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Di cosa parliamo quando non parliamo di covid


12 Dicembre 2020 / Lia Celi

Certo che come pensata pubblicitaria è ottima. Se qualcuno fino a ieri non aveva mai sentito parlare dell’Altro Bar di Riccione, oggi lo conosce: è il locale dov’è proibito parlare di Covid.

Solo che sintetizzata così, così, schiaffata nuda e cruda sulle locandine, la notizia potrebbe far pensare a una taverna di negazionisti che ancora credono si tratti di una banale influenza strumentalizzata dai poteri forti e pompata dai media a loro asserviti. Un posto dove, se entri con la mascherina, ti prendono come minimo a male parole, e se cerchi l’igienizzante il barista ti butta fuori, alitandoti in faccia. E invece no: come hanno spiegato i gestori, si tratta di semplice saturazione: “Si può parlare d’altro, almeno per il tempo di un caffè”. E’ un piccolo servizio in più che offrono alla loro clientela: cinque preziosi minuti di stacco dal flusso di virus-mania in cui siamo immersi, una piccola pausa per igienizzare il cervello.

Sembra una cosa da niente, ma oggi è quasi più facile creare un ambiente Covid-free dal punto di vista psicologico che da quello comunicativo. E per chi lavora in un bar potrebbe servire come necessaria autodifesa mentale. Tutti noi durante il giorno parliamo spesso di coronavirus, l’argomento apre regolarmente i telegiornali e monopolizza le pagine dei giornali cartacei e online, compresa questa rubrica. Ma ci sono dei momenti, anche brevi, in cui possiamo staccare e distrarci, parlare d’altro o non parlare affatto.

Pensate invece cosa dev’essere per dei baristi che per dodici ore al giorno sono esposti alla conversazione di clienti monotematici. Dal mattino presto alla sera, cambiano le facce, cambiano le voci, ma i discorsi sono sempre quelli, in loop. Il tale o il tal’altro lo ha preso. Zona rossa e zona gialla. Ho fatto già quattro tamponi. Economia distrutta. Burioni ha detto x ma Crisanti ha detto y. All’ospedale non ce la fanno più. Vedrai la terza ondata. Peggio della guerra. Secondo me è un complotto. La gente è stupida. Col cavolo che mi vaccino. Io invece vaccino anche il gatto. Lo sai chi è morto? Sottoposto a un simile bombardamento quotidiano, un barista normale ha voglia di suicidarsi infilando la testa nella lavastoviglie.

I titolari dell’Altro Bar però si aspettano troppo dai loro avventori: non solo devono astenersi dal parlare di Covid, come indica il cartello sulla porta, ma auspicabilmente dovrebbero tornare a parlare di viaggi (quali?), Natale (cos’è?), e perfino feste. Soggetto che oggigiorno non solo è fantascientifico, ma che ti può mettere nei guai con la giustizia: apprendiamo infatti dai giornali che sono stati sguinzagliati in giro segugi pronti a carpire ogni accenno a veglioni fuorilegge.

E allora di cosa si chiacchiera al bar, per non deprimersi? Di calcio no, perché è inevitabile ricordare Maradona e Paolo Rossi. Di politica men che meno, si è ammalata di Covid pure lei in marzo e non accenna a guarire. Di sesso? Bè, forse si, tanto di questi tempi di distanziamento se ne può parlare e basta.

Ecco allora un consiglio per l’Altro Bar: togliere dalla porta il cartello “In questo bar è vietato parlare di Covid” e sostituirlo con “In questo bar è consentito solo parlare di sesso”. Diventerà il locale più famoso della Riviera.

Lia Celi