Home___primopianoCeredi Libero Giorgio da Cesena, cui tutto veniva a noia tranne le sue 25 Lancia

Goliardo impenitente e mai laureato, centauro e pilota automobilistico perfino nella terribile Carrera Panamericana


Ceredi Libero Giorgio da Cesena, cui tutto veniva a noia tranne le sue 25 Lancia


12 Novembre 2023 / Enzo Pirroni

Nella antichità immaginazione e sogno erano sinonimi: opinione e apparenza. Ludovico Ariosto immaginava che la luna fosse il luogo dove accatastati stessero i sospiri degli innamorati, le preghiere mai esaudite,  “i vani disegni che non han mai loco”, le fantasticherie e, nello stesso tempo, le apparenze, i desideri, le velleità abortite. Amleto stesso confessava: “And my immaginations are as foul as Vulcan stithy” (fantasie laide come la grotta di Vulcano).

Veramente, allorché il sentimento fantastico diviene incontrollato, è facile che chi ne è affetto venga trasportato nell’infinito e difficilmente possa ritornare in se stesso. Ceredi Libero Giorgio (così si presentava, prima il cognome e successivamente il nome), era un cesenate benestante, nato nei primi anni Venti del secolo scorso, che per tutto il corso della sua, non breve, esistenza, null’altro ha fatto se non rincorrere chimere con un protervio senso alterità, attingendo costantemente da un cospicuo patrimonio familiare, evitando accuratamente qualsivoglia ambascia o accenno di dolore.

Valeva, per lui, l’affermazione dello scrittore ceco Orten: “Sbagliare eternamente, fino a diventare puri”.  Prese la maturità classica al Liceo di San Marino, seguendo un percorso irrequieto, tra numeri eccentrici, affatturato com’era, fin dalla prima giovinezza, dalle più pazze intramesse e dalla deboscia più sfacciata. S’iscrisse poi alla Facoltà di Medicina presso l’Ateneo bolognese ed anche lì, rimanendo iscritto, per oltre venticinque anni, ricoprì tutte le cariche della goliardia, al pari del poeta monsummanese, Giuseppe Giusti, eterno fuoricorso. Arrivò ad impossessarsi dello scettro di FITTONE, titolo che veniva immediatamente dopo quello di SOVRANO COMMENDEVOLISSIMO DELL’ORDINE GOLIARDICO DI SAN PETRONIO.

Fu in questa veste, che in occasione di una Festa della Matricola, Ceredi Libero Giorgio, non esitò ad aggiustarsi su di un “passeggino” e con panni infantili e tanto di “ciuccio” in bocca, si fece spingere per una giornata intera per le vie di Bologna. Era lui e non altri che possedeva il diritto esclusivo di intonare il GAUDEAMUS. Inutile dire che non si laureò. Diede invece, seguendo l’esempio del fratello maggiore, buon centauro, sfogo alla sua irrefrenabile passioni per i motori: prima con le motociclette e quindi con le auto. Con l’aiuto di Carcano, il “Moretto” e Todero, nel 1952 in occasione della Milano – Taranto, si fece preparare un “GALLETTO” Guzzi di 160 c.c. Gli era compagno in quella avventura un altro cesenate: certo Vicini. I due “coraggiosi” si sorbirono i 1410 chilometri, con dei mezzi che non erano certamente in grado di produrre grandi velocità. La gara si corse il 15 giugno, costeggiando gran parte della riviera romagnola e il vincitore assoluto fu Bruno Francisci, di Roma, su una Moto Guzzi 500, alla media record di 112 chilometri orari. Tra le “125” s’impose Gino Franzosi su MV, Guido Sala dominò la categoria scooter, Falconi su MV vinse nella 350 cc, Celeste Cavaciuti su Parilla nella 250 cc e Leopoldo Tarantini su BSA tra i sidecar.

Il Galletto Guzzi

Su quella mitica “maratona” motociclistica le versioni sono, ancor oggi contrastanti. Di certo si sa che Vicini si piazzò tredicesimo di categoria facendo segnare una media di oltre ottanta chilometri all’ora. Ceredi sosteneva (e non era assolutamente un bugiardo) che arrivò ultimo nella sua classe di appartenenza, a causa di un guaio alla carburazione, altri (che però non avevano preso parte a quella gara) dicevano che si fosse fermato, ritirandosi a Napoli. Corse poi con il mitico “Dondolino” Guzzi e tra i suoi successi (pochi in verità) poteva annoverare quello ottenuto sul circuito di Ospedaletti in Liguria. Nemico giurato delle motociclette inglesi (a Monza, in un gran premio, venuto in alterco col pilota Bill Lomas, non esitò a pisciargli addosso, in un gesto di massimo disprezzo), si rifiutò categoricamente di guidarne una così come detestava le moto Gilera, pur ammettendo (a malincuore) che la Gilera  “SATURNO” 500 era, per prestazioni, superiore alle Guzzi. Ancora oggi i vecchi (e sono sempre meno) ricordano le sfide tra guzzisti e gileristi che avevano luogo a Cesena con la partenza dal Ponte Vecchio.

