Caro Valerio Braschi, invece del tubetto prova con la «lasagna Conte»
23 Gennaio 2021 / Lia Celi
Fra gli incipit meno indicati per un articolo di giornale c’è sicuramente “Racconta Plutarco che…”, tre parole che garantiscono l’immediato esodo dei lettori verso la pagina successiva. Se me lo permetto, è perché si parla di Valerio Braschi, il nostro giovanissimo Masterchef made-in-Santarcangelo, andato a cercare fortuna nei ristoranti della capitale, come ottant’anni fa il suo conterraneo Federico Fellini, quindi vale pena di sorbirsi l’incipit aulico, tanto pedante quanto pertinente.
Dunque, racconta Plutarco che Alcibiade, l’imprevedibile e chiacchierato politico ateniese, aveva un bellissimo cane, e un giorno gli tagliò la coda, un atto gratuito e crudele di cui parlò tutta la città. Ma lui disse che l’aveva fatto proprio per questo: voleva che gli ateniesi scatenassero le loro critiche sul taglio della coda e non facessero caso ad altre sue malefatte più gravi ma meno appariscenti.
E’ una fortuna che Valerio non avesse sottomano un cane, e per far parlare di sé si sia accontentato di seviziare e vilipendere delle lasagne. Il giovane chef le ha frullate a mo’ di crema e poi impiattate (bisognerebbe dire intubate, ma oggi il termine ha un significato sinistro) dentro un tubetto tipo dentifricio. La pietanza viene servita, o meglio, spremuta dal tubetto, su uno spazzolino fatto di pasta all’uovo e accompagnata da un bicchiere di brodino che imita il collutorio. Manca solo lo spaghetto di soia come filo interdentale.
Ovviamente la notizia è rimbalzata su tutti i media, social e no, in un vespaio di pro e soprattutto di contro. «Ma io guardo avanti,» ha replicato l’Alcibiade dei fornelli, «se ne parlano significa che ho colto nel segno e ho fatto un piatto innovativo.»
Bè, se l’alternativa era un sauté di coda di cane, okay. Prendo le lasagne Mentadent. Faccio anche il bis, anzi, mi sa che sono necessari pure il tris e il poker, perché nel tubetto ci starà un decimo della normale porzione di lasagne. Ma anche se mi piace l’innovazione e ammiro il coraggio di un giovane chef che vuole aggiornare, con un apprezzabile pizzico di dissacrazione pop, un monumento della cucina italiana, non condivido l’associazione fra pasto e rituali di pulizia personale.
Capisco che Valerio voleva ricordare le sue colazioni da bambino con le lasagne rimaste in frigo («era come lavarsi i denti con quel sapore»), ma alla maggior parte della gente lo spazzolino e il dentifricio evocano irresistibilmente sapori di menta piperita e l’atto do sputare.
Se tanto mi dà tanto, nelle toilette del ristorante di Valerio ci dev’essere sapone al gorgonzola e vol-au-vents al posto della carta igienica.
Se proprio bisogna ripensare le lasagne, destrutturarle e trasformarle in un’installazione gastronomica, suggeriamo al nostro giovane chef di ispirarsi, anziché all’igiene orale, alla politica.
Sperimentando una inedita «lasagna Conte», una coalizione raffazzonata di sfoglia, besciamella e ragù che collassa ancora prima di arrivare al tavolo, e che il cameriere deve ricomporre alla meglio aggiungendo cucchiaiate di cibo preso a caso dai piatti degli avventori disposti a dare la fiducia.
Che piaccia o non piaccia, bisogna mandarlo giù lo stesso perché in questo momento la cucina non è in grado di preparare altro. Magari la «lasagna Conte» non piacerebbe ai guru di Masterchef, ma Enrico Mentana le dedicherebbe sicuramente una delle sue maratone.
Lia Celi