Home___aperturaChissenefrega del pianeta, nutriamoci di scemenze sui grilli e i cibi cosiddetti italiani

"Non avrei nessuna remora ad assaggiare sia la carne artificiale che i prodotti a base di insetti, anzi, sono molto curiosa"


Chissenefrega del pianeta, nutriamoci di scemenze sui grilli e i cibi cosiddetti italiani


1 Aprile 2023 / Lia Celi

Ho archiviato da un pezzo l’adolescenza, ma la traccia infinitesimale che ne è rimasta è sufficiente a farmi reagire agli ultimi divieti imposti dal governo Meloni come farebbe un teenager malmostoso: mi viene una maledetta voglia di fare quel che a mamma Giorgia non piace.

Non dico che mi presterei a collaborare a una maternità surrogata (il mio hardware è un po’ obsoleto, diciamo) e nemmeno che vi ricorrerei per allargare la mia famiglia (già extralarge). Ma se qualcuno mi proponesse sottobanco un hamburger sintetico, dentro un fragrante panino fatto con farina di insetti, lo mangerei con gusto.

Non la sto contando giusta, lo ammetto. Contravvenire ai diktat del governo non sarebbe l’unica mia motivazione, ma forse è quella che mi rende meno impopolare, perché l’altra è che non avrei nessuna remora ad assaggiare sia la carne artificiale che i prodotti a base di insetti, anzi, sono molto curiosa. Apprezzo tutta la ricerca che può permettere di sfamare più umanità depauperando meno il pianeta.

Come ormai sappiamo tutti (eccettuati certi ministri) l’allevamento del bestiame e del pollame non è solo super-inquinante a livello di emissioni, ma comporta anche altissimi consumi di acqua, risorsa sempre più preziosa in un pianeta abitato da otto miliardi di esseri umani. Le coltivazioni destinate ai mangimi e i pascoli divorano boschi e impoveriscono le terre, e la produzione della carne, soprattutto quella bovina, genera da 10 a 50 volte più gas serra rispetto a quella degli ortaggi. A queste emissioni si aggiungono quelle derivanti dal trasporto delle carni dai paesi d’origine.

L’Italia, per dire, riesce a sopperire da sola unicamente al consumo di pollame; bovini e suini, vivi o già macellati, ci arrivano da mezzo mondo (per dire, in Europa siamo i primi importatori di manzo brasiliano: un altro emisfero e un oceano di distanza). Quanto alla soia che si produce nel mondo, sappiate che i cinesi e quei tritamaroni dei vegani ne assorbono solo il 7 per cento per i loro tofu, tempeh e salse varie, il 77 per cento serve per l’alimentazione animale.

Non apro il capitolo sofferenze degli animali negli allevamenti intensivi, perché a mio avviso non bisognerebbe diminuire il consumo di carne o integrarlo con qualche accettabile alternative soltanto perché ci fanno pena i pulcini calpestati o mamma mucca che piange il suo vitello, ma perché è più ragionevole ed economico.

Potrebbero farmi pena anche le cavallette essiccate e trasformate in farina, ma diciamolo: con tutti i disastri che i loro sciami hanno combinato nella storia dai tempi della Bibbia, che finalmente siamo noi a mangiarci le cavallette mi sembra una giusta nemesi. Ci faranno male? Modificheranno il nostro dna? I nostri figli avranno gambe più magre, lunghe e scattanti, ma i nostri nipoti potrebbero averne due paia anziché uno? Difficile dirlo ora.

Però quando vado al mercato del pesce vedo crostacei che sembrano grossi insetti, e certe bestiacce che mi fanno strillare se le ritrovo a zampettare sul pavimento della cucina sono suppergiù canocchie in sedicesimo o astici in scala 1:50 (non per niente si chiamano anche grilli di mare. Ma diciamolo sottovoce, o il ministro Lollobrigida ci proibirà di mangiare anche quelli).

Lia Celi