Dalle fiabe alle fake-news, abbiamo sempre bisogno di leggende
28 Agosto 2017 / Paolo Zaghini
Danilo Re: “Leggende di Rimini e della sua provincia”- Il Ponte Vecchio.
Recita il retro di copertina del volume: “Ogni cucuzzolo in Italia ha la sua fola da raccontare e la provincia di Rimini non fa certo eccezione. Seguendo questa trentina di racconti si disegna quasi una storia parallela del territorio, attraverso luoghi misteriosi e in compagnia di una varia e mostruosa umanità: una sorta di bestiario medievale in cui gli esseri fuori dalla norma sono eroi e santi, maghi e streghe, criminali e fantasmi, fate, orchi, demoni, creature fantastiche e antiche divinità decadute”.
L’autore, 60 anni, riminese per nascita e verucchiese d’adozione, di mestiere fa l’operatore sanitario e da un decennio si è dedicato anche alla scrittura (questo è il suo quinto volume edito), definendosi scrittore ”leggendario”, ovvero affascinato da tutte le storie che oralmente vivono tra il “popolo”. Ma come si sa “il materiale folclorico non nasce spontaneamente da un fantomatico ‘popolo’, ma è sempre opera di un qualche creativo che lo ha elaborato la prima volta, anche se rimane poi sconosciuto ai posteri”. E Danilo Re, raccogliendo per quasi un quarto di secolo tra amici, parenti e libri, tante storie ha provato a riscriverle a suo modo. E va detto, per amor del vero, che lo ha fatto con tanto garbo e buona scrittura. Ma come ci tiene a precisare “queste paginette sono lastricate di buone intenzioni, non obbediscono a canoni scientifici, etnografici o demologici. Non si tratta di un saggio, piuttosto di un tentativo di trattenere labili ricordi”.
E allora guardiamo alcuni di questi racconti: “Il sangue di Giove” narra come da una piccola ferita del dio, fattagli da un contadino con l’aratro mentre faceva un sonnellino sul colle poi noto come Monte di Giove (Santarcangelo), inzuppò la terra. “Le vigne coltivate su quella terra così fortunatamente fecondata cominciarono a dare un vino color rubino del sapore simile a nettare, che fu a ragione definito ‘Sanguis Iovis’, da cui proviene l’attuale nome del Sangiovese”.
In “La maga Folia”, citata da Orazio negli “Epodi”, è “il primo personaggio riminese tramandato ai posteri con il suo nome personale” ed è una strega. E aggiunge: “possiamo immaginare che la sua memoria sia perpetuata nel toponimo di Fogliano Marina, alle foci del Marano, luogo ancora in anni recenti frequentato da signore di pessima reputazione”.
In “Sveva” l’Autore cita una figura pittoresca “e’ caval ‘d Scaia”, “proverbiale animale da tiro affetto da trecentosessanta malattie”, che anche mia madre spesso utilizzava per redarguirci ogni volta che dicevamo “sto male”. Intendendosi con questo che non era assolutamente vero.
I racconti narrano vicende da un comune all’altro del riminese. Ne “L’ultimo tempestario” si parla di Coriano: “Nel mondo rurale arcaico la magia rivestiva un ruolo fondamentale. Una figura totalmente scomparsa è quella del tempestario; l’ultimo fu visto in epoca anteguerra dalle parti di Coriano. Non c’era bisogno di andarlo a chiamare, bastava dire. ‘Ci vorrebbe qualcuno per togliere ‘le maligne’ da questo podere’, che lui arrivava”.
Ed infine ne le “Leggende metropolitane” si racconta come anche oggi nascano favole che diventano ‘vox populi’ basate sul niente (ed in questo negli ultimi tempi la rete e i social sono diventati maestri, direi cattivi maestri): “Le leggende, dal latino ‘legenda’, ‘cose da leggere’, ovvero racconti edificanti, erano in origine soprattutto episodi della vita di santi. Non si creda però che siano il prodotto tipico ed esclusivo di tempi oscuri. I moderni sociologi hanno coniato la definizione di ‘leggende metropolitane’ per classificare quelle nate appunto tra gli odierni grattacieli illuminati a giorno dell’energia elettrica. Celeberrima quella dell’alligatore albino infestante le fogne di New York”.
Paolo Zaghini