Così fu spenta la grande sete fra Riccione e Cattolica
13 Maggio 2024 / Paolo Zaghini
Peter Joseph Kleckner
“La diga sul mare”
La Piazza
Un giovane storico, Peter Joseph Kleckner, marchigiano (nonostante quello che il cognome potrebbe indurre a pensare diversamente), allievo di Alberto Malfitano, docente di storia contemporanea dell’Università di Bologna (autore di due volumi sulla storia della diga di Ridracoli: “Il governo dell’acqua. Romagna Acque” – Società delle Fonti dalle origini a oggi (1966-2016) e “Il nuovo corso dell’acqua. Romagna Acque – Società delle Fonti nel terzo millennio” entrambi editi da Il Mulino, il primo nel 2016 e il secondo nel 2020) ha consegnato ai lettori questa ricerca sulla diga del Conca. In realtà non è solo un libro sull’esecuzione di questa opera pubblica, quanto invece la narrazione sulle trasformazioni sociali ed economiche della zona sud del riminese fra gli anni ’60 e ’80. Scrive nella Presentazione Malfitano: “Mancava un quadro di ricostruzione storica su un’area con caratteristiche specifiche: quella del territorio compreso tra Rimini e il confine con le Marche, di fronte all’improvviso imporsi di un’economia turistica che in pochi anni trasformò il volto della società locale (…). A quel punto l’acqua non bastò più. L’edificazione di buona parte della costa, la conversione alla nuova era del turismo di massa, il cambiamento dei costumi sociali e l’inurbamento di gran parte della popolazione, sono fattori che impattarono in maniera devastante sulla disponibilità di risorse idriche”.
La zona sud (i comuni di Riccione, Misano Adriatico, Cattolica, Gabicce Mare), tra il 1963 e il 1972, fu colpita da una grave emergenza idrica, “così importante e continua che gli abitanti del luogo avevano definito quel periodo come ‘gli anni della grande sete’”. Il picco fu raggiunto fra il 1966 e il 1967.
La discussione e il confronto fra le forze politiche, nei Consigli Comunali, con i ministri del turismo e dei lavori pubblici fu quanto mai intenso. Non sempre facile, anche perché questa avveniva sotto la spinta delle proteste dei cittadini e delle associazioni economiche, in primis quelle degli albergatori.
Il focus di questi confronti fu sempre la situazione e le capacità idriche del fiume Conca. Questo nasce a 1.415 metri di quota sul versante orientale del Monte Carpegna. Nel corso dei decenni era stato sottoposto a sconvolgimenti, prelievi, escavazioni della ghiaia (quello più rilevante per il materiale necessario per la realizzazione di un ampio tratto fra Rimini e Pesaro della nuova autostrada A14). “L’abbassamento del letto del fiume aveva fatto sì che le sue acque non riuscissero più a raggiungere la quota giusta per inserirsi nella conoide. Il suo letto non era più composto da ghiaie, ma dal substrato argilloso che lasciava scivolare le acque a mare senza trattenerle. Questo era il cuore del problema”. Vennero esaminate diverse proposte avanzate da tecnici (il geologo Edmondo Forlani, l’ingegnere Giorgio Zanetti, il professor Giulio Supino, Preside della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna): un bacino a Montefiore Conca, traverse sul fiume, un invaso vicino al mare.
Il 29 novembre 1968 Zanetti e Forlani presentavano al Comune di Cattolica il progetto definitivo per la Diga del Coca e nella stessa giornata nasceva ufficialmente il Consorzio per il potenziamento idrico di Cattolica, Riccione, Misano Adriatico, Gabicce mare. I tecnici stimarono che gli acquedotti esistenti fornivano 19.440 mc di acqua, mentre il fabbisogno estivo dei quattro comuni era di 44.750 mc. Il Ministero riconobbe il Consorzio nel luglio 1969. Cattolica era la capolista del Consorzio.