Gilera Saturno 500

Udendo le gesta di Ceredi Libero Giorgio si entra in un agglomerato di maraviglie, di aneddoti, di numeri circensi facenti parte di un tempo inesorabilmente lontano. Riaffiorano memorie come da brandelli di tele mal dipinte, réclames di dimenticati oggetti, illustrazioni di pliocenici “Sport Illustrato”, insegne d’osterie disegnate a caratteri gotici, riaffiorano scrigni contenenti sogni appartenenti ad una civiltà scomparsa. Fu uno dei pochi “privati” italiani a partecipare alla “Carrera Panamericana”, o anche nota come “Carrera Messicana” nel 1954. Era questa una corsa internazionale automobilistica su percorso stradale che si dipanava per oltre 3000 chilometri in territorio messicano. Se ne disputarono solamente cinque edizioni ma l’estrema pericolosità del percorso, l’eccessiva lunghezza, le condizioni proibitive delle strade, nonostante l’enorme visibilità indussero il Governo Federale Messicano cancellare la manifestazione. La motivazione ufficiale fu di porre fine ai numerosi incidenti, spesso mortali, che puntualmente funestavano la corsa.

Lancia Aureia B20 alla Carrera Panamericana

Nelle cinque edizioni, le vittime, tra piloti e spettatori furono ventisette. Ceredi, in compagnia di un certo Marini, del quale si diceva fosse conte e disponesse di sostanze praticamente illimitate, partecipò alla “Carrera” con una Lancia “AURELIA” B 20 berlina di due litri di cilindrata. Quell’anno, nella categoria prototipi, a vincere fu Umberto Miglioli, su Ferrari, alla media di 173, 692 chilometri orari, secondo e terzo furono rispettivamente Phil Hill sempre su Ferrari e Hans Hermann su Porche. La “Carrera” prevedeva la partecipazione di Vetture Sport e Vetture Turismo. In quell’edizione le Vetture Turismo a prendere il via furono 133. Come si piazzarono i nostri Eroi? Nella quinta tappa da Lèon a Durango di 530 chilometri ebbero un incidente. Uscirono di strada e distrussero completamente al vettura. Marini riportò fratture varie e venne ricoverato per stato commotivo. Ceredi, che era alla guida, se la cavò con semplici escoriazioni. In seguito, con l’età, la passione per le corse si affievolì ma non scemò la sua compulsiva ossessione si possedere auto di prestigio.

Le amiche di Ceredi Libero Giorgio

Parlando con Ceredi Libero Giorgio, la storia (la sua storia) diventava un inventario, attraverso i vari modelli di “Lancia” (sempre ed esclusivamente Lancia) da lui posseduti, ricostruiva gli accadimenti.

Storie che erano veri e propri rompicapi, veri e propri puzzle di situazioni al limite del credibile, le une incastrate nelle altre. Il di lui raggio d’azione era l’intero continente europeo. Si avventurava spavaldamente, con ibridità diavolesca tra alberghi di lusso, inaccessibili e voluttuose entreineuses, amori brevi ma travolgenti come se la gioia di vivere nascesse dalla sicurezza assoluta che la vita è breve. Tutto a Giorgio veniva a noia. Tutto tranne le sue amate auto “Lancia”. Alla fine, allorché viveva da solo in un appartamento nel Grattacielo di viale Principe Amedeo a Rimini, ne possedeva, sparse ne diversi garages locali, oltre venticinque. Ma la di lui matticineria non si affievolì con l’età.

Un giorno di primavera che mi era venuto a prendere all’uscita dell’Istituto Tecnico per il Turismo a Marebello, s’imbatté in una professoressa, bellissima donna che, terminate le lezioni, si avviava verso casa in sella alla sua bicicletta. Questa fu per Libero Giorgio un’irresistibile esca di demonia. Riuscì, seguendola, a capire dove abitava e da quel momento la professoressa, si vide recapitare giornalmente enormi bouquets di rose rosse (generalmente un centinaio). Il marito, geloso, non sapendo chi fosse l’anonimo innamorato della moglie, cominciò a torturarla.

L’Istituto Tecnico per il Turismo

In pasto a belluine passioni arrivò pure agli schiaffi, tanto che in più occasioni la poveretta, si presentò a scuola indossando occhiali scuri per nascondere i lividi. Ma cosa avrebbe potuto mai confessare, ignorando totalmente chi fosse il pazzo ammiratore che la inondava di omaggi floreali? Finché un giorno Ceredi la fermò offrendole una pelliccia di visone. Naturalmente lei si schernì e rifiutò. Fu allora che Ceredi Libero Giorgio disse: “Se lei rifiuta questo piccolo omaggio, mi fa offesa ed io darò la pelliccia, alla prima donna che vedrò passare!” Detto fatto. Mentre la professoressa, confusa e seccata, si allontanava, Ceredi fermò una ragazzotta che transitava col suo “Ciao” per Viale Regina Margherita. “ Vuole una pelliccia di visone?” – le chiese. “ Sì, certo” – disse prontamente la ragazza che, senza neppure ringraziare prese il prezioso indumento e sfrecciò via. Questo Era Ceredi Libero Giorgio. Mi chiedo? E tutte le sue auto “Lancia”? “Sperse su per i muriccioli” come i libri della famosa biblioteca di Don Ferrante…

Enzo Pirroni