Così moriva Friano mentre Ospedaletto cresceva sempre di più
8 Aprile 2019 / Paolo Zaghini
Oreste Delucca: “Friano, la terra. Ospedaletto, il fiume” – Interno4.
Due considerazioni preliminari: la prima è che questa nuova opera di Oreste Delucca conferma (caso mai ce ne fosse ancora bisogno) del suo lungo, e proficuo, lavoro all’interno degli archivi locali da cui è capace trarre tutti i dati necessari per ricostruire quadri storici d’insieme; la seconda è che, grazie alla generosità della Signora Ombretta Pompea Pivi e alla sua azienda agricola “Terre di Fiume” a Friano, dopo una decina d’anni Coriano torna ad avere un nuovo libro di storia importante per la conoscenza del suo territorio.
Delucca, partendo dall’esame dei documenti storici arrivati a noi su Friano, ci racconta le vicende di un territorio compreso fra Ospedaletto, Cerasolo e Mulazzano. Friano “importante nell’antichità e fino al tardo Medioevo, allorquando era sede parrocchiale e costituiva una piccola ma viva comunità. Poi, una lunga stagnazione, il declassamento della sua chiesa a semplice oratorio (…). Poi il definitivo tracollo, dovuto al terremoto del 1916 che abbatte la chiesa. Da quel momento Friano non è più una vera comunità, ma l’insieme di poche case sparse, prive di un legame reale”.
Il mondo che ci racconta Delucca è quello di una realtà contadina, poverissima, dove domina “un ceto padronale (laico ed ecclesiastico) conservatore e avverso ad ogni novità, abituato a raccogliere frutti (magari modesti) senza fare spese o correre rischi”. Ma è anche vero che “l’arretratezza dei coloni e il loro attaccamento alle tradizioni, non erano stati certamente di stimolo”.
L’agricoltura medievale e sino a tutto l’Ottocento, si fondava, come da tradizione, sul binomio grano-vino. L’abate Giovanni Antonio Battarra, dal suo podere a Pedrolara a fine Settecento, annotava tutti i problemi del mondo agricolo del territorio riminese: “la mentalità dell’autosufficienza a danno della specializzazione; l’ignoranza dei coloni, dei padroni e degli stessi fattori; la resistenza alle innovazioni ed agli investimenti; l’incapacità di organizzare le produzioni sulla base di razionali calcoli economici, concorrevano nel perpetuare lo stallo. E l’abate lamentava che l’agricoltura ‘va intisichendo alla giornata’, che ‘l’algebra non è ancora entrata in agricoltura’”. La rivoluzione agraria che in Europa si stava attuando, nelle campagne italiane tardò almeno un altro secolo.
La stagnazione economica si accompagnò nei decenni fra il ‘500 e l’800 a nessun incremento demografico: nella relazione alla visita pastorale del Vescovo di Rimini Castelli nel luglio 1577 veniva scritto che Friano aveva 20 famiglie e 20 erano a San Patrignano per un totale di 196 abitanti. Il Catasto Calindri del 1774 indica a Friano la presenza di 11 case in tutto, con un calo demografico rispetto al 1577. Lo stesso dato viene confermato dalle relazioni separate degli architetti Morigia e Valadier incaricati dal Pontefice Pio VI di redigere una stima dei danni provocati in Romagna dal terremoto devastante del 1786. Morigia conta 17 case, lo stesso Valadier (“13 edifici rurali veri e propri, mentre 4 sono semplici abitazioni con piccola corte”).
L’esame dei patti colonici negli atti notarili da parte di Delucca rilevano inoltre “il continuo ricambio di lavoratori: è un segnale indiretto ma eloquente della loro difficile condizione economica, che li porta spesso ad abbandonare il podere (o ad essere cacciati), solitamente per l’impossibilità di rispettare le clausole contrattuali”.
E poi Delucca racconta la nascita della borgata di Ospedaletto.Nel Medioevo nell’area posta nell’intersezione fra la strada per Montescudo e il Marano vi era il Ponte Leverone o Ponte dei Leveroni, “di origine e significato incerti, salvo il palese riferimento ad un antichissimo ponte realizzato per attraversare il Marano”. Nel Medioevo, “la difficoltà di superare i fiumi, con o senza il ponte, costringe spesso il viaggiatore a soste forzate per il tempo necessario a che la corrente si plachi”. Così è anche sul Marano: è documentato che dal 1194 presso il Ponte dei Leveroni c’era un ospedale (non per funzioni sanitarie, quanto alloggio per i pellegrini e i viandanti) collegato ad una piccola chiesa, dedicata a S. Andrea. E’ questo uno degli ospedali più antichi documentati nel territorio riminese.
La prima comparsa del toponimo Ospedaletto avverrà solo in un rogito del 12 giugno 1499. Nel 1587 si attesta l’esistenza di un’osteria. Poi lo sviluppo della Borgata la si potrà seguire nelle relazioni dei Vescovi susseguenti alle visite pastorali. Nel 1757, dopo la visita del Vescovo Zollio, la relazione parlerà di “villa” Ospedaletto. “Questo significa che nei pressi dell’oratorio sta nascendo un piccolo centro abitato”.
Ancora a fine ‘700 si rileva la totale assenza di ponti sul Marano. Durante i secoli del dominio pontificio, l’ipotesi di costruirne uno non era stata nemmeno presa in considerazione. Con l’avvento dell’Unità d’Italia si comincia ad avvertire un certo dinamismo in molti settori dell’economia, compreso quello dei trasporti. Con una lettera del Sindaco di Coriano del 18 marzo 1871 veniva posta la questione di una costruzione del ponte sul Marano. Ci vorranno però oltre vent’anni perché questo venisse effettivamente realizzato.
Fin dalla metà del Settecento si erano potuto cogliere le premesse del futuro sviluppo di Ospedaletto. “Le fortune di questa ‘borgata’ risiedono indubbiamente nella sua posizione geografica: essere cioè l’ultimo insediamento di pianura prima che, da vari lati, il suolo si impenni; e, per di più, essere un centro stradale nevralgico”. Nel 1861 contava 142 abitanti, oggi circa 2.000.
La microstoria economica, sociale, religiosa di questo territorio si riflette nelle vicende riminesi e romagnole. Ed è stato bravo Delucca a ricostruirle e ad inserirle nel mosaico più ampio della storia riminese.
Paolo Zaghini