E i contadini si ribellarono all’isolamento dandosi una mano a vicenda
29 Gennaio 2018 / Paolo Zaghini
“Il Mutuo Soccorso in Valconca e nel Riminese”, a cura di Gino Valeriani – Comune di Montescudo-Monte Colombo.
Gino Valeriani ha edito nel corso degli anni diverse decine di volumi, molti dei quali imperniati su fatti e personaggi della Valle del Conca. Quando era Preside della Scuola Media di Montescudo, a metà degli anni ’60, diede vita con un gruppo di operatori scolastici delle scuole elementari e medie al Gruppo di Ricerca Storica della Memoria Orale G. Iacobucci impegnato “in un sistematico tentativo di rilevamento del vissuto materiale, simbolico e sociale della Valle del Conca e del Riminese”.
Si voleva provvedere “con il concorso di ampi strati della popolazione, alla rilevazione-registrazione dei documenti della vita familiare, affettiva, lavorativa, religiosa e magica, presente nella memoria sociale”.
Sono nati così, fra l’altro, “Quel mondo dello s-ciuplèt e della bambola dal vestito di seta. Un’esperienza didattica” (1987), “Favole di Rimini e circondario. Un’esperienza didattica” (1995), “Superstizioni e sogni nella cultura popolare” (1997), i due volumi “Con la vanga e con la zappa. Racconti sulla civiltà contadina” (1998-1999), “Citta ciba, castel castiga. Vita e lavoro nelle campagne riminesi e sulla riviera romagnola, 1901-2003. Interviste e racconti” (2004), “Amori, corteggiamenti, matrimoni contadini” (2005), “L’uomo e l’animale nella civiltà contadina delle vallate del Conca e del Marecchia” (2006), “Le mani ruvide. Storie, interviste, racconti del mondo rurale femminile, dall’inizio del ‘900 ai giorni nostri nelle vallate riminesi” (2007), “Le scuole della Valconca raccontano” (2010), “Zaira della luna. Immaginazione e tradizione in Valconca” (2012).
Con questa ultima pubblicazione Valeriani dà corpo alla conoscenza delle Associazioni di Mutuo Soccorso che “hanno avuto, per molto tempo, lo scopo di migliorare le condizioni materiali e morali dei ceti lavoratori”.
Nate in Italia (soprattutto nel nord) a partire dai primi anni ’60 dell’Ottocento, esse si svilupparono sino alla fine del secolo (il culmine degli associati è nel 1904 con quasi un milione di soci). Con l’avvento del fascismo le associazioni vennero sciolte o incorporate nelle organizzazioni fasciste.
Per raccontare la storia di queste realtà, Valeriani deve necessariamente partire dalla situazione del mondo contadino italiano nell’Ottocento, delle sue arretratezze e ritardi rispetto alla rivoluzione industriale in corso negli altri paesi d’Europa. “La grande maggioranza degli Italiani viveva di agricoltura ma l’Italia non era autosufficiente per quanto riguarda i generi alimentari; la causa principale di questa situazione era la scarsità di capitali e la loro cattiva utilizzazione”.
Inoltre il contadino diffidava dalle innovazioni: esso non vedeva “nel progresso un reale beneficio, ma solo il rischio di venire sostituito dalle macchine”, così non collaborò mai ai vari tentativi di innovazione. “Questo conservatorismo psicologico e questa ignoranza tecnica erano i fattori che ostacolavano ogni progresso sulla via dell’efficienza agricola e di un più elevato tenore di vita”.
Valeriani per la conoscenza della situazione nelle nostre campagne usa ampiamente i dati della Inchiesta Agraria Jacini svolta dal Governo nel 1879. Nel 1861 la popolazione dei dieci comuni della vallata del Conca sommava a 27.190 abitanti. Quasi il 75% viveva in case sparse in campagna, il 7% in casali e appena il 18% nei centri abitati. Complessivamente poco produttiva l’agricoltura. Le colture più diffuse erano quelle del grano e del granoturco.
Assente qualsiasi forma di lavorazione industriale dei prodotti agricoli. La macinazione del grano e del granoturco avveniva nei 53 mulini fluviali della zona. “Dal punto di vista della conduzione prevaleva una mezzadria di tipo precapitalistico che, basata sul nucleo familiare e sul rispetto delle tradizioni patriarcali, garantiva una modesta sussistenza e il perdurare inalterato delle usanze e dei costumi di sempre”.
