Lo confesso. Da iscritto all’Albo dei Pubblicisti da una vita, non ho mai capito bene, a partire dalle prime battaglie per la libertà d’antenna combattute sia con la toga che a mezzo stampa, dove in me finisca l’avvocato e cominci il giornalista. E viceversa,
Prendiamo la vicenda di ‘Mani pulite’ quando vigeva, ad opera del famoso Pool milanese, quello che insigni giuristi ebbero a definire ironicamente ‘Rito Ambrosiano’.Vale a dire una interpretazione del tutto inedita e originale circa il verificarsi di quel ‘pericolo di reiterazione del reato’ che, ai sensi di legge consente la carcerazione preventiva dell’indagato. Considerato che il ‘rito’ in questione era stato a poco a poco adottato dai PM (e dai Gip) di mezza Italia ero, all’epoca, un penalista alquanto arrabbiato. E così, presa metaforicamente in mano l’altra tessera, mi parve doveroso commentare a modo mio sul periodico nazionale che ospitava una mia rubrica, quanto sorprendentemente affermato dal Procuratore Capo Saverio Borrelli sul ‘Sole 24 ore’ del luglio 1992 in risposta alle garbate proteste di Giovanni Maria Flick (futuro Ministro della Giustizia) circa il ‘Rito’ in questione.
“Neppure la confessione – sosteneva dunque il Borrelli – può considerarsi sufficiente a comprovare la cessazione di pericolosità del soggetto e quindi a giustificare la rimessione in libertà. Occorre un contributo collaborativo allo smantellamento del sottosistema cui l’indagato apparteneva, come elemento idoneo a provare l’inversione di rotta del soggetto, la sua dissociazione dal programma illegale, la sua inaffidabilità agli occhi dei sodali superstiti, dunque la cessazione di pericolosità cui consegue la rimessione di libertà”.
Il rito Ambrosiano è tutto in queste testuali parole del Procuratore Capo. Non basta che tu confessi il reato. Devi fare il nome dei tuoi complici e illustrarci il funzionamento della intera faccenda. Devi, di conseguenza renderti talmente odioso ai tuoi ex amici da escludere future pericolose frequentazioni… Altrimenti resti dentro.
Bene. Il Parlamento, con legge 8 agosto 1995, integrava finalmente e a scanso di equivoci interpretativi il testo dell’articolo 274 del codice di procedura penale concernente le misure cautelari, disponendo che “le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini di rendere dichiarazioni o nella mancata ammissione degli addebiti”. In applicazione di tali principi la Suprema Corte di Cassazione ribadiva che “dalla natura dello strumento cautelare personale deve esulare ogni sorta di pressione sull’Indagato”, definendo pertanto inammissibile una “finalizzazione del mezzo cautelare diretta ad assicurare collaborazione, dissociazione e ammissione degli addebiti, da parte dell’Indagato stessov. Più chiaro di così…
Il “Rito Ambrosiano” era dunque giunto al capolinea.
Alt! Fermi tutti! Il caso Toti ci induce a ritenere che, alla fermata, e alla distanza di ben trent’anni, qualcuno si rifiuti ancora di scendere…
Eh già. Stavolta (forse anche a causa della scarsa espressività del faccione dell’indagato) si resta dentro perché ‘non si sono capite le accuse’. Va da sé che se non hai compreso la tua colpa rischi di commettere nuovamente lo stesso reato. Testone di un Toti! Deciditi ad ammettere gli addebiti!
Dopo il rito Ambrosiano, il Rito Ligure.
L’araba Fenice che risorge dalle Ceneri.
Lo sentite il suo pigolìo? Sembra diverso ma è sempre lo stesso. Dalla notte dei tempi… “Confessa il tuo peccato! Abiura! Fa il nome degli eretici che conosci… Ahhh… Fingi di non capire? Un altro giro di ruota… Pardon! Volevo dire di carcerazione preventiva!
Beh, fin qui ha parlato il giornalista. Caricando un po’ i toni per dare un po’ di colore… Torno però subito a rivestire la toga (alla vigilia di abbandonarla dopo sessant’anni di onorato servizio) per assicurarvi che la stragrande maggioranza dei PM gode della mia piena fiducia. Guai a generalizzare. Lasciamo questo compito ai politici… Per quanto mi riguarda, sappiate che, nel portafoglio, oltre a quei due tesserini, ho solo quello dell’Associazione Nazionale Alpini. E me ne vanto.
Giuliano Bonizzato