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Una legge era possibile già nel 2011. I concessionari e i partiti si opposero. Oggi è tutto più complicato


Concessioni demaniali delle spiagge, dodici anni persi per colpa della politica


2 Settembre 2023 / Maurizio Melucci

Tutti sono preoccupati per il futuro delle nostre spiagge. Preoccupazione legittima.  Il tempo delle chiacchiere è terminato e la magistratura amministrativa (Consiglio di Stato) ha sentenziato che non vi sono più proroghe. Tutte le concessioni scadono il 31 dicembre 2023. Fra qualche mese. In questo breve periodo i Comuni dovrebbero fare i bandi per rinnovare le concessioni in assenza, per altro, di una legge quadro nazionale. Evidente che è molto complicato se non impossibile.

 Ma siamo giunti in questa situazione per colpa degli stessi protagonisti che oggi sono preoccupati. Regioni, Comuni, forze politiche (tutte), associazioni di categoria. Questo problema si poteva risolvere 12 anni fa ma si sono fatte altre scelte.

 Già nel 2010 era tutto chiaro.

Il 20 maggio 2010 la Corte Costituzionale boccia la legge della regione Emilia-Romagna che proroga per un massimo di 20 anni le concessioni di spiaggia a fronte di investimenti nello stabilimento balneare. La motivazione della Consulta: “E’ in contrasto con l’artt. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in tema di libertà di stabilimento, favorendo i vecchi concessionari a scapito degli aspiranti nuovi.”  La Corte Costituzionale non cita la direttiva servizi o Bolkestein ma i trattati europei

 A fronte di questa sentenza, Governo, Regioni, categorie economiche si mettono al lavoro per trovare una soluzione che viene trovata con lo schema di decreto legislativo del 2011 per la legge comunitaria del 2010. Era il governo Berlusconi, il ministro era Raffaele Fitto. Una proposta che venne definita dai balneari “le aste con i paletti”

Quella proposta fu affossata dalle categorie economiche del settore con il sostegno di parte della politica. Lo slogan era: fuori le spiagge dalla Bolkestein.

Fu un crescendo di delirio. Chi aveva posizioni diverse veniva pesantemente criticato, censurato e molto spesso insultato. L’unica Regione che mantenne la posizione fu l’Emilia-Romagna a guida Vasco Errani. Per questo motivo fu organizzata, dai balneari,  una manifestazione nazionale a Bologna nel novembre del 2012 per fare cambiare la posizione della Regione. Tentativo fallito. Solo dopo l’elezione del presidente Stefano Bonaccini e dell’assessore al demanio e turismo Andrea Corsini, nel 2014, anche l’Emilia-Romagna si allinea in difesa degli attuali concessionari.

In questi anni si sono moltiplicate le proposte più assurde. Diritto di superfice per 90 anni, distinzione tra arenile e spiaggia con quest’ultima che si poteva privatizzare, uscita dalla Bolkestein, proroga per 50 anni. Alla fine, la politica ha trovato la soluzione pilatesca del rinvio del problema con la proroga al 2033 bocciata in via definitiva dal Consiglio di Stato.

Oggi con il governo di destra-centro completamente paralizzato su questo argomento (sta facendo una mappatura degli arenili italiani che esiste da anni) tutti i protagonisti della passata gestione sono preoccupati. Mi sarei aspettato un minimo di autocritica. Invece nulla.

Senza nessun pudore istituzionale le Regioni hanno avanzato una proposta che è esattamente identica a quella bocciata del 2011. Ma da allora si sono susseguite sentenze, dei Tar, Consiglio di Stato e della Corte di Giustizia Europea, tutte sulla stessa linea: Le proroghe sono illegittime e le concessioni demaniali turistiche debbono andare a bando di evidenza pubblica. Non solo. Viene sempre rimarcato, nelle sentenze “senza vantaggi per il concessionario uscente”. Pensare di riproporre il valore aziendale delle imprese concessionarie uscenti e mettere dei criteri di professionalità per penalizzare altri imprenditori ad entrare nella gestione degli arenili significa rischiare una infrazione europea (con relativa multa per lo Sato Italiano) e altre sentenze di tribunali che bocciano la proposta.

Da questa situazione si esce solo in un modo. Fare una legge quadro nazionale chiara dove i punti salienti debbono essere:

  • Salvaguardia della tipicità della gestione degli arenili italiani caratterizzata da micro e piccola impresa. (limitare il numero di concessioni che può avere un singolo operator
  • Libertà di accesso al mare in tutte le situazioni
  • Canone demaniale rivisto, ma uguale su tutto il territorio nazionale a parità di posizionamento economico della spiaggia. Non è il canone che può fare la differenza per l’assegnazione di una concessione. Lo Stato dovrà incassare comunque molto di più degli attuali cento milioni di euro.
  • Proposta di investimento. Questo l’aspetto più importante. I bandi debbono servire per produrre innovazione sulle spiagge per meglio competere sui mercati internazionali.
  • La durata della concessione deve essere parametrata agli investimenti previsti
  • Aumento del numero delle spiagge libere

In sostanza la proposta del 2011, depurata di alcune parti non più sostenibili dopo le sentenze dei tribunali di questi anni.

Con questa legge, concordata ed approvata dall’Europa, si può prevedere anche un periodo di un anno per fare le evidenze pubbliche.

Spiace solo vedere che abbiamo perso oltre dieci anni per colpa di una politica miope che invece di fare gli interessi collettivi ha deciso di sostenere i privilegi di una lobby di potere come quella dei balneari. C’è chi aveva prevista questa situazione, ma siamo in pochi.

Maurizio Melucci