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"I ristoranti riminesi rispetto a tante altre città e zone turistiche sono tra i più cari"


C’è una categoria che in Italia oggi non dovrebbe piangere visti i prezzi: i ristoratori


2 Luglio 2024 / Paolo Zaghini

C’è una categoria che in Italia oggi non dovrebbe piangere: i ristoratori. Lo so che detta così sembra che tutti se la cavino alla grande, poi in realtà anche qui c’è caso e caso. E comunque a dare un’occhiata ai posti occupati nei diversi locali (in particolare il sabato e la domenica) vedi che sono tutti occupati. E nei fine settimana se non prenoti (e non importa se al mare o in campagna) non ti siedi a tavola: ti senti dire “tutto pieno”.

Ti vien da dire: ma a casa non mangia più nessuno! E poi: ma visto i prezzi, allora la crisi non c’è.

I dati ISTAT di fine maggio dicono che i prezzi di ristoranti e pizzerie sono aumentati negli ultimi mesi fra il 4 e il 5%. Ormai sembra normale che pizza e birra costino 20 euro a testa, che un antipasto e un primo 35 euro, un assaggio di pesce 50 euro. Non li traduco nelle vecchie lire perché a noi vecchietti verrebbe male.

Diamo allora un’occhiata a come si fa ad arrivare a questi importi. Ovvero ai ricariche che vengono praticati, soprattutto su ciò che potrebbe essere considerato secondario: l’acqua, il caffè, il dolce, i contorni, il vino. Prendiamo l’acqua: una bottiglia d’acqua frizzante in vetro che al supermercato costa al massimo 60 centesimi ti viene conteggiata in media 4 euro. Non parliamo poi dell’acqua in caraffa venduta normalmente a 2 euro: gli esperti hanno valutato che in due settimane si coprono le spese annuali dell’impianto, non considerando il risparmio di spazio e di tempo per gestire gli ordini e smaltire i vuoti. Il caffè, al bar 1,30, al tavolo 2,50/3 euro. I dolci ormai per meno di 7 euro non li gusti più.

Più articolato il discorso sul vino, anche se il prezzo di un calice (fra i 6 e gli 8 euro) copre il costo dell’intera bottiglia. Bottiglia che ha un ricarico medio, per la fascia media del costo al ristoratore di 6-10 euro, del 200%; per la fascia alta, del costo fra i 10 e i 15 euro, del 100%. Diciamo dunque che il ricarico viaggia fra le 3 e 4 volte il costo in origine.

In Italia ci sono 130.000 attività di ristorazione. Uno dirà: ce ne è per tutte le tasche. Vero, ma il problema non è lo scontrino finale. E’ come si raggiunge la cifra riportata. L’insieme dei costi che servono per realizzare un piatto mediamente vengono ricaricati del 130%: i ristoratori dicono che se non lo facessero alla fine dell’anno non riuscirebbero a coprire i costi di gestione, gli stipendi del personale, gli affitti, le tasse. Così facendo le spese si moltiplicano per 3-4 volte, se non di più: un piatto di pasta dal costo fra i 2 e i 4 euro, ormai non si trova a meno di 12-17 euro.

Naturalmente ci sono differenze enormi da città a città. Dice Massimiliano Dona, Presidente  dell’Associazione Nazionale Consumatori: “In pratica ogni ristorante fa un po’ come vuole, a seconda della domanda, dell’afflusso turistico che registra la sua città, delle prenotazioni, di quanti clienti ha e può servire, di quanto è rinomato il suo locale e lo chef”.

E poi da noi c’è la voce dello scontrino che più fa “incazzare” i clienti: il coperto. Mediamente del valore di 2 euro a persona, ma nei ristoranti di pesce anche 3-4 euro. Dunque in Italia, contrariamente a molte parti del mondo dove la “mancia” (detta anche il “servizio”) è obbligatoria (e spesso è fra il 10 e il 15% del valore complessivo del pasto: dunque non poco), da noi non lo è. In passato questo veniva applicato anche da noi: mi ricordo che lo era nei miei trascorsi giovanili da cameriere estivo: una forma per pagare il personale. E allora viene applicata la voce “coperto”. In italiano uno pensa ad una location accogliente, a camerieri che sappiano il mestiere, alla tovaglia e ai tovaglioli di stoffa, a un ricco cestino di pane, insomma ad un tavolo apparecchiato come dio comanda. In questi casi benvenuto il “coperto”. Ma pagarlo in pizzerie o in trattorie rustiche con tovagliette di carta, su tavoli alla buona, con un servizio che definire approssimativo è essere buoni fa scattare l’arrabbiatura. Un balzello inaccettabile.

Il riminese ha una ristorazione media buona, diffusa, anche se i locali “stellati” (quelli di grande qualità) sono pochi. Come detto inizialmente sembra che tutti lavorino molto. Ma diciamolo: rispetto a tante altre città e zone turistiche noi siamo tra i più cari.

Mi piacerebbe molto fare un viaggio fra le diverse tipologie di ristoranti del nostro territorio, valutandoli sulla base di alcuni parametri comparativi: la qualità complessiva della location e dell’accoglienza, alcuni costi (i primi, il caffè, i dolci), il costo del “coperto”, il costo e la qualità del vino, lo scontrino medio (ovvero prendendo le stesse cose in locali diversi la differenza fra l’uno e l’altro). L’ho proposto a mia moglie questo tour, ma sono stato bocciato. Lapidaria la risposta: ma tu non vuoi più andare a mangiare fuori!

Paolo Zaghini