“Per ottenere una migliore stabilità sociale, migliori condizioni di lavoro e una garanzia per il futuro, sorsero dalle forze politiche e sociali le prime leghe contadine, le prime Società di Mutuo Soccorso, le prime casse rurali”. L’avvento della società borghese porta alla fine delle corporazioni religiose, delle Opere Pie: crollava così “una delle fonti di quella assistenza contadina della quale si era servita largamente la Chiesa per esercitare la sua influenza nei centri rurali”. Il Mutuo Soccorso nasce dalla rovina di queste istituzioni.
Sono una ventina le Società di Mutuo Soccorso che nascono nel Riminese. Di alcune di queste esistono maggiori informazioni grazie al fatto che nel 1883 compilarono un questionario informativo richiesto dalla Camera di Commercio e pervenuto fino a noi: fra quelle della Valconca Morciano nata nel 1867, San Giovanni in Marignano e a Mondaino nate nel 1870, Saludecio nata nel 1873, Montescudo nata nel 1877. Mentre per altre come Coriano, Gemmano, Montefiorito, S. Clemente, Misano, Cattolica poco o nulla sappiamo.
Anche in città nascono queste associazioni: era un’esigenza sentita “da ogni ordine di cittadini”, in particolare fra i diversi tipi di artigiani. Così a Rimini nascono nel 1862 la Società di Mutuo Soccorso delle classi artigiane; nel 1871 quella dei muratori, poi è la volta dei falegnami, dei fornai, dei calzolai; nel 1876 la Società Operaia di Mutuo Soccorso; nel 1877 la Società industriale Marittima di Mutua Assistenza; nel 1882 la Società di Mutuo Soccorso fra macchinisti e fuochisti; nel 1884 la Società di Mutuo Soccorso fra la Marineria.
“Le Società di Mutuo Soccorso, pur avendo al proprio interno una prevalenza di lavoratori vicini alle formazioni politiche progressiste, cercano generalmente di mantenere una posizione autonoma dai partiti e di presentarsi come strutture di aggregazione unitaria. Il loro principale scopo mutualistico consiste nel garantire sussidi in caso di malattia e inabilità al lavoro; ma si occupano anche di interventi assistenziali diversi, di istruzione, di iniziative creditizie”.
I decenni di fine Ottocento vedono le campagne italiane ribellarsi, magari “in forme arretrate (immature e disordinate) e con lo sguardo rivolto all’indietro”: si inizia nel 1869 contro la tassa sul macinato (il cui epicentro è nella nostra Regione) e poi la lenta ma costante presenza e affermazione dei repubblicani e dei socialisti che chiedono riforme e l’azione dei cattolici che creano Mutue e Casse Rurali.
Si tratta di ristrutturare la società su basi capitalistiche da una parte, e dall’altra di superare la permanenza di strutture economico-sociali e culturali precapitalistiche o feudali. Le forti ed estese lotte sociali e politiche che hanno contraddistinto l’Emilia-Romagna fra il 1892 e il 1920 coinvolsero e trasformarono le nostre campagne, ma dall’altra parte le classi dominanti si impegnarono a fondo per contrastare questi processi e operarono per costruire una nuova forma di stato: quello fascista.
Lo squadrismo mise a ferro e a fuoco le strutture che i lavoratori delle campagne avevano messo in piedi. “L’operazione culturale fascista nelle campagne è soprattutto tesa a risospingere il mondo contadino verso concezioni arretrate, verso l’isolamento”.
Una annotazione interessante è quella che Valeriani dedica alla osteria, “la casa della cultura del mondo popolare”.
“Le osterie sono i luoghi d’incontro fra diversi uomini, dove si possono riunire uomini a gruppi, scambiare e discutere esperienze e questioni. Nelle osterie nascono le prime associazioni di lavoratori; sui tavoli della mescita vengono vergati i loro programmi e gli appelli ad abbracciarli; fra quelle mura si riuniscono le prime redazioni dei fogli che ne diffondono le idee”.
Paolo Zaghini