Di quei 139 morti nel territorio riminese nessuno ebbe giustizia
2 Dicembre 2024 / Paolo Zaghini
Daniele Susini: “Vittime e carnefici. Le stragi nazifasciste lungo la Linea Gotica orientale”
Donzelli
Le immagini che ogni giorno scorrono sulle nostre televisioni provenienti dalle guerre in corso in Ucraina e in Medio Oriente sembrano aver anestetizzato la nostra coscienza: è già orribile una guerra combattuta fra opposti eserciti, ma quando questa coinvolge popolazioni inermi di donne, bambini, anziani l’orrore non può che crescere all’infinito. Ci sono responsabili civili e militari di queste morti. I mandati di arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale verso Vladimir Putin, Benyamin Netanyahu, i responsabili di Hamas ha già chiaramente indicato i maggiori responsabili.
Del resto la Corte penale internazionale (CPI) è un’istituzione giudiziaria nata formalmente nel 1998, con la ratifica dello Statuto di Roma, ed entrata in funzione nel 2002. La Corte è stata creata con lo scopo di garantire i diritti fondamentali e il mantenimento della pace, perseguendo i responsabili dei crimini internazionali; in particolare la giurisdizione della CPI si occupa di: crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio, crimine di aggressione.
Ma oltre i “grandi capi” sul terreno operano ufficiali, responsabili di reparti che si sono macchiati di crimini terribili contro i civili.
Ecco perché il libro di Susini è importante. Ci racconta cosa avvenne nel Riminese fra l’estate 1943 e il settembre 1944 ad opera di reparti militari tedeschi e di formazioni paramilitari fasciste a danno della nostra popolazione civile. Le 58 stragi nel territorio riminese furono compiute 7 dai fascisti, 45 dai nazisti e 4 insieme. I 139 assassinati registrati, dal punto di vista dell’età sono così suddivisi: 8 bambini, 3 ragazzi, 104 adulti e 21 anziani e 3 di età ignota.
Raramente le violenze, soprattutto verso i civili, registrate hanno trovato giustizia. Ne sappiamo qualcosa noi italiani per le innumerevoli stragi rimaste impunite compiute dai tedeschi, spesso in collaborazione con i fascisti italiani, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, durante l’anno e mezzo dell’occupazione dell’Italia fra l’8 settembre 1943 e l’aprile 1945.
Anche se poi occorre dire che noi italiani non abbiamo mai voluto render conto di ciò che i nostri militari hanno compiuto contro le popolazioni civili in Etiopia, Albania, Grecia, Jugoslavia, Libia. Il nostro Paese è stato dunque contemporaneamente vittima e carnefice.
Susini spiega, sull’onda della filosofia attuata per la redazione del volume di Gianluca Fulvetti e Paolo Pezzino “Zone di guerra, geografia di sangue. L’atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (1943 – 1945)” edito da Il Mulino nel 2016, che cosa oggi si intende per strage. “Spesso lo stillicidio di ‘episodi minori’ accompagna una fase, cronologica o geografica, della violenza, o tratteggia le prassi di alcuni reparti: in quest’ottica, è stata rubricata come strage anche la singola morte di un civile, perché funzionale all’impatto del terrore nazista e, di conseguenza, al controllo dei territori occupati e alle operazioni di contrasto alla Resistenza”.
L’Autore poi dà ampia informazione sulle direttive emanate dallo stesso Hitler alle sue truppe su come comportarsi in territori occupati: “Le truppe sono autorizzate e obbligate a usare ogni mezzo in questa lotta senza restrizioni anche contro donne e bambini, se questo porta al successo”.
Susini divide gli episodi registrati in quattro fasi principali: “La prima, piuttosto lunga, ma meno cruenta, abbraccia il periodo dal settembre del 1943 al marzo del 1944, che rappresenta il primo momento della costruzione della Linea Gotica; la seconda, nella primavera del 1944, va da aprile agli inizi di giugno e comprende la strage di Fragheto; nella terza, che coincide con l’estate, rientrano sia tutti gli eccidi commessi dalla Legione “Tagliamento” e da un reparto di polizia italo-tedesca dipendente dall’Ordnungspolizei nella zona appenninica sia i rastrellamenti di uomini da utilizzare come lavoratori coatti compiuti dalla Wehrmacht sulla costa; infine, l’ultima fase, da agosto a settembre 1944, comprende tutti gli episodi legati al passaggio del fronte nella zona litoranea”.
