Bella cosa i neuroni-specchio, che ci permettono di empatizzare col prossimo e di imparare da lui imitandolo. Quando non funzionano viviamo male e facciamo vivere male quanti ci stanno intorno a causa dell’incapacità di capire cosa provano e metterci in relazione con loro. Ma anche quando funzionano troppo possono darci qualche noia – io, ad esempio, devo avere mille cautele rispetto ai prodotti dell’immaginario (film, serie, libri) contenenti scene di violenza, di crudeltà e di sofferenza fisica. Mi ripeto che è solo finzione, ma i miei neuroni specchio se ne fregano e devo interrompere la lettura, chiudere gli occhi o fare avanti veloce fino alla prossima scena con gente calma e incolume.
Figurarsi quando la scena di sofferenza è dal vivo e coinvolge dei bambini. Disclaimer: non voglio parlare di violenza domestica o di abusi da Telefono Azzurro, atti orribili che si consumano all’interno delle case, lontano da occhi estranei; questa è una rubrica leggera, dove accostare il grave al futile è solo un espediente retorico per strappare un sorriso. Ma i miei neuroni-specchio sono delle pappemolle e prendono tutto molto sul serio, specie quando si tratta di pianto infantile. Questa debolezza in passato mi ha reso una madre lassista, perché quando i miei figli erano piccoli non gli lasciavo nemmeno il tempo di fare “uè”: già all’”u” mi tuffavo su di loro per prenderli in braccio e consolarli con latte, ciuccio e qualunque altro conforto a portata di mano. (Sono tutti cresciuti abbastanza bene e per ora nessuno di loro ha avuto guai con la legge, quindi forse aveva ragione il loro primo pediatra bolognese, un epicureo convinto che il pianto dei piccoli esprima bisogni naturali e necessari – fame, sete, sonno, protezione –, e soddisfarli subito non sia viziare.)
Con l’età le cellule nervose mi si sono rammollite come altri tessuti, e la situazione è peggiorata. Il pianto di un bebè, nelle strade del centro o in spiaggia, mi suscita reazioni di panico animalesco, non il fastidio del pedofobo, ma un senso di allarme e di impotenza. I perfidi neuroni-specchio attingono ai miei ricordi sia remoti che recenti, e mi fanno identificare sia nel bambino esigente e disperato che nel genitore che cerca di fare qualcosa mentre tutti intorno puntano lo sguardo su di lui, pronti a emettere un giudizio.
Una delle situazioni che più mi strazia si verifica fra le bancarelle del mercato, luogo di svago e di piacere per noi mamme, inferno di noia per i piccoli in passeggino. Mentre la genitrice ravana in un mucchio di rimanenze di magazzino o cerca una taglia M in uno stender pieno di XS, lancia occhiate apprensive al pupo, spiando il faccino sempre più contrariato e le gambine che già cominciano a scalciare impazienti. Questione di secondi, e la poveretta verrà guardata come la madre snaturata di Balocchi e profumi, che si perde in frivolezze mentre la sua creatura piange reclamando attenzione.
Niente di grave, niente di irreparabile, le tragedie sono ben altre. Mi struggo perché in quel momento i bambini sono due, perché anche noi mamme al mercato torniamo piccole, curiose e avide come in un negozio di giocattoli, ma dobbiamo prenderci cura di una persona ancora più piccola che dipende da noi. Madri che dovete scappare dal mercato spingendo il passeggino con il piccolo in braccio, non saprete mai quanto io e i miei neuroni specchio vi comprendiamo.
Lia Celi