Dieta Auschwitz, Valentina si è scusata ma chi è senza peccato…
11 Novembre 2018 / Lia Celi
Valentina Vignali è una valorosa cestista. E’ una bellissima ragazza. Ed è riminese, quindi tende a parlare come mangia: parecchio, e non sempre in modo sano.
Questo può spiegare perché, a commento di un video della sua ben fornita dispensa, fieramente postate su Instagram, abbia fatto un’infelicissima allusione alla «dieta Auschwitz», da cui lei si terrebbe alla larga.
Dopo la pioggia di rimproveri e insulti ricevuta sui social, Vignali si è scusata, rivendicando la sua buona fede con tanto di ricordo di recente viaggio in Austria in visita ai campi di concentramento (probabilmente Mauthausen, l’unico di quel Paese).
Questo a pochi giorni dal putiferio comprensibilmente suscitato dalla maglietta «Auschwitzland» indossata da una decerebrata in pellegrinaggio a Predappio.
Quella di Valentina è una gaffe dovuta a leggerezza, non certo un’apologia del nazismo; eppure i due episodi hanno qualcosa in comune: la banalizzazione della Shoah.
Ma chi è senza peccato scagli la prima pietra: nei discorsi di tutti i giorni siamo in tanti a banalizzare.
Il treno su cui viaggiamo è affollato, scomodo e maleodorante, e subito lo accostiamo ai vagoni piombati che trasportavano gli ebrei verso i campi della morte. Qualcuno è troppo magro e ha l’aria sparuta, e lo paragoniamo a un sopravvissuto. Un prof o un allenatore urla o è troppo severo, e sorge spontaneo chiamarlo SS. Se si parla di regimi alimentari drastici e di porzioni scarse, il riferimento al lager è quasi scontato.
Certo, è banalizzazione, e si capisce che la comunità ebraica e tante persone perbene abbiano protestato per il post di Vignali. Ma temo sia una conseguenza inevitabile dell’uso che i media, con le migliori intenzioni, hanno fatto delle immagini dell’Olocausto.
Più se ne parla, più girano e rigirano quelle foto e quelle riprese (in tivù, nelle scuole), più diventiamo consapevoli di quel che è successo, ma al tempo stesso, per chi non l’ha conosciuto direttamente ma solo attraverso uno schermo o un libro, l’orrore indicibile viene come addomesticato.
Può essere usato su una maglietta o in accostamenti irrispettosi a stupidi inconvenienti della nostra tranquilla vita quotidiana. E’ brutto da dire, ma per le generazioni che hanno assorbito la pagina più tremenda della storia europea solo attraverso trasmissioni tivù, libri e film, la Shoah – nei suoi aspetti mediaticamente più divulgati – è diventata cultura popolare, come una saga horror.
Per questo una ragazza come Valentina Vignali può decidere di passare le vacanze in Austria a visitare un lager, anziché a Ibiza per andare in discoteca, per poi evocare spensieratamente Auschwitz come simbolo delle diete da fame.
I mezzi di comunicazione ci permettono di essere informati su tante cose, ma per saper dare a ognuna il giusto peso ci vorrebbe qualcos’altro: maturità, buon senso, discrezione, tutte cose che non si imparano nemmeno con il più benintenzionato speciale di Alberto Angela. Valentina, intanto, ha chiesto scusa. E’ già un buon inizio.