Sonia Residori scrive, in un capitolo del libro, la storia e le vicende legate alla Legione “Tagliamento”, un reparto di italiani al servizio dell’occupante germanico. Circa 1.350 uomini, provenienti soprattutto dai battaglioni “M” di camice nere. Nonostante fosse un reparto italiano, esso fu sempre agli ordini esclusivi dell’occupante nazista, sotto il diretto controllo del generale SS Karl Wolff, comandante delle SS in Italia. I legionari della “Tagliamento” operarono spietate “azioni di polizia contro i banditi”, con omicidi, torture, distruzioni, saccheggi e ruberie. Dalla Valsesia in Piemonte passò in provincia di Pesaro a giugno ’44 per poi andare ad agosto in Veneto. Per Wolff “una delle migliori unità naziste”.
Le nostre zone videro anche l’operatività del IV Bataillon Freiwilligen schutz-poliziei Italien, “un reparto di polizia italo-tedesco, particolarmente aggressivo non soltanto nei confronti dei gruppi partigiani ma anche nei confronti dei civili”. Ci racconta nel libro le sue gesta Marco Renzi. “Era composto quasi totalmente di soldati italiani provenienti dai campi di internamento germanici e in gran parte catturati sul fronte greco-albanese”, al comando di Karl-Heinz Burger e Ernst Albrecht Hildebrand, comandanti delle SS. A metà giugno ’44 il IV Battaglione arrivò nella Romagna Toscana insediandosi a Verghereto, Sarsina e San Piero in Bagno. Nel mese di luglio, nel corso di rastrellamenti effettuati assieme a reparti dei battaglioni “M” e della “Tagliamento” uccisero diversi civili e furono i responsabili della strage di Tavolicci il 22 luglio (64 le vittime).
Le vittime riminesi furono complessivamente di 139 morti, fra cui 27 donne. I civili sono 97. Susini descrive i 58 episodi, compilando di ognuna una scheda con tutti i dati noti: i dati anagrafici delle vittime, luogo e data dell’uccisione, categoria di appartenenza (civili, partigiani, renitenti, soldati, disertori), autori della strage e notizie sulle eventuali vicende giudiziarie a carico dei carnefici.
Infine le annotazioni sul dopoguerra. Sia gli inglesi che gli americani convennero allora che “le stragi fossero delle politiche strutturali messe in atto dall’occupante”. Ma l’evolversi della situazione politica internazionale, con la divisione dell’Europa in blocchi (e la Germania ovest era un alleato) portò il 14 gennaio 1960 all’”archiviazione provvisoria” di tutti i fascicoli riguardanti le violenze tedesche nel nostro Paese.
Praticamente non ci furono colpevoli per gli assassinii commessi dai tedeschi e dai fascisti dopo l’8 settembre 1943. Con la “scoperta” dell’”armadio della vergogna” (che conteneva 695 fascicoli d’inchiesta e un registro generale riportante 2274 notizie di reato) nel 1994, emerso durante il processo Priebke, si crearono le condizioni per istruire e celebrare finalmente i processi e avviare una nuova stagione di studi.
Importante fu la costituzione della Commissione italo-tedesca annunciata a Trieste il 18 novembre 2008. Prima del 1994 erano stati celebrati solo 13 processi e solo due erano gli ufficiali tedeschi incarcerati: Walter Reder (per la strage di Marzabotto) e Herbert Kappler (per l’eccidio delle Fosse Ardeatine).
Molti fascicoli dopo il 1994 vennero aperti e chiusi per la morte degli accusati. Invece 17 processi furono celebrati. Fra questi quello contro i 3 responsabili ancora in vita per la strage di Fragheto svoltosi nel 2012. Uno dei tre morì durante il procedimento; gli altri furono assolti per mancanza di prove certe a loro carico.
“Nessuna delle vittime del territorio riminese ha avuto giustizia”.
Paolo Zaghini
(Nell’immagine in apertura: gli “otto martiri” fucilati dai fascisti al ponte Carattoni nel greto del Senatello presso Casteldelci)