpiare ai fini dell’Italian Sounding. Per ritoccare «parmigiano» o «provolone» non ci vuole niente, ma «squacquerone» è tetragono a tutti i tentativi di taroccamento onomastico. Al massimo si ricava un cacofonico e poco allettante «squackeron».

Insomma, il nostro formaggio preferito ha l’antifurto incorporato e non ne vedremo mai una brutta copia occhieggiare nel banco-frigo di un supermarket brasiliano o ungherese, insieme al Pamesello e al Cambozola. Il Romagnol Sounding lo protegge.

Lia Celi