C’era bisogno urgentemente di dare risposte ai bisogni dei comuni rivieraschi. Come scrive nella sua bella Introduzione Sergio Gambini, il tempismo era fondamentale. E per ottenere questo era necessaria una profonda “complicità tra tecnica e politica”.
Infatti, oltre ai tecnici, il grande protagonista di questa avventura per la realizzazione della Diga fu il Sindaco di Cattolica, Mario Castelvetro (1921-2007), comunista, partigiano, maestro elementare, sindaco dal 1964 al 1970 e poi Presidente del Consorzio della Diga del Conca. Sempre Gambini: “Al primo posto del suo impegno c’era la risoluzione dei problemi”. Fu lui che tirò le fila per costruire una soluzione al problema del rifornimento idrico nella zona sud di Rimini. Il primo stralcio della Diga venne finanziata dal Ministero dei Lavori pubblici, il secondo dal Ministero e dalla neonata Regione Emilia-Romagna. Dall’iniziale preventivo di 840 milioni di costo, alla fine essa costò oltre 3 miliardi.
“La Diga del Conca non aveva ancora portato le sue acque, ma la prospettiva della sua realizzazione aveva pacificato gli animi e allontanato le turbolenze che si ripresentavano ogni estate nei consigli comunali, esasperati dalle carenze idriche”.
A fine 1970 iniziarono i lavori di realizzazione della Diga. Nell’inverno del ’74 le acque furono invasate e nell’estate 1975 furono immesse nella rete idrica. L’inaugurazione ufficiale avvenne solo il 25 giugno 1978, ad ultimazione dei controlli della diga e del collaudo dell’invaso. “Negli anni successivi la Diga del Conca darà, tramite l’impianto di potabilizzazione, 350 lt/sec, e ricaricherà i pozzi aumentando l’apporto degli stessi di circa 6.500.000 mc/anno”. Il Resto del Carlino intitolò il 26 giugno 1978 “è finita la grande sete”.
Ancora Gambini: tutto questo fu possibile nel “clima riformatore che animava a livello nazionale la stagione del primo centro-sinistra (…) Kleckner ci ricorda la preparazione e poi l’approvazione del Piano Generale degli acquedotti che introduce nel settore delle risorse idriche l’idea stessa di pianificazione nazionale”.
Il libro non è prodigo nel citare i ruoli avuti da molti amministratori (oltre che grave è la mancanza di un indice dei nomi). Manca, ad esempio, ogni riferimento all’Assessore comunale riccionese Tiziano Solfrini che fu quello che materialmente lavorò per portare a casa autorizzazioni e finanziamenti da Roma; all’assessore comunale misanese Walter Ghinelli; al segretario della CGIL di Cattolica Armando Berlini che per anni trattò per la soluzione dei numerosi problemi che i lavoratori vivevano per la realizzazione della Diga. Si riconosce l’importanza del lavoro svolto dagli amministratori comunisti dei comuni interessati, ma nulla si dice dell’importanza delle iniziative organizzate dal PCI fra i cittadini a sostegno dell’opera. Inoltre non sarebbe stata male la riproduzione di alcuni documenti fondamentali di questa storia (dallo Statuto del Consorzio ad alcune delibere dei comuni, da una selezione della corrispondenza con il Ministero alla approvazione definitiva da parte dello stesso). E forse anche di alcune brevi testimonianze di alcuni dei protagonisti ancora vivi.
Il libro, finanziato da Romagna Acque – Società delle Fonti, oggi proprietaria della Diga, vuole promuovere in generale l’importanza delle dighe: In Italia sono presenti 532 grandi dighe la cui età media è di 65 anni. Scrive il Presidente Tonino Bernabè: “Preservarle è fondamentale, garantendone la sicurezza e l’efficienza nel tempo, nella salvaguardia dei territori posti a valle e nel valorizzare la gestione della più preziosa tra le risorse, l’acqua”.
Paolo Zaghini